di Peppe Caridi - 25 gennaio 2013
“La Magistratura barcellonese e messinese vorrebbe mettermi alla gogna vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito di servitore dello Stato e docente universitario“.
Il 2 ottobre 2008 Adolfo Parmaliana si suicidò lanciandosi nel vuoto dal viadotto di Patti Marina dell’autostrada Messina-Palermo, dopo essere stato rinviato a giudizio per diffamazione. Ordinario di chimica industriale all’Università di Messina, da sempre impegnato in politica nella sua Terme Vigliatore, ha pagato nel modo più estremo il suo impegno antimafia. Ieri il procuratore generale di Messina, Franco Cassata, è stato condannato per diffamazione dal giudice di pace di Reggio Calabria, Lucia Spinella, secondo cui Cassata ha diffuso nel settembre 2009 un dossier anonimo contro Parmaliana. Al procuratore è stata comminata una multa di 800 euro, più un risarcimento per la famiglia di Parmaliana, che verrà quantificato in un momento successivo. Certo non basta per fare giustizia, ma oggi Adolfo si vede restituita un pizzico di quella dignità perduta.
Quei volti di papà, mamma e moglie Cettina (nella foto di Dino Sturiale), però, gridano ancora giustizia: dopo più di quattro anni, i concitati attimi di quel drammatico pomeriggio sono scolpiti nei loro volti, nei loro occhi sani e puliti, di persone perbene in una Sicilia che con Adolfo ha perso un pezzo di speranza, quella speranza infinita di sentirsi liberi dall’oppressione criminale.
Giovanni Falcone diceva che “gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini“: è nostro il compito di far vivere ogni giorno Parmaliana in ognuno di noi.
Tratto da: strettoweb.com