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manca angela 1La madre dell'urologo di Barcellona, morto in circostanze ancora non chiarite, commenta la decisione di poter concedere a Riina i domiciliari per "consentirgli una morte dignitosa" come ha scritto la Cassazione. "Fino a pochi anni fa dava ancora ordini dal carcere", commenta.
di Piero Genovese

Sui social e sulla stampa il dibattito di questi giorni è sulla decisione della Cassazione in merito al ricorso presentato dal difensore di Totò Riina, che chiede il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare. Il tema centrale è “la morte dignitosa” per il capo dei capi.  Fino a questo momento visto anche altre richieste tutte rigettate, il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l'infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, poiché le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma.
 Adesso secondo il suo legale a causa di una duplice neoplasia renale, c’è una situazione neurologica altamente compromessa tanto che il 41 bis potrebbe essere una pena pesante per colui che è stato ai vertici mafiosi palermitani fino al 15 gennaio 1993, anno della sua cattura.
In tantissimi in Italia si chiedono se sia corretto dare “una morte dignitosa” fuori dal carcere per chi ha ucciso ed è stato il capo della mafia ed in quanto tale condannato.
 Riina è  colui che autorizzò i capofamiglia a eliminare i familiari dei pentiti "sino al 20º grado di parentela", compresi i bambini e le donne. Ma non aveva nemmeno trascurato, nel corso della sua mattanza  "certe azioni" compiute dai cosiddetti "cani sciolti". Tante le condanne a suo carico, poiché riconosciuto mandante di tanti omicidi: a partire dal capitano Emanuele Basile, finendo con le stragi di Capaci e Via d’Amelio, passano per quelli di Pio La Torre (sua la legge che ha introdotto il reato di stampo mafioso), Carlo Alberto Dalla Chiesa e del capo della squadra mobile Boris Giuliano.  A lui si deve anche l’uccisione del piccolo Di Matteo, dissolto nell’acido.  La decisione del tribunale, di rivedere la posizione dell’ex boss di Cosa Nostra, dai familiari vittime di mafia viene vista come una possibile manovra che ha l’odore di trattativa così come affermato da Angela Manca, madre dell'urologo Attilio Manca, originario di Pozzo di Gotto, la cui grande colpa è stata quella di assistere all’operazione di Bernardo Provenzano in Francia. La sua morte infatti, ancora oggi resta un mistero.
 La signora Manca ci spiega che “tale notizia l’ho appresa con grande sdegno e soprattutto quello che mi colpisce di più é la motivazione di dargli una morte dignitosa. Come si può parlare di  dare una morte dignitosa  ad un assassino che ha sulla coscienza centinaia di efferati delitti e che , fino a qualche anno fa , continuava a impartire ordini dal carcere, come la condanna a morte di Don Ciotti o di Di Matteo ? Lo Stato e le leggi italiane dovrebbero avere gli stessi sentimenti per le vittime di mafia , dando loro quella dignità che a volte è stata tolta assieme alla vita e soprattutto rendendo ai familiari quella verità e giustizia che aspettano da decenni. Certamente  non è una buona giornata per coloro che vedono uno Stato assente e a volte colluso , sapere che verso Riina si ha un atteggiamento di privilegio o di sottomissione. E poi siamo proprio sicuri che ormai Riina non ha più potere ?  I familiari vengono lasciati soli a lottare , senza nessuna tutela ed a volte con uno Stato ostile che nega l'evidenza dei fatti . È incredibile il solo fatto che ancora adesso si pronunci con difficoltà la parola trattativa  o  che non emerga nulla di 43 anni
di latitanza di Provenzano”.
Del perché a Riina sia dia un trattamento diverso da quello riservato a Provenzano, la madre dell’urologo non se lo sa spiegare e si augura così come tutti i familiari vittime di mafia, che non sia un ulteriore compromesso.
Per la Dia, (Direzione Investigativa Antimafia), Riina resta, dopo la morte di Provenzano, il numero uno di Cosa Nostra. L'ultima proroga per il 41 bis, firmata dal ministro Andrea Orlando nel 2015, scadrà nel novembre 2017. Due anni fa, Riina fu intercettato proprio dalla Dia che, nel carcere di Opera, mentre affidava al compagno dell'ora d'aria un ordine di morte per il pubblico ministero Nino Di Matteo. Parole inquietanti quelle dell’ex o dell’attuale numero uno di una delle massime organizzazioni criminali esistenti che fecero scattare il massimo dell'allerta al Viminale. Da allora, Di Matteo va in giro con quattro jeep blindate, sotto tutela dei carabinieri del Gis e del comando provinciale di Palermo.

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