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sabella-alfonsoL'affondo dell'assessore alla Legalità: "Scandaloso fare soldi sui poveri"
di Mauro Favale - 12 marzo 2015
Diverso il contesto economico, quello sociale, il tempo e i luoghi. Ma per l'assessore alla Legalità del Campidoglio, Alfonso Sabella, la Roma di oggi "presenta profili di grande analogia con la Palermo degli anni 60 e 70".
Un paragone forte, quello utilizzato dall'ex magistrato antimafia, che però considera calzante il clima odierno di Roma, sconvolta da Mafia capitale, con quello del capoluogo siciliano che 50 anni fa era il regno di Vito Ciancimino. "Allora a Palermo  -  sottolinea Sabella  -  Cosa nostra aveva invaso tutte le sfere della vita pubblica e in alcuni quartieri si era sostituita allo Stato". E anche all'epoca, come oggi, "la prima reazione era quella di negare l'esistenza stessa della mafia. Così è accaduto a Roma dopo l'inchiesta del procuratore Pignatone".
Intervistato dalla tv del Fatto Quotidiano, l'assessore ("reclutato" da Ignazio Marino proprio dopo le indagini che hanno costretto alle dimissioni il titolare delle politiche abitative in giunta, Daniele Ozzimo) spiega che "Mafia capitale ha dimostrato una straordinaria capacità di infiltrazione nelle istituzioni senza avere apparentemente quella forza di controllo del territorio tipica del Sud". La caratteristica di originalità "sta nel fatto di aver piazzato i propri uomini all'interno delle istituzioni e di aver gestito il rapporto con la politica in modo diretto, scegliendo anche quanti soldi vanno in bilancio per una certa voce e anche i capi dei dipartimenti".
L'ex magistrato trova "scandaloso" che il business principale fosse quello che riguarda immigrati e senza casa: "Si sono fatti i soldi sulla povera gente", dice. Eppure considera "poco più che una boutade" l'ipotesi di scioglimento del Comune di Roma per mafia. "L'inchiesta  -  continua  -  non ha dimostrato infiltrazioni attuali. Sciogliendo il Comune si farebbe solo un favore alla mafia. Si sta lavorando per rendere le porte blindate e le pareti trasparenti". Infine spiega che "il costo della corruzione lo pagano i cittadini con le loro tasche, non lo pagano le istituzioni".

roma.repubblica.it

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