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di-matteo-c-ansaIntervento magistrato in opuscolo presentato a Palermo
9 aprile 2014
Palermo. "Da sempre c'è un tentativo di screditare, se non di azzerare, il fenomeno delle collaborazioni con la giustizia. Per fare questo strumentalmente vengono agitati sempre gli stessi argomenti: l'inaffidabilità di alcuni collaboratori e i depistaggi avvenuti in certi casi anche attraverso alcuni collaboratori di giustizia". Lo afferma il magistrato Nino Di Matteo, in un'intervista pubblicata sull'opuscolo 'Le memorie del male', all'interno della collana 'I quaderni dell'antimafia' curata dall'associazione Contrariamente e presentata nell'aula magna di giurisprudenza di Palermo.

"La storia di Spatuzza è emblematica - prosegue il magistrato nell'intervista - perché fino a quando le dichiarazioni dello stesso si limitavano a ricostruire gli aspetti della partecipazione materiale di cosa nostra alla strage di via D'Amelio, non vi fu alcuna polemica, anzi venne consolidata la figura di collaboratore attendibile. Diversamente, quando le sue dichiarazioni hanno evidenziato la possibilità che alla strage avessero partecipato anche soggetti esterni a cosa nostra e, soprattutto, quando le sue dichiarazioni hanno riguardato le sue conoscenze in merito ai rapporti con Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, non sono iniziate solo le polemiche, ma sul presupposto della cosiddetta tardività rispetto al termine di queste dichiarazioni, venne, dall'apposita commissione del ministero dell'Interno, quindi da un organismo politico, rigettata la richiesta del programma di protezione che tre procure della Repubblica, Palermo, Caltanissetta e Firenze, avevano avanzato".

"I collaboratori hanno capito - si legge ancora nell'intervista - che fin quando le loro dichiarazioni riguardano aspetti ordinari della mafia militare le loro dichiarazioni sono accettate dall'opinione pubblica; laddove invece le loro dichiarazioni riguardino le collusioni tra mafia e politica o mafia e istituzioni inevitabilmente a livello mediatico e politico scattano vere e proprie campagne di discredito, quando non ancora di diffamazione e calunnia nei loro confronti".

ANSA

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