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di Fabio Russello - 30 gennaio 2014
La crisi, gli arresti, la ricerca di nuovi leader il profilo basso e le connivenze con la politica.
«Cosa nostra è in perdurante affanno, impegnata in una frenetica rimodulazione degli assetti e delle catene di comando, con frequenti tentativi, ad opera di nuove leve, di rapide ascese all'interno dell'organizzazione». È questa la valutazione del fenomeno Cosa nostra contenuta nell'ultima relazione semestrale rilasciata lo scorso 27 gennaio dalla Direzione investigativa antimafia al ministro dell'Interno e al Parlamento.

Emerge una situazione di stallo all'interno di Cosa nostra alla ricerca di nuovi leader e di nuovi equilibri e anche alle prese con la crisi economica che non solo ha ridotto gli introiti delle estorsioni ma ha anche fatto sì che gli investimenti nell'economia legale siano diventati meno remunerativi tanto da registrare un ritorno al traffico di stupefacenti oltre che al tentativo di intercettare quanto più denaro pubblico possibile attraverso gli appalti servendosi delle connivenze negli apparati burocratici.

«Ridotte capacità operative in relazione alle quali i sodalizi sono orientati - si legge infatti nella relazione - a mantenere o a ricquistare il proprio potere di condizionamento sul territorio, a consolidare le strutture organizzative meno rigidamente vincolate rispetto al passato alla ripartizione territoriale, a eludere l'azione di contrasto, perpetuando la postura di basso profilo, a diversificare le attività criminali, ad inserirsi, attraverso il riciclaggio, in consistenti aree dell'economia legale, a infiltrare la pubblica amministrazione, per influenzarne le scelte e intercettare i flussi di denaro pubblico, privilegiando la metodologia corruttiva, a contrastare la crescita delle istanze legalitarie di giustizia sociale».

Dunque una mafia che - al di là dei colloqui bellicosi di Totò Riina - sembra ancora privilegiare la tattica del basso profilo anche perché, come rileva la Dia «rimane sullo sfondo un concitato processo di avvicendamento generazionale innescato, oltre che da un fisiologico turn over per il rimpiazzo degli arrestati, dall'esigenza di evitare fratture interne, dalle ambizioni di potere di soggetti emergenti, ma anche dalla fragilità di nuove alleanze». E infatti in tutte e nove le province si registra una perdurante pax mafiosa che coinvolge anche cosche stiddare. Dinamiche che comunque appaiono differenti nelle varie aree della Sicilia e dove comunque, spiegano ancora gli investigatori della Dia, «l'eliminazione fisica rimane uno strumento di risoluzione delle controversie e per ribadire l'autorità dei capi anche quando questi si trovano in carcere».

La Dia ha anche rilevato come l'ipotesi della latitanza all'estero sia una «opzione possibile» soprattutto grazie ai collegamenti internazionali di Cosa nostra (e in particolare i palermitani con gli americani e i canadesi). Cosa nostra ha comunque una «straordinaria capacità di penetrazione e di condizionamento del tessuto socio economico» e ha anche goduto di «grande disponibilità di capitali da riciclare e che ha regolarmente fatto fruttare nel circuito produttivo locale».

Solo che, come rilevato dagli analisti della Dia, la crisi economica sta facendo sì che Cosa nostra stia modificando l'impiego delle risorse: «Solo così è spiegato - si legge nella relazione - il rinnovato interesse per il traffico di sostanze stupefacenti che in Sicilia ha fatto registrare un significativo incremento». Una crisi che si ripercuote anche su altri settori «delicati» della mafia siciliana: «Segnali di criticità sono stati rilevati a proposito del mantenimento dei detenuti e delle rispettive famiglie che hanno dato luogo a rimostranze anche dal carcere». Persino le estorsioni - tradizionale «fonte» di guadagno per i mafiosi - sono in crisi: «È stata rilevata una tendenza alla diminuzione dell'importo del pizzo e a forme di dilazione». Cosa nostra inoltre «tollera» che «i criminali stranieri siano attivi secondo criteri stabiliti dall'organizzazione».

Un allarme è stato invece lanciato dalla Dia sulle connivenze con la politica: «L'aspetto più inquietante dell'agire mafioso continua a essere rappresentato dalla contiguità riscontrata in talune realtà territoriali con settori della politica e delle amministrazioni locali, che realizza un circuito perverso di condizionamento e depotenziamento delle istituzioni. Le evidenze investigative - si legge - rilevano in Cosa nostra la persistenza di equilibri instabili attribuibili sostanzialmente all'assenza di idonei quadri di comando ed alla ricerca di nuovi schemi organizzativi. Di contro la borghesia mafiosa e la rete di connivenze politico imprenditoriali convergenti si confermano punti di forza di Cosa nostra mediante l'elaborazione di progetti volti ad assicurarne la sopravvivenza». Non è un caso ad esempio che la stragrande maggioranza di confische e sequestri abbiano interessato le cosche siciliane. La Dia ha inoltre monitorato, per prevenire infiltrazioni mafiose, i grandi appalti per le opere pubbliche e in particolare, in Sicilia, i lavori di raddoppio della Strada Statale 640 Agrigento Porto Empedocle.

*articolo pubblicato su La Sicilia di oggi in edicola

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