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Era il 24 marzo 1999. I vertici militari e politici dell’Alleanza Atlantica decisero, quel giorno, di dare il via alle operazioni di attacco per imporre alla Serbia il rispetto degli Accordi di Rambouillet. Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1.100 aerei effettuarono 38mila sortite, sganciando 23mila bombe e missili. Gli obiettivi furono prevalentemente aziende di interesse strategico, centrali elettriche, ponti, strade, ferrovie. Obiettivi economici, insomma, molto più che militari. I danni vennero calcolati in 100 miliardi di dollari.

Ma come si arrivò a questa situazione? Perché, soprattutto, la NATO decise di intervenire scavalcando senza troppi problemi il Consiglio di Sicurezza dell’ONU?

La guerra in Jugoslavia fu una storia fatta di verità non dette, di manipolazioni mediatiche di portata internazionale, di traffici di armi illegali, di ricatti economici, di interventismo militare spacciato per “umanitario”. Ma fu anche la guerra che pose le basi della storia delle relazioni internazionali e della geopolitica dei successivi 30 anni, fino ad oggi. Soprattutto perché questa è stata la guerra che ha sancito un cambiamento epocale: l’emanazione del “Nuovo Concetto Strategico” dell’Alleanza Atlantica, avvenuta proprio a guerra in corso, il 24-25 aprile del 1999.

La nuova visione NATO, fondata sul cambio di prospettiva degli Stati Uniti avvenuto a seguito della dissoluzione dell’URSS, e sancita dal documento redatto dal neoconservatore Paul Wolfowitz, il “Defense Planning Guidance 1994-1999", stabiliva che, da quel momento in avanti, la NATO sarebbe potuta intervenire anche in situazioni di crisi non previste dall’Articolo 5 del Patto Atlantico.

Un cambio epocale, che da quel momento consentiva alla NATO di intervenire, potenzialmente, in qualsiasi scenario su scala globale. Di questo e tanto altro, delle cause storiche di questa guerra, del suo svolgimento e delle sue conseguenze ne abbiamo parlato con Francesco Ciotti in questa intervista.

Rubrica L'angolo di Piras
   

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