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Uno scandalo internazionale coperto da segreti di Stato e amnistie varie che costò all’Italia una condanna dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo

E’ uscito ieri, 5 febbraio, nelle sale cinematografiche “Ghost Detainee - Il caso Abu Omar", documentario scritto e diretto da Flavia Triggiani e Marina Loi con la collaborazione del giornalista Luca Fazzo che porta sul grande schermo la vicenda giudiziaria relativa al rapimento, avvenuto a Milano il 17 febbraio 2003, dell'imam milanese Hassan Mustafa Osama Nasr, noto come Abu Omar. Uno scandalo internazionale ricolmo di misteri e accordi sottaciuti. Il primo caso al mondo in cui un sequestro di Stato operato dalla CIA finisce al centro di un'indagine della magistratura di un Paese alleato. Distribuito da ILBE, che lo ha anche prodotto in collaborazione con In Bloom, Flair Media Production e La 7, il documentario ripercorre il rapimento attraverso interviste esclusive, collezionate tra Italia, Stati Uniti ed Egitto, paese d’origine di Abu Omar dove venne poi recluso e torturato in ogni modo. Davanti alla cinepresa si raccontano lo stesso Abu Omar, sua moglie Nabila Ghali, il pubblico ministero Armando Spataro, che ha svolto l'intera inchiesta, i giornalisti Mattew Cole della NBC News e Sebastian Rotella del Los Angeles Time, voci autorevoli a livello internazionale, ma soprattutto espone per la prima volta la propria versione Niccolò Pollari, all'epoca dei fatti capo dei servizi segreti italiani, che però continua a negare il coinvolgimento dell’agenzia “nell’azione”.

Il documentario è un riassunto di questi 21 anni di misteri costati all’Italia una condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

“Le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un’operazione di extraordinary rendition cominciata con il suo rapimento in Italia e continuata con il suo trasferimento all’estero”, scriverà la CEDU aggiungendo che l’Italia “ha violato il diritto del predicatore a non essere sottoposto a tortura e maltrattamenti”.

"Nei nostri documentari non abbiamo mai delle tesi precostituite, cerchiamo di rappresentare tutte le opinioni per far sì che lo stesso spettatore si faccia una propria idea in modo autonomo. Anche per questo abbiamo deciso di intervistare direttamente ad Alessandria d'Egitto l'ex Imam Abu Omar. Volevamo far sentire dalla sua voce, in esclusiva, e anche da quella di sua moglie, il racconto del rapimento, della carcerazione in Egitto e delle torture", ha commentato Flavia Triggiani. La co-regista Marina Loi ha aggiunto: "In questo racconto si spazia dalla Spy story al Legal, e momenti di grande azione si intervallano con tanti spunti di riflessione. Questa commistione di generi ci ha appassionato molto: da una parte scene di rapimenti, torture, degne di un film d'azione, dall'altro domande "universali" su quale sia il comportamento giusto in casi estremi come il post 11 settembre". "Con Ghost Detainee prosegue l'impegno di ILBE nella produzione di documentari di alto livello, destinati a un pubblico informato", ha dichiarato da parte sua Andrea Iervolino, CEO del Gruppo ILBE. "Dopo il successo de Le Mura di Bergamo, presentato in concorso al 73esimo Festival Internazionale del Cinema di Berlino e vincitore del Premio Miglior Documentario Italiano DPA al Torino Film Festival, ci siamo lanciati in questa nuova avventura, in cui crediamo moltissimo. Questa è una pellicola che fa luce su una storia controversa e che siamo certi saprà stimolare riflessioni e dibattiti".


ghost detainee abu omar vert

La vicenda giudiziaria, le amnistie e segreti di Stato

Furono 26 agenti gli operativi Cia imbeccati nell’indagine dei pm di Milano. Un’inchiesta coraggiosa che - almeno fino all’intervento propiziatorio della politica italiana del tempo - ha scosso la convinzione generalmente diffusa per la quale gli americani non potessero mai pagare per le loro azioni illecite in paesi amici. Non è un caso, infatti, che gli agenti della Cia non si preoccuparono di cancellare le loro tracce, né di usare contanti al posto delle carte di credito (gli agenti, per sorvegliarlo a Milano, spesero 120 mila euro in hotel). Per non parlare dei 17 cellulari lasciati attivi in via Guerzoni, il luogo del rapimento. O delle schede Viacard usate dai tre veicoli per pagare l’autostrada, con ingresso da Milano-Cormano e uscita al casello di Portogruaro, da dove hanno poi imboccato la strada per la base americana di Aviano in cui l’imam venne imbarcato a bordo di un Learjet con sigla militare “Spar 92”, stante per “personaggio non identificabile a bordo”. Nel caso emerse anche il coinvolgimento degli uomini del Sismi, sebbene la presidenza del Consiglio negò qualsiasi tipo di coinvolgimento nel sequestro. Gli uomini del Sismi vennero condannati ma finirono per essere salvati dal segreto di Stato e da una sentenza della Corte costituzionale che costringe i giudici penali a pronunciare una sentenza di “non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato”. Sul caso quattro governi italiani (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta) e due presidenti della Repubblica (Napolitano e Mattarella) si scomodarono a piazzare il sigillo del segreto di Stato o a concedere amnistie parziali. Amnistie di cui goderono anche alcuni degli operativi Cia imputati, tra ideatori e esecutori, a partire dal colonnello statunitense Joseph Romano, condannato a 7 anni e graziato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Abu Omar venne comunque condannato a 6 anni per terrorismo. Si scoprirà infatti che su di lui la procura di Milano aveva già messo gli occhi da tempo e la Digos era in procinto di arrestarlo. Ma il suo sequestro, realizzato nell’ottica della controversa guerra di Washington al terrorismo seguita ai fatti delle Twin Towers, fu qualcosa di immorale e inutile. “Non ha indebolito, ma rafforzato il terrorismo islamico”, spiega nel film il giudice svizzero Dick Marty. “Il nostro Paese dal dopoguerra a oggi ha avuto un ruolo che lo ha visto soggiacere agli interessi di potenze più significative, anche nell’ambito di alleanze liberamente accettate”, afferma il delegato per la sicurezza del governo Draghi Franco Gabrielli.

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