di Aaron Pettinari - 30 ottobre 2014
Il riferimento del Capo dello Stato ai rapporti tra l’ex Presidente della Repubblica e le associazioni che operavano nelle carceri, oggetto dell’inchiesta del pm Gabriele Chelazzi che interrogo’ i cappellani degli istituti di pena. Dieci anni dopo si scopre che il capo del Dap venne nominato da Scalfaro su indicazione di monsignor Curioni, ”un canale - ha detto il suo braccio destro Fabio Fabbri - attraverso il quale passava la diplomazia segreta del Vaticano per le operazioni più delicate”
“Scalfaro aveva suoi canali di associazioni religiose che operavano nelle carceri”, parola di Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Non c’è solo la conferma che la “Triade” dello Stato del 1993 (Scalfaro, Spadolini e lo stesso Napolitano) sapeva del ricatto messo in atto di Cosa nostra tra le informazioni che si ricavano dalla testimonianza quirinalizia al processo trattativa Stato-mafia. Dal ventre della “Sala Oscura” (così come era chiamata un tempo la Sala Bronzino, ndr) il Capo dello Stato si sarebbe lasciato andare in una dichiarazione apparentemente innocua ma che non può essere affatto sottovalutata: “Scalfaro con Parisi aveva un rapporto molto stretto. Poi aveva suoi canali di associazioni religiose che operavano nelle carceri”.
I prelati al Quirinale
Quest’ultimo riferimento sarebbe emerso in una delle tante domande effettuate dal legale di Totò Riina, Luca Cianferoni. “La risposta – ha ricordato lo stesso avvocato – è inserito nel contesto narrativo in risposta ad un quesito sull’allarme attentati nei confronti dei Presidenti delle Camere, che vedeva il Presidente Napolitano direttamente coinvolto”. Un dato che di fatto confermerebbe i legami tra l’ex Presidente della Repubblica ed i cappellani delle carceri e che potrebbe avvalorare quanto raccontato dall’ ex vice-ispettore generale dei cappellani delle carceri, Fabio Fabbri: sarebbe stato direttamente l’ex Capo dello Stato a decidere la rimozione dall’incarico del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Nicolò Amato. Il prelato, già testimone al processo Mori, raccontò di una convocazione ricevuta, assieme a monsignor Cesare Curioni (capo dei cappellani delle carceri, ndr) proprio dallo stesso Scalfaro nella primavera del 1993. “Caro monsignore – avrebbe detto Scalfaro a Curione, secondo il racconto di Fabbri – ho parlato ieri con il ministro della Giustizia Conso. La prego di dargli una mano per individuare il nuovo direttore generale (del Dap ndr) perchè con questa gestione basta”. Iniziò così la discussione interna per cambiare i vertici all’interno del Dipartimento di amministrazione penitenziaria e che portò al clamoroso avvicendamento tra Amato ed Adalberto Capriotti, all’epoca magistrato a Trento e privo dei titoli per assumere il nuovo incarico. Per consentirgli di diventare capo del Dipartimento fu necessario un decreto di Scalfaro che lo nominava direttore generale del ministero. E Curioni era uno che contava, secondo Fabbri ”era stato anche presidente della Commissione internazionale dei cappellani generali del mondo, la cui sede era a Parigi. Era un canale attraverso il quale passava la diplomazia segreta del Vaticano per le operazioni più delicate”.
Doppia sostituzione per il 41 bis
La doppia sostituzione, Amato-Capriotti al Dap e Martelli-Conso, appena pochi mesi prima, al ministero della Giustizia, secondo la Procura di Palermo poteva essere finalizzata a mettere in due posti chiave personaggi che avrebbero potuto accettare un atteggiamento meno rigido dello Stato in tema di carcere duro. Una linea confermata dalla nota di Capriotti, datata 26 giugno, in cui il neoeletto capo del Dap suggeriva di non prorogare gli oltre trecento 41 bis che sarebbero scaduti da lì alla fine del ’93 per “non inasprire ulteriormente il clima all’interno degli istituti di pena” e dare “un segnale positivo di distensione”. Fatto che poi avvenne nel novembre successivo nonostante la serie di note riservate ed informative di Sismi, Dia e Sco, tra agosto e settembre del 1993, in cui si ipotizzava il movente delle bombe: Cosa nostra voleva trattare sul carcere duro. E che la mafia con le stragi stesse dando un “aut aut” oggi lo ripete anche il Capo dello Stato Napolitano.
Tratto da: loraquotidiano.it