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di-matteo-sr-biggdi AMDuemila - 17 giugno 2012
Un'analisi sullo stato della lotta alla mafia e ai poteri ad essa collegati, un'occasione per fare il punto sulle indagini in corso che coinvolgono la classe politica, una critica al sistema dell'informazione succube delle logiche del potere. E' stato tutto questo la conferenza organizzata ieri a Melilli, in provincia di Siracusa, dall’Accademia discipline bionaturali, dall’associazione Dal cielo alla terra-Catania e dall’associazione culturale Falcone e Borsellino per presentare il libro “Assedio alla toga. Un magistrato tra mafia, politica e stato” di cui Nino Di Matteo, sostituto procuratore di Palermo è coautore. Proprio Di Matteo era l'ospite d'onore della serata assieme a Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Messina. Ad aprire la serata Enzo Tata, co-organizzatore dell’evento, presidente dell’Accademia discipline bionaturali, che ha introdotto l’incontro ricordando l’importanza del sostegno ai magistrati che svolgono indagini delicate come quelle di cui si occupa proprio il giudice palermitano.

Anna Petrozzi, caporedattrice di Antimafia Duemila nonché moderatrice della serata, ha sottolineato la grande semplicità del linguaggio del libro nettamente adatto ai giovani che si apprestano a conoscere la storia contemporanea del nostro Paese. “Esiste una parte dello Stato che è fedele alla Costituzione e ribalta quello che percepiamo dai Media. Se mai si raggiungerà la verità sul biennio stragista ‘92/’93 allora si che i giovani vivranno in una democrazia libera”.
Dopodiché è stata la volta di Di Matteo. “Sognavamo di dare un riscatto alla nostra terra, siamo entrati in magistratura e poi abbiamo vissuto le stragi rimanendone segnati e ne siamo stati segnati” ha detto ricordando di aver fatto lo stesso concorso per entrare in magistratura insieme a Sebastiano Ardita. Il Sostituto procuratore di Palermo ha spiegato le motivazioni che l'hanno portato a scrivere il testo: "Ne ho sentito il bisogno – ha detto - quando ho avvertito ancora più chiaramente una offensiva che ormai in maniera graduale, sistematica va avanti da decenni nei confronti della magistratura. Non intesa nella sua interezza, ma di quella parte che ancora in ossequio al principio fondamentale dell’uguaglianza,  si trova ad indagare anche nei confronti dei potenti”. Questi attacchi, ha proseguito Di Matteo, si sono verificati, “guarda caso”, ogni qual volta “si è alzato un po’ il tiro rispetto all’ala militare dell’organizzazione mafiosa. E sono sfociati in progetti di riforma dei quali sentiremo nuovamente parlare e che costituiranno un pericolo serio non tanto per i magistrati ma per voi cittadini, soprattutto quelli che appartengono alle fasce sociali più deboli".
“Non vedo la classe politica effettivamente orientata a combattere con decisione la corruzione e i rapporti tra mafia e politica, imprenditoria e istituzioni - ha continuato il magistrato - corruzione ed il rapporto mafia-istituzioni, politica ed imprenditoria sono due facce della stessa medaglia. In Italia ancora non ci si orienta a combattere con la stessa incisività con la quale si è combattuto con grandi risultati positivi il fenomeno mafioso, dal punto di vista della repressione militare. Manca il salto di qualità che è un passo decisivo per sconfiggere la mafia ed è la recisione dei rapporti tra mafia e la politica. E la politica in questo senso non sta cercando di fare nulla. E questo mi riempie di preoccupazione e di tristezza”.
Al giudice Ardita è toccato il compito di approfondire la questione dell’iter che ha portato all'applicazione del 41 bis partendo dal dopo strage di Capaci in poi che porta con sé la piena attuazione del regime di carcere duro. “In quegli anni successe qualcosa – ha ricordato l'ex Dap - ci furono comportamenti istituzionali che non furono lineari proprio in merito al 41 bis. Il carcere duro è una vera spina nel fianco di Cosa Nostra e deve essere un punto fermo delle istituzioni”. Poi ha proseguito sottolineando come nel passato da parte di queste ci sia stato solamente “un contenimento dei fenomeni mafiosi” e non la loro eliminazione. Ardita ha quindi evidenziato come le indagini sulla trattativa siano indagini fondamentali: “Ci sono troppi aspetti che sono incomprensibili, la morte di Borsellino è una morte annunciata. Le stragi del ’92 sono state una chiave di volta e la ricerca della verità deve essere una necessità per tutti noi o dobbiamo lasciare solo ai familiari delle vittime di mafia la ricerca della verità?”.  
Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila ha iniziato il suo intervento sottolineando proprio come solo la verità possa rendere libero l'uomo: “lo disse anche Gesù Cristo: ‘conoscerete la verità e la verità vi farà liberi’”. Poi ha aggiunto: “Magistrati come Antonino Di Matteo, Antonio Ingroia ed altri hanno nelle mani inchieste delicatissime. E se verranno confermate le ipotesi di reato da loro formulate contro imputati eccellenti della portata di Mancino, Dell’Utri, Mannino allora saremo chiamati a riscrivere la storia del nostro Paese, dal 1992 ad oggi. La storia di uno Stato che ha consentito la morte di Giovanni Falcone e ha voluto, ha chiesto quella di Paolo Borsellino”. Bongiovanni ha sottolineato poi l’importanza di “dare la faccia per sostenere i magistrati” che stanno svolgendo le indagini sulla trattativa tra Stato e mafia negli anni delle stragi, per non incorrere nel rischio che la storia degli stessi Falcone e Borsellino, come di altre vittime di mafia, possa ripetersi. Per non correre il rischio che possano essere ammazzati”. E proprio in merito ha ricordato poi la gravità dell'attacco contro i magistrati Ingroia e Di Matteo, effettuato da Giuliano Ferrara in un'intervista andata in onda al Tg1. Un attacco “che sa di segnale alla mafia per individuare quali magistrati colpire”. “I magistrati di oggi – ha proseguito il direttore di Antimafia Duemila – si stanno avvicinando alla verità ed è bene che tutti noi cittadini comprendiamo fino in fondo che se la battaglia contro l’ala militare della mafia l’abbiamo quasi vinta quella contro i complici è ancora all’inizio, perché tra i complici c’è il nostro stesso Stato”.
Di Matteo è intervenuto nuovamente per ribadire l'importanza di un salto di qualità della lotta alla mafia, potenziando l’articolo 416 ter voto di scambio politico-mafioso, come presentato ufficialmente lo scorso maggio quando è stata proposta una “legge Borsellino”. Proprio Borsellino alla conferenza di Bassano del Grappa aveva espresso che il “salto di qualità” le mafie lo fanno proprio attraverso i rapporti esterni. Prendendo spunto da ciò la ‘Fondazione Progetto Legalità onlus, di cui fa parte lo stesso Di Matteo, in memoria del giudice e di tutte le altre vittime della mafia’ ha sottoposto all’attenzione del Governo e dei componenti delle Camere la riformulazione del 416 ter del codice penale nella seguente maniera: “La pena stabilita dal primo comma dell'articolo 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio della promessa di denaro o di altre utilità per sé o per un terzo”.
Tra i temi toccati all'interno della conferenza anche la responsabilità degli organi di informazione nel raccontare correttamente i fatti. “Spesso la politica si serve della disinformazione da parte di certa stampa soggiogata alla stessa per far credere cose non vere. - ha detto Di Matteo - La sentenza Dell'Utri è un esempio chiaro. Hanno parlato di assoluzione quando la condanna di appello è stata annullata con rinvio. Ciò non significa che il senatore Dell'Utri sia stato ritenuto innocente. Mentre in molti hanno detto proprio questo. Spesso la politica mente sapendo di mentire. Altri ancora delegano alla sola magistratura il compito di fare chiarezza e ciò non è possibile”.
Anche Ardita ha fatto un esempio di disinformazione capace di veicolare messaggi fuorvianti, come la vicenda delle presunte offese a Provenzano da parte del figlio di Riina dal carcere di Terni. Sui giornali era apparsa la notizia secondo la quale Giovanni Riina, secondogenito del capo dei capi, all’entrata di Provenzano nel carcere di Terni avrebbe esclamato: “Questo sbirro qui l’hanno portato?”. “Fatto che  – ha raccontato il magistrato – era priva di ogni fondamento”. L'ultimo intervento è stato ancora del direttore di ANTIMAFIADuemila Bongiovanni che ha voluto approfondire la questione del riciclaggio del denaro da parte di Cosa Nostra leggendo un estratto della sentenza della Prima Corte di Assise di appello di Roma del 2010 (Presidente Guido Catenacci) relativa all’omicidio di Roberto Calvi: “Cosa nostra, nelle sue varie articolazioni, impiegava il Banco Ambrosiano e lo IOR come tramite per massicce operazioni di riciclaggio”. “Noi – ha concluso – abbiamo di fronte un’organizzazione criminale che è parte del potere e che convive con lo Stato. Se non prendiamo coscienza di questo poi ci ritroveremo a versare lacrime di coccodrillo a seguito di possibili nuovi eventi tragici. Dobbiamo avere il coraggio di scendere in piazza per sostenere questi valorosi magistrati, per liberare la nostra terra da questo male”.

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