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dellutri-marcello-bigdi Giuseppe Lo Bianco - 8 marzo 2012
È l’approdo delle indagini su mafia e politica nel ventennio berlusconiano, un bivio determinante per l’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato e può cambiare, in caso di condanna, un pezzo importante degli equilibri geopolitici in Sicilia: ecco perché c’è un’attesa crescente, nei salotti e nelle borgate palermitane, per la sentenza pronunciata domani dalla quinta sezione della Cassazione su Marcello Dell’Utri, condannato in appello a sette anni per concorso in associazione mafiosa.

Il senatore ha affidato la sua difesa all’avvocato Massimo Krogh, legale di molti nomi eccellenti della finanza e di Calciopoli, con un passato in magistratura. A giudicarlo sarà un collegio presieduto da uno dei “fedelissimi” di Corrado Carnevale (detto “l’ammazzasentenze”), il giudice Aldo Grassi, che al telefono con Carnevale negli anni 90 non aveva trovato le parole per interrompere (o semplicemente commentare) il monologo del-suo “maestro” colmo di offese e insinuazioni contro Falcone e la moglie Francesca Morvillo, “messa lì (da Falcone nei collegi d’appello, ndr) per fregare qualche mafioso”.

A scrivere la sentenza della Cassazione sarà il consigliere Maria Vessicchelli, che svolgerà la relazione introduttiva dell’udienza. Il resto del collegio sarà composto da Stefano Palla, Carlo Zaza e Gerardo Sabeone. Nessun commento, naturalmente, dagli addetti ai lavori - il pm d’appello Nino Gatto e gli avvocati-, sulle ragioni di opportunità di una decisione affidata a un magistrato di Cassazione da sempre inserito nella ristretta cerchia di un “gruppo di fidati magistrati – è scritto nella sentenza Carnevale – che volontariamente aderivano in modo compatto alla linea giurisprudenziale del presidente (Carnevale, ndr), improntata a grande rigore critico nella valutazione dell’operato dei giudici di merito, atteggiamento ipercritico tanto più accentuato nei processi indiziari, come quelli concernenti la criminalità organizzata”.

E se è vero, come scrive la Suprema Corte a sezioni unite, che “l’adesione a un orientamento giurisprudenziale di un certo tipo rappresenta una scelta personale e professionale, che non può indurre sospetti di sorta” (Grassi fu indagato, e poi archiviato, per una vicenda legata a un annullamento dubbio di cui aveva parlato il pentito Cancemi), è pur vero che la scelta di affidare a Grassi il processo Dell’Utri condotto dalla stessa procura che ha processato il suo leader Carnevale rischia di porgli non pochi imbarazzi, e qualche problema di opportunità. Che si aggiunge alle ombre, mai dissolte, sulla gestione delle inchieste agli inizi della sua attività di pubblico ministero a Catania, a metà degli anni 80, quando la città etnea era governata da un comitato di affari guidato dai quattro cavalieri del Lavoro, Graci, Rendo, Costanzo e Parasilliti, sui quali stava indagando il generale Dalla Chiesa, poco prima di essere ucciso. Il nome di Grassi e del procuratore Di Natale, finì in un rapporto di 350 pagine redatto dagli ispettori ministeriali inviati per capire perché, come scrisse I Siciliani di Pippo Fa-va, ucciso l’anno prima, i cavalieri accumulavano “centinaia di miliardi di illecito profitto truffando lo Stato, mentre i rapporti d’accusa della Finanza sulla loro attività rimanevano seppelliti nel cassetto del procuratore”. Alla fine il procuratore fu trasferito d’ufficio, Grassi fu invece “salvato” dal Csm (e dal Guardasigilli Martinazzoli) e chiese il trasferimento a Messina: “Dieci componenti del Csm (gli otto di Magistratura Indipendente più il repubblicano Frosini e la democristiana Fumagalli Carulli) – scrissero i giornalisti Claudio Fava, Riccardo Orioles e Miki Gambino – hanno presentato un documento che costituiva una vera e propria difesa di ufficio del sostituto procuratore Aldo Grassi: “...qualcuno di loro è arrivato al punto, pur di difendere Grassi, di attaccare sul piano personale, e in maniera del tutto immotivata, gli ispettori ministeriali, accusandoli di ‘faziosità’ e di difesa di tesi ‘precostituite’”.

Un atteggiamento frutto, secondo il settimanale, di coperture importanti: “Un accanimento nel difendere l’indifendibile verginità del sostituto Grassi – scriveva I Siciliani – che non può spiegarsi solo con la solidarietà di corrente (anche Grassi fa parte di MI), e che si ricollega al bizzarro comportamento del ministro Martinazzoli sul ‘caso Catania’: di fronte a una relazione che parla chiaramente di ‘incompatibilità ambientale’ per Di Natale e Grassi, e che ravvisa in alcuni dei loro atti dei comportamenti censurabili anche sul piano penale, Martinazzoli ha chiesto al Csm il semplice trasferimento di Di Natale e si è del tutto dimenticato di Aldo Grassi. Una omissione apparentemente inspiegabile”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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