di Antonio Nicola Pezzuto
Venerdì 17 giugno 2016 rimarrà per sempre una data storica nella lotta alle mafie. La Corte di Cassazione ha definitivamente riconosciuto l’esistenza di un’organizzazione criminale denominata ‘ndrangheta, caratterizzata da una struttura unitaria e verticistica.
È stato lungo e tortuoso il percorso che ha portato al raggiungimento di un risultato eccellente, unico e straordinario. Tutto merito di una squadra formidabile di Magistrati coadiuvata da uomini di eccelso valore come quelli del Comando Provinciale dei Carabinieri diretto dal Generale Pasquale Angelosanto, della Squadra Mobile del Dott. Renato Cortese e del ROS del Colonnello Stefano Russo.
Un pool di Magistrati che, dal 2008, ha portato un nuovo metodo di lavoro a Reggio Calabria. Al fianco del Procuratore Capo Giuseppe Pignatone c’erano i due Aggiunti Michele Prestipino e Nicola Gratteri e un gruppo di giovani e brillanti Sostituti: Giovanni Musarò, Antonio De Bernardo (in foto) e Maria Luisa Miranda. Sono stati loro gli artefici delle indagini, sono stati loro a farsi carico di una mole impressionante di lavoro.
Non è stato facile perché chi cerca di scoprire la verità viene spesso ostacolato. Non era solo la ‘ndrangheta a temere che la Procura riuscisse a portare a termine con successo il suo lavoro, ma tutto un “Sistema” che le ruota intorno. E proprio questo “Sistema” invia l’insospettabile commercialista ed amministratore di beni confiscati, Giovanni Zumbo, a casa di Giuseppe Pelle nel tentativo scongiurato di far fallire l’indagine.
Crimine è un processo particolare, come scrivono gli stessi Magistrati nella memoria presentata in Corte d’Appello. Infatti, “alla maggior parte degli imputati è contestato un solo delitto, quello di partecipazione all’associazione unitaria denominata ‘ndrangheta. Non è il classico processo di mafia nel quale viene processata una singola cosca o al massimo due. In questo processo compaiono i cognomi di numerose famiglie dei tre mandamenti di ‘ndrangheta: quello Tirrenico (es. Pesce e Bellocco di Rosarno, Alvaro di Sinopoli, Longo di Polistena, Lamari di Laureana di Borrello), quello di Reggio Centro (es. Alampi, Gattuso), quello Jonico (es. Iamonte di Melito P.S., Maisano di Palizzi, Zavettieri di Roghudi, Commisso di Siderno, Marvelli di Natile di Careri, Aquino di Marina di Gioiosa Jonica)”.
L’idea di contestare il solo reato associativo ha costituito una precisa scelta di campo operata dalla DDA di Reggio Calabria. Nel processo Crimine, infatti, erano imputati soggetti appartenenti a famiglie coinvolte in processi paralleli per associazione mafiosa: Bene Comune - Recupero, Mafia dei Boschi, Mistero, Ramo Spezzato, Kontakorion-Parola d’onore, Testamento, Alta tensione, Epilogo, Cosa Mia, All Inside, Vento del Nord, Reale, Scacco Matto, Reggio Sud, Solare 2 - Crimine 3, Circolo Formato, solo per citarne una parte. A questo elenco vanno aggiunte le operazioni “Infinito” della DDA di Milano e Minotauro della DDA di Torino ed i numerosi reati-fine contestati in quei procedimenti. Già questo basta “per dimostrare quanto sia infondato l’assunto secondo il quale ci sarebbe una ‘ndrangheta meno pericolosa e una ‘ndrangheta più pericolosa, una ‘ndrangheta affezionata ai rituali e una ‘ndrangheta che usa armi e penetra nei mercati, una ‘ndrangheta buona e una ‘ndrangheta cattiva: la ‘ndrangheta è unica e unitaria”.
Nella sentenza di primo grado emessa l’8 marzo 2012, il Gup prima richiama le parole di Giovanni Falcone (“La verità è che, come è stato ben evidenziato, non esiste la “vecchia mafia” e la “nuova mafia”. Esiste la Mafia, che però è cambiata nel tempo perché si è adattata ai cambiamenti dell’economia e della società in genere”) e poi afferma: “Riprendendo questi concetti, perfettamente applicabili al fenomeno ‘Ndrangheta calabrese, a giudizio del Tribunale è evidente che non può parlarsi di una ‘Ndrangheta vecchio stile, che si limita a rituali inoffensivi, e di una ‘Ndrangheta militare o che si insinua negli affari o che si dedica al narcotraffico: la ‘Ndrangheta, anche quella che importa dal Sudamerica cocaina o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche, è quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale e risalente nel tempo, che la “globalizzazione” del crimine non ha eliminato ma che, probabilmente, costituisce la forza di quella organizzazione ed il suo valore aggiunto”.
Importanti le dichiarazioni rilasciate dal collaboratore Paolo Iannò durante l’udienza del processo di primo grado tenutasi presso il Tribunale di Locri il 17 maggio 2013: “La ‘ndrangheta è unica e sola, la ‘ndrangheta ordina i delitti, ci sono state le faide, ci sono stati omicidi fra di loro, faide fra locali e tutte cose, ma una ‘ndrangheta… che esistono due ‘ndranghete no, esiste che la ‘ndrangheta è un corpo, ha regole sociali e nasce a Reggio e si radica in tutte le parti del mondo”.
È fondamentale puntualizzare che Paolo Iannò non era un collaboratore qualunque, ma uno che aveva fatto parte della Provincia e quindi conosceva bene la struttura della ‘ndrangheta e le sue dinamiche interne.
L’obiettivo dei Magistrati della DDA di Reggio Calabria, pienamente raggiunto, non era quello di ricostruire l’organigramma di ciascuna cosca ma di delineare la struttura dell’organizzazione nel suo complesso, di individuare gli organi che la compongono e le “norme” che regolano i rapporti al suo interno.
Per capire la straordinaria importanza della rivoluzionaria sentenza della Cassazione basta sottolineare che nella relazione predisposta il 23 febbraio 2010 dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione si legge che “il concetto di ‘ndrangheta, largamente diffuso sul piano sociologico (…) non ha invece trovato un riscontro altrettanto diffuso in sede giudiziaria” e si indica una questione fondamentale da approfondire, “quella dell’unitarietà dell’organizzazione nel suo complesso e dell’esistenza di eventuali organi di vertice dotati di una certa stabilità”.
Il processo “Crimine” costituisce una svolta: in nessuna sentenza divenuta irrevocabile era stata riconosciuta l’esistenza della ‘ndrangheta come fenomeno criminale unitario, gerarchico e piramidale. Obiettivo adesso pienamente raggiunto in quanto è stato dimostrato che la ‘ndrangheta è un’organizzazione complessa ma unitaria, divisa in tre mandamenti e con articolazioni anche in regioni diverse dalla Calabria e addirittura fuori dal territorio nazionale. È un’organizzazione dotata di un organo di vertice denominato Provincia a cui fanno capo tutte le locali di ‘ndrangheta del mondo.
Processo Crimine: genesi di una sentenza storica
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