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borsellino-agnese-webNiente audizioni e confronti per alcuni vecchi protagonisti del ‘92
di Lorenzo Baldo - 20 aprile 2012

Palermo. “Con riferimento alle richieste probatorie già illustrate all’udienza del 30 marzo (…) si rappresenta che: la signora Agnese Piraino Leto, moglie del giudice Borsellino, dovrebbe riferire in merito alle confidenze del marito nel periodo immediatamente antecedente la strage (e quindi sostanzialmente coincidente con quello, indicato da Massimo Ciancimino e da altre fonti processuali, nel quale gli ufficiali del Ros avevano già iniziato a sviluppare il loro rapporto con Vito Ciancimino).

Il teste dovrebbe in particolare riferire i giudizi espressi dal dott. Borsellino sul generale Subranni (all’epoca superiore diretto dell’odierno imputato) e la manifesta ‘preoccupazione’ del marito per il ‘dialogo in corso tra pezzi delle Istituzioni e l’organizzazione mafiosa’ (Agnese riferì che il marito le aveva detto “Subranni è punciuto…”, ndr). La pertinenza è ancora più evidente ove si pensi a quanto già acquisito in dibattimento (anche dalla testimonianza della dott.ssa Ferraro) sulla circostanza che il dott. Borsellino fosse stato informato dei contatti tra i carabinieri e Vito Ciancimino”. Sono queste le parole utilizzate dal pm Antonino Di Matteo all’udienza odierna del processo Mori-Obinu per motivare l’importanza di ascoltare in dibattimento la vedova del giudice assassinato il 19 luglio 1992. A questa richiesta la Corte della IV sezione penale presieduta da Mario Fontana, dopo una breve camera di consiglio, ha dato  il consenso. Parere favorevole è stato dato ugualmente alla richiesta dell’accusa di ascoltare due ex colleghi di Borsellino, Alessandra Camassa e Massimo Russo. I due dovranno approfondire i dettagli che ruotano attorno alla frase del giudice assassinato da Cosa Nostra “un amico mi ha tradito” pronunciata alcuni giorni prima della strage. Alla Camassa verrà ugualmente richiesto di spiegare ulteriormente quegli “sprezzanti apprezzamenti sulla ‘pericolosità’ del generale Subranni e del colonnello Mori accompagnati dalla preoccupazione che il dott. Borsellino potesse essersi ‘fidato troppo’ dei medesimi ufficiali” appresi in quel periodo dall’ex maresciallo Carmelo Canale. La Corte ha ugualmente acconsentito all’audizione del generale Antonio Subranni e di Riccardo Guazzelli (figlio del maresciallo Giuliano Guazzelli, assassinato il 4 aprile del ’92, ndr). Dal canto suo Di Matteo ha specificato che l’esame del generale Subranni e di Riccardo Guazzelli ruota attorno alla “ventilata ipotesi di attentati contro esponenti politici di spicco tra i quali l’allora ministro Mannino” ed alla questione dei “ripetuti contatti informali tra l’on. Mannino ed esponenti dei carabinieri (tra i quali il comandante del Ros) aventi ad oggetto i timori del predetto esponente politico per la prosecuzione della strategia di attacco violento alle istituzioni da parte di Cosa Nostra”. E questo proprio “nel periodo in cui l’organizzazione mafiosa aveva deciso di uccidere l’on. Mannino e, di poco, antecendente l’instaurarsi del rapporto tra il Ros e Vito Ciancimino ‘per porre fine alle stragi’”. Il Tribunale ha accolto ugualmente la richiesta della Procura di ascoltare Nicola Cristella, ex caposcorta del numero due del Dap, Francesco Di Maggio e la giornalista del Fatto Quotidiano Sandra Amurri. In merito a Cristella il pm Di Matteo ha ribadito l’importanza della testimonianza di quest’ultimo non tanto per la sua conoscenza relativa agli stretti rapporti tra il Di Maggio e Mori, quanto invece in merito alle “richieste” e alle “pressioni” che l’ex vice capo del Dap ricevette dall’on. Mannino “proprio per ‘attenuare’ il 41 bis” di cui era venuto a conoscenza, così come “sulla ‘condivisione’ di tale circostanza con altri soggetti istituzionali tra i quali l’odierno imputato Mori e l’allora suo subordinato generale Ganzer”. Per quanto riguarda la giornalista Sandra Amurri Di Matteo ha sottolineato “la pertinenza” della sua audizione in merito a quanto dalla stessa direttamente percepito dalle parole dell’on. Mannino (nel corso di una conversazione tra quest’ultimo ed il suo ex collega della DC Giuseppe Gargani) in merito alle indagini della Procura di Palermo sulla trattativa, “sulla rispondenza a verità delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino sul punto, sulla necessità di adoperarsi per ‘concordare una versione comune’ con altri esponenti politici che erano stati chiamati a rendere informazioni all’Autorità Giudiziaria anche in esito alle dichiarazioni del Ministro Scotti sui motivi del suo ‘avvicendamento’ con il Ministro Mancino”. In ultimo la IV Sezione del Tribunale ha accolto la richiesta di ascoltare nuovamente il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo in merito ai “commenti” ed ai “riferimenti” che, a margine degli interrogatori nel luglio del ’92 “il dott. Borsellino fece al tema della trattativa ed, ancor più in particolare, al tema dei benefici per i c.d. ‘dissociati’”. Secondo il pm il Mutolo “potrà inoltre fornire al riguardo del coinvolgimento diretto dell’odierno imputato Mori nella trattativa”. Inspiegabilmente la Corte ha ritenuto però irrilevanti i confronti tra gli ex ministri Claudio Martelli e Nicola Mancino e tra quest'ultimo e Vincenzo Scotti. Il tribunale ha, inoltre, respinto l'esame dell'ex guardasigilli Giovanni Conso e degli ex capi del Dap Nicolò Amato e Adalberto Capriotti. Di Matteo ha provato inutilmente a illustrare l’importanza di simili confronti ricordando i palesi contrasti che erano già emersi dalle dichiarazioni di questi uomini delle istituzioni. Prima della decisione del collegio giudicante il pm ha evidenziato che a seguito delle dichiarazioni di Giovanni Brusca, Massimo Ciancimino e attraverso una documentazione riconducibile a Vito Ciancimino ci si trovava di fronte ad un “prospettato collegamento, nell’ambito della trattativa, tra la condotta dell’odierno imputato Mori e le ‘garanzie’ e ‘coperture politiche’ asseritamente assicurate dal Ministro Mancino”, ma la Corte ha deciso diversamente. Prossima udienza venerdì 4 maggio.

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