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rostagno-mauro-web0di Maria Loi - 14 marzo 2012
Trapani. C’era un forte interesse da parte del capomafia di Mazara del Vallo Mariano Agate che Rostagno “tacesse” per le continue denunce del giornalista.  L’ha riferito il pentito Francesco Marino Mannoia nel corso della sua deposizione a Trapani al processo per la morte del giornalista- sociologo Mauro Rostagno ucciso il 26 settembre 1988 in contrada Lenzi, a Valderice, (Trapani). Per il delitto Rostagno due sono gli imputati: il boss di Trapani, Vincenzo Virga, accusato di essere il mandante del delitto, e Vito Mazzara, indicato come uno degli esecutori materiali del delitto.

All’interno di Cosa Nostra si commentava spesso l’attività del giornalistica. Il collaboratore di giustizia, in videoconferenza da una località segreta, ha infatti confermato davanti ai giudici della Corte d'Assise di Trapani di avere appreso la notizia del delitto quando si trovava nel carcere dell'Ucciardone, durante il periodo del maxiprocesso, da parte di altri detenuti palermitani vicini ad Agate. In particolare “Giulio Di Carlo e Nenè Geraci” avevano commentato il fatto che il giornalista “rompesse a ‘marineddu’ (Mariano Agate ndr) definendolo un mafioso. Pentito di rango, Francesco Marino Mannoia, diventato collaboratore di giustizia con Falcone, è stato al centro di numerosi processi che hanno fatto storia, su tutti quello al senatore a vita Giulio Andreotti. Come i parenti di don Masino (Tommaso Buscetta) anche i suoi furono massacrati; la mafia ammazzò in un sol colpo, a Bagheria, la madre, la zia e la sorella. Un prezzo alto che pagò per quella sua scelta di collaborazione. Dopo 17 anni trascorsi negli Usa dal febbraio 2010 per la giustizia italiana Mannoia è diventato  però un cittadino libero che ha scontato ormai tutte le sue pendenze e vive in una località segreta. L'audizione di Mannoia è andata a rilento, poiché, a causa dell'enorme lasso di tempo trascorso rispetto alle originarie dichiarazioni rese circa vent'anni fa, Marino Mannoia non è riuscito a ricordare molti fatti ed il pubblico ministero ha dovuto procedere a continue contestazioni. Infatti alla domanda del pm Paci se Agate gli avesse mai parlato di Rostagno, Mannoia ha detto di non ricordare confermando solo di avere appreso le lamentele del boss: “Non ho certezza di fatti, con ciò – ha precisato - non posso dire che Mariano Agate è coinvolto nell’omicidio” sebbene all’interno dell’organizzazione “il semplice manifestare un malumore stava a significare che quella persona andava eliminata”.
Poi è stata la volta del collaboratore Francesco Di Carlo. Capo interamente rasato, non si è potuto scorgere altro dell’ex boss di Altofonte. Nascosto dietro un paravento bianco ha parlato del suo ingresso all’interno di Cosa Nostra  e della scalata (fino al lontano 1982) all’interno dell’organizzazione criminale. Poi la decisione di “dimettersi” da Cosa Nostra, uscendo così dalle gerarchie “ordinarie” e il suo trasferimento a Londra dove vi rimarrà fino al 1996. In merito al delitto di Mauro Rostagno ha detto di aver chiesto a Benedetto Capizzi e Giuseppe Giovanni Caffrì ma di aver saputo, qualche mese dopo l’omicidio dallo stesso Caffrì, con il quale aveva continuato ad avere contatti fino al 1994 (nonostante il suo trasferimento a Londra), che la morte del giornalista era un “fatto nostro”, una decisione, ha spiegato, “presa all'interno di Cosa Nostra” e non come dicevano i giornali “una pista interna”. Caffrì, cognato di Andrea Di Carlo (fratello del pentito), fu assassinato nelle campagne di Altofonte due anni dopo, il 30 agosto 1996.
Il Tribunale ha rinviato l’udienza al 28 marzo prossimo.

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