di Aaron Pettinari
“Si può dire che ci sia stata una trattativa di polizia”
"Non ho mai avuto alcun sentore di una trattativa politica con la mafia. Casomai si può dire che ci sia stata una trattativa di polizia. In una fase in cui non c'erano pentiti né gli strumenti tecnologici attuali accadeva spesso che le forze di polizia avessero relazioni con i boss ad esempio per negoziare informazioni”. A parlare è Luciano Violante, ex magistrato ed ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, sentito ieri al processo d’appello in abbreviato sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, nei confronti dell’ex ministro Dc Calogero Mannino, accusato di minaccia a Corpo politico dello Stato e assolto in primo grado. Appena una settimana è trascorsa dall’emissione della sentenza della Corte d’Assise al processo con rito ordinario e Violante ha detto di non essersi “mai accorto dell'esistenza di una trattativa politica” e di non averne “mai avuto sentore” dipingendo l’immagine di un Governo impegnato nella lotta alla mafia. "Mancino, Martelli, Scotti e Scalfaro erano decisi contro la mafia non solo a parole, ma anche con i fatti" ha ribadito rispondendo alle domande dei sostituti Pg Giuseppe Fici e Sergio Barbiera.
Ma poi ha spiegato alla Corte (presidente Adriana Piras e giudice a latere, Maria Elena Gamberini) che quella “trattativa di polizia” avveniva “in una fase in cui non c’erano collaboratori di giustizia e neanche strumenti tecnologici come le microspie. Accadeva che le autorità di polizia avevano relazioni con capi mafia locali, al fine di negoziare confidenze e relazioni. Complessivamente leggendo col senno di poi la negoziazione di polizia c’è stata”. L’ex Presidente della Camera da una parte ha detto che, guardando agli arresti ed i beni confiscati, “se ci fosse stata una trattativa per Cosa nostra sarebbe stata in perdita”, dall’altra ha ammesso alcune stranezze: “Una cosa che colpisce è che Provenzano riusciva a sfuggire agli arresti anche all’ultimo momento. E anche la mancata perquisizione della casa di Riina”. Ma poi non ha aggiunto più nulla sul punto.
Certo è che Violante rientra perfettamente nell’elenco dei cosiddetti “smemorati di Stato” che hanno recuperato la memoria a distanza di anni dalle stragi.
Ai magistrati ha raccontato certi fatti solfando nel 2009, dopo aver letto sul Corriere della Sera le parole di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Ai pm Violante raccontò di aver avuto alcuni incontri con il colonnello Mario Mori, proprio nel 1992, e ieri lo ha confermato nuovamente: “Io ero da poco tempo Presidente della Commissione antimafia, lui mi disse che Vito Ciancimino voleva avere un colloqui privato con me e che avrebbe chiesto qualcosa in cambio. Io dissi che non facevo colloqui privati e se lui avesse voluto essere sentito lo doveva chiedere formalmente alla Commissione antimafia”. Quale fosse quel “qualcosa in cambio” Violante ha detto di non aver mai saputo se fosse “qualcosa di personale o altro”, però ha anche dichiarato che quando chiese a Mori se avesse avvisato l’autorità giudiziaria di quel contatto con Ciancimino “rispose che è una questione politica, non giudiziaria. E che lui si avvaleva della facoltà di non rivelare la fonte (articolo 203 del cpp, quello relativo agli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza)”.
Violante ha anche parlato di un altro incontro con Mori (in totale sono tre, ndr) in cui “il colonnello mi disse che Ciancimino aveva ritirato la richiesta di colloqui personale e che era disponibile a venire in Commissione. Inoltre mi portò un libro di Ciancimino sulla mafia, dicendo che era interessante. Quando fu formalizzata la richiesta di audizione di Ciancimino io informai l’ufficio di presidenza e il 29 ottobre decidemmo di sentirlo, ma non subito, perché avevamo un programma di lavoro specifico”. In base al racconto dell’ex Presidente della Camera il terzo incontro con l’ufficiale dell’Arma sarebbe avvenuto qualche tempo dopo: “In quell’occasione commentammo il libro e gli dissi che era banale ed inutile e lui concordò con me. A quel punto non capii il motivo per cui me lo aveva dato. Però insistette sull’opportunità di sentire Ciancimino. Credo gli dissi che avremo sentito ma nel programma deciso da noi”.
Le bombe del 1993
Violante, esaminato per poco più di un’ora, ha ripetuto quanto detto durante il procedimento in ordinario.
Ancora una volta è tornato a parlare della relazione della Dia del 10 agosto 1993 in cui si procedeva ad un’analisi delle stragi del 1993 e si scriveva che “un’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione dell’Art. 41 bis” avrebbe potuto “rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Un documento eccezionale dove per la prima volta compare il termine “trattativa”, utilizzato per descrivere quello che stava accadendo nell'immediato post stragi.
Violante ha anche ricordato che da parte sua vi fu un’intervista in cui “denunciai un certo ammorbidimento sul 41 bis e che Riina non era ancora al carcere duro, nonostante l’arresto. Era in giro per processi e non si era ancora mai fatto neanche un giorno a l’Asinara. Ricordo che eravamo in agosto a Camere chiuse. Dissi anche che quelle bombe del 1993 erano le ‘bombe del dialogo’. E le vittime erano state accidentali. Perché se si mettono delle bombe di notte dimostra che non vuole uccidere”. Quel termine, “accidentali”, che pesa come un macigno di fronte ai morti innocenti di Firenze e Milano.
Annacondia e la “doppia ala” di Cosa nostra
Nella deposizione dell’ex Presidente della Commissione antimafia non mancano alcuni tasti dolenti. Rispondendo alle domande dei Pg ha dichiarato che nell’autunno del 1992 era già chiaro che in Cosa nostra vi fosse una doppia ala con “Riina propenso all’attacco violento e Provenznao più propenso ad una mediazione finanziaria”. Informazioni che, a detta del politico, sarebbero arrivate da “fonti di polizia”. Eppure, così come aveva sottolineato il pm Antonino Di Matteo nella sua requisitoria “l’unica fonte ad aver dipinto quella situazione era stato Vito Ciancimino. E’ lui l’unico ad aver descritto al Ros l’esistenza di una divergenza di strategia tra Riina e Provenzano. Dobbiamo sottolineare che non si è mai ricavato il dato che in quel momento, da fonti diverse rispetto a quelle a cui attingevano il Ros, e cioè Vito Ciancimino, fosse stato delineato il quadro di una spaccatura in Cosa nostra”. Dunque da chi aveva saputo Violante di questa spaccatura?
E non può saltare all’occhio la “memoria corta” in riferimento all’audizione in Commissione antimafia, il 30 luglio 1993, del collaboratore di giustizia Salvatore Annacondia. Erano passati appena tre giorni dalla bombe di Roma e Milano e il pentito riferì di aver appreso a l'Asinara, in una sezione con napoletani e siciliani, di un progetto stragista a monumenti e strutture con l'obiettivo di annullare il 41 bis e, cosa ben più grave, di aver riferito le stesse cose all'autorità giudiziaria, un magistrato ed un ufficiale della Dia di Bari, già nel gennaio 1993. “Io non so dire se queste cose le disse in quella sede o le ho apprese in modo diverso, dalla lettura di giornali o di atti ufficiali di polizia” ha dichiarato ieri Violante. Giustificazioni già viste nell’altro troncone del processo quando, chiamato a deporre, disse di non ricordare il contenuto dell'audizione per poi affermare di non aver dato peso relativo a quelle dichiarazioni.
“Noi eravamo un organo politico non giudiziario - ha aggiunto - Avevo autorizzato la presenza della polizia giudiziaria in quelle audizioni loro avrebbero effettuato eventuali approfondimenti”. Certo è che quelle “profetiche” prole di Annacondia rimasero chiuse in un cassetto e fino al dicembre 2015, non erano neanche state riesaminate in sede giudiziaria.
Il 41 bis
Ma Violante ha anche voluto ridurre le responsabilità dell’ex ministro della giustizia Conso, rispetto alle revoche, nel novembre 1993, di oltre trecento 41 bis ai boss mafiosi.
"Le revoche dei 41 bis ai mafiosi, disposte dal ministro Conso nel '93, furono conseguenza di una sentenza della Corte costituzionale che impose valutazioni individuali per ciascun provvedimento di carcere duro a differenza di quanto era avvenuto in precedenza e in passato per i terroristi” ha riferito ieri. “Io scrissi a Conso - ha aggiunto - mi arrivò la risposta. Una relazione con un elenco di persone per cui era stato prorogato e altre per cui era stato revocato sulla base di una sentenza della Consulta che imponeva una valutazione caso per caso”. A ben guardare quel documento, però, così come evidenziato dai Pg Fici e Barbiera, degli oltre trecento provvedimenti di 41 bis revocati non vi è traccia. La stessa considerazione che fecero in aula i pm nel dicembre 2015. E Violante, allora, non fece altro che constatare: “Io chiesi informazioni ed effettivamente non mi fu risposto sul punto”. Perché, dunque, ieri è tornato a propinare l’idea dell’elenco completo? Questione di “non ricordo” o di “memoria difficile”. Ma stavolta la “coperta” dei troppi anni trascorsi non copre abbastanza.
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