di Lorenzo Baldo - 5 dicembre 2013
In udienza il collaboratore di giustizia parla anche di Giulio Andreotti definendolo “punciutu”
Palermo. “La mia crisi è anche di tipo morale nonostante già mio nonno e molti parenti fossero uomini d’onore non mi riconosco più nell’organizzazione e quando ho sentito in televisione la vedova dell’agente di scorta, Vito Schifani, parlare e pregare gli uomini della mafia, le sue parole mi hanno colpito come macigni e ho deciso di uscire da questa organizzazione nell’unico modo che è possibile, cioè collaborando con la giustizia”. Era il 30 giugno 1992 quando Leonardo Messina rilasciava queste dichiarazioni ai pm di Palermo che lo stavano interrogando. Nei giorni successivi lo stesso Messina aveva chiesto di essere sentito direttamente da Paolo Borsellino. E così era stato. “Borsellino mi disse: a noi serve solo la verità, non le congetture o i pensieri. E così ho iniziato a collaborare parlando per ore mentre lui mi stava ad ascoltare”. Ed è esattamente ricordando quell’ultimo interrogatorio del 17 luglio 1992, appena due giorni prima della strage di via D’Amelio, che lo stesso “Narduzzo” ha fatto rivivere in aula la tensione del giudice dei giorni prima della strage.
“Quel giorno – ha raccontato il collaboratore durante l’udienza al processo sulla trattativa – il dottore Borsellino era molto nervoso, fumava in continuazione. Accese un’altra sigaretta e prima di andare via mi disse: ‘signor Messina, non ci vediamo più, è arrivata la mia ora. Non c’è più tempo, la saluto’. Sapeva di morire…”. Seduto tra i banchi c’era anche il fratello del giudice, Salvatore Borsellino. Nel sentire quelle parole è rimasto assorto nei suoi pensieri. L’immagine di Paolo Borsellino che, con piena consapevolezza, affronta la morte ha preso forma.
La potenza di Cosa Nostra nel nisseno
La deposizione di Leonardo Messina si è protratta attraverso un excursus storico che ha aperto uno spaccato importantissimo sulla potenza della mafia del nisseno. “Sono uomo d’onore che ha giurato due volte, la prima da uomo d’onore riservato con Luigi Calì, successivamente c’è stata una guerra di mafia, mi hanno richiamato e ho dovuto giurare pubblicamente con la famiglia San Cataldo nel 1982”. “Dall’82 fino a quando ho collaborato con la giustizia ho rivestito degli incarichi in Cosa Nostra a Caltanissetta. Nel 1985 fui nominato sotto capo”, sottolinea ulteriormente. Nel suo racconto c’è pure un aspetto legato alla sua prima relazione sentimentale. “Sono nato e cresciuto nell’ambiente di Cosa Nostra, in particolare con gli uomini d’onore di Caltanissetta. Quando mi sono sposato nel 1978 abbiamo fatto con mia moglie un giuramento in chiesa, davanti a Dio, in cui abbiamo giurato di onorare la mafia tutta la vita”. Proseguendo nella sua deposizione l’ex boss ha ricordato di aver vissuto “il trapasso tra la vecchia Cosa Nostra e quella voluta dai corleonesi. Ho assistito al cambiamento – ha specificato – e alla distruzione di Cosa Nostra”.
Andreotti “punciutu”
Nel racconto del collaboratore di giustizia è stata ulteriormente approfondita la reazione dei boss mafiosi in merito alla Corte di Cassazione che doveva occuparsi del Maxi processo. “In Cosa Nostra – ha sottolineato Messina –, durante il Maxi processo veniva detto che tutto si sarebbe ridotto in una bolla di sapone. Non ci sarebbero state grandi condanne e tutto sarebbe andato bene”. “Ci veniva detto – ha proseguito – che in Cassazione avrebbero buttato tutto giù. Si riteneva che sarebbe finito in barzelletta. Lillo Rinaldi, che frequentava Piddu Madonia, disse che Andreotti era ‘punciutu’ (punto, cioè affiliato formalmente, ndr), mentre c’era chi diceva che Andreotti fosse il figlio di un Papa”. “Salvo Lima e Andreotti – ha quindi ribadito il collaboratore – erano i politici che dovevano garantire tutto questo e che poi il maxi processo sarebbe stato assegnato al giudice Carnevale in Cassazione e non ci sarebbero stati problemi”. “L’ottimismo cessa quando i politici si allontanano e non riescono a far assegnare il processo al giudice Carnevale – ha spiegato successivamente Messina –. Iniziano le recriminazioni di Cosa Nostra nei confronti del vertice politico nazionale. C’è stato un momento in cui in Cosa Nostra fu deciso di non votare per la Democrazia cristiana ma per i socialisti”. “Io – ha aggiunto – ho ricevuto l’ordine preciso di votare e far votare per i socialisti. L’onorevole Martelli quando è arrivato al potere, scavalcando l’ala craxiana, non ha mantenuto i patti. Io non partecipavo alle riunioni ma venivo messo a conoscenza delle decisioni prese”, ha quindi evidenziato.
L’ombra della Lega
“Io ero con Borino Miccichè – ha proseguito Messina – e altri uomini d’onore e mi è stato detto chiaramente, tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, che c’era una commissione nazionale che deliberava tutte le decisioni più importanti. Una commissione in cui sedevano i rappresentanti di altre organizzazioni criminali e il cui capo era Totò Riina”. “Un giorno c’era Umberto Bossi a Catania. Dissi a Borino Miccichè: ‘questo ce l’ha con i meridionali, vado e l’ammazzo’. Mi disse di fermarmi: ‘questo è solo un pupo. L’uomo forte della Lega è Miglio (Gianfranco, ndr) che è in mano ad Andreotti’. Si sarebbe creata una Lega del Sud e la mafia si sarebbe fatta Stato”. Di tutto ciò Leonardo Messina aveva già parlato ai magistrati in quella famosa inchiesta denominata “Sistemi criminali”, successivamente archiviata, i cui fascicoli sono stati acquisiti al processo sulla trattativa Stato-mafia. Nei faldoni del 2001 c’erano già le sue dichiarazioni nelle quali l’ex uomo d’onore di San Cataldo aveva fatto riferimento a svariate riunioni tra i capi dell’organizzazione, tenutesi tra il ’91 ed il 92, nel corso delle quali discutevano proprio di un “progetto politico finalizzato alla creazione di uno Stato indipendente del Sud, all’interno di una separazione dell’Italia in tre Stati. In tal modo Cosa Nostra si sarebbe fatta Stato. Il progetto era stato concepito dalla massoneria. Lo stesso Messina aveva parlato anche di una “Lega Sud”, che sarebbe stata risposta naturale alla Lega Nord. Quest’ultima avrebbe visto proprio Gianfranco Miglio quale suo vero artefice. Dietro di lui spuntavano le ombre di Gelli e Andreotti. E proprio Miglio avrebbe poi raccontato, nel ’99, di essersi trovato a Villa Madama, a trattare di nascosto con Andreotti. Da evidenziare che molte dichiarazioni rilasciate da esponenti di diverse organizzazioni criminali, oltre Cosa Nostra, quali ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita convergono proprio su questi punti. Di fatto Cosa Nostra sembrava a tutti gli effetti intenzionata a sfruttare il successo politico della Lega Nord in modo da favorire la secessione della Sicilia e delle regioni meridionali in genere, con lo scopo di gestire con maggior facilità, a livello politico, gli interessi illeciti della criminalità. “Molti degli uomini d’onore, cioè quelli che riescono a diventare dei capi, appartengono alla massoneria. Questo non deve sfuggire alla Commissione, perché è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso da quello punitivo che ha Cosa Nostra”. Era il 14 dicembre 1992 quando Leonardo Messina rendeva queste dichiarazioni davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia. A distanza di 21 anni quelle parole sono tornate ad echeggiare in un’aula di giustizia.
Potere economico e potere punitivo
Parlando della forza della mafia l’ex boss Messina ha specificato che non ha eguali in quanto detiene “potere economico e potere punitivo”. Sugli spalti ad ascoltare attentamente erano presenti diversi studenti palermitani, alcuni dei quali del Liceo Classico Umberto I; alcuni esponenti delle Agende Rosse (anche da altre parti d’Italia) e dell’associazione studentesca ContrariaMente. Decisamente molto interessante è stato il riferimento del collaboratore di giustizia all’avvocato Raffaele Bevilacqua. Immediatamente è tornata alla memoria la recente inchiesta giudiziaria (successivamente archiviata nel 2004) sull’ex vicepresidente diessino dell’ARS, Vladimiro Crisafulli, sorpreso da un’intercettazione ambientale a parlare di politica e affari proprio con l’avvocato Bevilacqua, già rappresentante di Cosa Nostra nell’ennese, nonché ex consigliere provinciale DC. L’ennesima dimostrazione dello strettissimo connubio Mafia e politica. Del tutto inquietante l’accenno alla “nave piena di armi” nella disponibilità di Cosa Nostra, armi che servivano ad “un sistema” per “fare la guerra”. Ed è proprio nei confronti di quel “sistema criminale” che si continuerà a cercare di fare luce. Le prossime udienze dei giorni 11, 12 e 13 dicembre saranno dedicate all’audizione di Giovanni Brusca in trasferta a Milano.
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