di Aaron Pettinari - 29 aprile 2014
Acquisito il verbale del confronto con Martelli. All'udienza di oggi sentiti anche Rognoni e Folena
Avanti un altro. Al Borsellino quater la lista di coloro che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere aggiunge un ulteriore nominativo. Così come avevano scelto Vincenzo Ricciardi, Mario Bò, Mario Mori e Giuseppe De Donno anche l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino ha deciso di non rispondere in quanto imputato di reato connesso. Una scelta legittima in base alla forma a lui riconosciuta di “testimone assistito” ma che fornisce comunque l'immagine di uno Stato che preferisce tacere, o non ricordare, pur di tenere seppellite certe verità.
“Sono stato interrogato sia dalla procura di Caltanissetta che da quella di Palermo e a volte da entrambe le Procure”, ha detto l'ex ministro, imputato di falsa testimonianza a Palermo nel processo per la trattativa Stato-mafia - “So che c’è un’interferenza fra le due procure che seguono rispettivamente il processo sulla trattativa che sulla strage di via d’Amelio, ma non vorrei essere ulteriormente oggetto di indagine fra le due Corti d’assise”. “Sono stato presente nelle udienze condotte dal giudice per le udienze preliminari, Morosini, ma non sono mai stato interrogato, ho invece fornito delle dichiarazioni spontanee”, ha puntualizzato Mancino. Quindi ha concluso: “Ritengo di volermi avvalere della facoltà di non rispondere, non per sottrarmi alle valutazioni della Corte d’Assise di Caltanissetta ma per non interferire in un procedimento, quello di Palermo, dove non sono stato ancora interrogato. Confermo la mia scelta e dichiaro di avvalermi di questa facoltà di non rispondere”.
Tra le carte del processo acquisito confronto Mancino-Martelli
Con l'accordo tra le parti sono stati acquisiti diversi verbali d'interrogatorio resi da Mancino alle Procure. Tra questi anche quello del confronto tra “smemorati”, l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, che risale al 2011 e verificaosi nell’ambito del processo al generale Mario Mori. In quell'occasione, Martelli aveva affermato di aver chiesto conto e ragione a Mancino dei colloqui riservati fra gli ufficiali del Ros e l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Colloqui che, secondo i magistrati, avrebbero dato il via alla trattativa tra Stato e mafia. Ma Mancino ha sempre negato, dicendo con forza di non avere mai parlato del Ros e di Ciancimino con Claudio Martelli.
Rognoni e il “contropapello”
A testimoniare quest'oggi, innanzi alla corte d'Assise di Caltanissetta vi era anche l'ex ministro dell'Interno e della Difesa, Virginio Rognoni il quale, nella sua deposizione ha detto di non aver mai conosciuto l'ex generale del Ros, Mario Mori, né l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, protagonisti, secondo i magistrati di Palermo e Caltanissetta, della cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Dell'ex sindaco di Palermo gli parlò Piersanti Mattarella come “suo diretto avversario”. “Mattarella voleva rovesciare la politica della Regione soprattutto in materia di appalti e Ciancimino si opponeva a questo” ha detto oggi Rognoni. Rispondendo alle domande del pm Gozzo ha poi parlato
del suo rapporto con il generale Carlo Alberto dalla Chiesa: “Confermo che anche lui mi parlò di Ciancimino. Quando venne nominato prefetto di Palermo mi disse che andando giù avrebbe toccato anche alcuni soggetti del mio partito. Io gli dissi che era il prefetto della Repubblica e che non doveva guardare in faccia a nessuno facendo il suo dovere. Cosa che gli ripetei l'ultima volta che lo vidi, poco prima della sua morte, quando mi confidò che avvertiva l'ostilità di parte della Dc e in particolare della corrente andreottiana”.
In merito allo spostamento di Scotti dal ministero degli Interni a quello degli Esteri ha poi dichiarato di non esser a conoscenza di spinte particolari in tal senso. “Scotti si è poi dimesso perché rifiutava di lasciare il Parlamento dopo la normativa introdotta da Forlani all'interno del partito che vietava il doppio incarico”.
L'ex vicepresidente del Csm ha quindi parlato del “contropapello”, il documento in cui è contenuto l'elenco delle richieste della mafia allo Stato "rivisto" e ammorbidito dallo stesso Ciancimino, dicendo di averne appreso l'esistenza solo dalla stampa. “Quando vidi che sopra c'era scritto il mio nome trasecolai” ha detto alla Corte.
Folena e quella sensazione di paura di Mannino e Vizzini
Ultimo a deporre all'udienza di quest'oggi del Borsellino quater, processo che vedi imputati Salvatore Madonia, Vittorio Tutino, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci, è stato l'ex parlamentare e segretario regionale del Pci in Sicilia e componente della commissione Antimafia, Pietro Folena. Durante la deposizione Folena, pur non rappresentando un cambiamento di rotta all'interno del governo nella lotta alla mafia, ha ricordato alcuni atteggiamenti da parte di alcuni rappresentanti politici di allora come Calogero Mannino e Carlo Vizzini. “Dopo l'omicidio Lima, ho avuto la percezione che Mannino e Vizzini fossero impauriti. Vizzini disse che era stato minacciato”.
In effetti quello è il periodo in cui vi erano circolari dei servizi di sicurezza dove si parlava di una lista di politici finiti nel mirino di Cosa nostra. Sono i collaboratori di giustizia a spiegare che questi rappresentanti della Dc e del partito socialista visti da Cosa Nostra come “traditori” per non aver esaudito certune promesse pattuite precedentemente con i mafiosi. Elementi di spicco tra i quali figuravano Claudio Martelli, Sebastiano Purpara, Carlo Vizzini e appunto Mannino. “Nei rapporti occasionali che ho avuto con loro – ha aggiunto Folena - ho sentito alcuni giudizi che potevano far immaginare ad un ritiro dalla politica o comunque per un passo indietro non più da prima fila. Penso ad esempio a Mannino che quando iniziarono le accuse nei confronti di Andreotti per il 416 bis mi disse 'qui non si può fare più niente è finita la stagione politica dei grandi partiti. Gli Stati Uniti ed i grandi poteri internazionali hanno deciso il cambio politico dell'Italia”.
L'ex membro della commissione antimafia ha poi parlato dei suoi incontri con l'allora colonnello Mori: “Nei giorni successivi alla strage di via d'Amelio non escludo di aver incontrato il colonnello Mori anche se non ricordo nulla di questo incontro. Sarà sicuramente stato molto breve. Ricordo che dopo l'attentato di via d'Amelio, incontrai molti responsabili delle forze dell'ordine. Il turbamento dopo le stragi era profondissimo. Eravamo in allarme anche perché erano circolati molti documenti anonimi. Li ricevetti anche io. Altri incontri con Mori si tennero più avanti probabilmente perché in commissione antimafia venne anche costituito un gruppo di lavoro per evitare infiltrazioni mafiose, soprattutto in Sicilia, nell'aggiudicazione degli appalti pubblici”. Durante la sua deposizione il teste ha poi parlato dell'interrogazione parlamentare da lui presentata nel 1992, dopo la strage di Capaci, per sollecitare un'azione disciplinare nei confronti dell'allora capo della Procura di Palermo Giammanco, dopo le notizie di stampa sulle tensioni all'interno dell'ufficio giudiziario. “La giornalista Milella aveva pubblicato i diari di Falcone e all'interno vi erano critiche notevoli sull'operato del procuratore capo di Palermo. Per questo presentai quella sollecitazione”. Una volta concluso l'esame il processo è stato quindi rimandato al 6 maggio, quando verranno citati a deporre Massimo Russo e Luciano Violante ed il giornalista Raul Passaretti.
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