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di Giorgio Bongiovanni

Le motivazioni delle sentenze delle stragi di Capaci, Via D’Amelio e per le bombe del 1993 non lasciano spazio al minimo dubbio. Parti dello Stato italiano, in ginocchio dopo il brutale, violento e ripetuto attacco frontale di Cosa Nostra, avvenuto a cavallo degli anni ‘92 e ‘93, hanno trattato con i mafiosi. Le modalità, le finalità, i confini e i compromessi con cui si sono sviluppati i colloqui tra le istituzioni e i rappresentanti dell’organizzazione criminale sono stati delineati nelle ricostruzioni fornite da più collaboratori di giustizia e dagli stessi uomini dello Stato coinvolti. Tuttavia, come sempre, i lati oscuri sono diversi e lasciano intravedere un quadro molto più inquietante di quanto appaia quello esplicito. E’ per questo motivo che le procure di Palermo e Caltanissetta hanno aperto un’inchiesta sulla trattativa tra Mafia e Stato.

Sesta parte




Risposta?


Adesso i festeggiamenti sono finiti davvero. I festeggiamenti per la commemorazione di Giovanni Falcone, passerella a tratti indecente sulla quale hanno sfilato tutti, ma davvero tutti.
E’ finita perché sono poi i fatti a dare valore alle altisonanti parole.
A dieci anni dalla strage di Capaci la Cassazione, con una sentenza di carnevalesca memoria, ha annullato con rinvio tredici ergastoli comminati ad altrettanti boss mafiosi. Significa che per 13 uomini d’onore di primissimo piano come Pietro Aglieri, Pippo Calò, Giuseppe e Salvatore Montalto, Benedetto Spera, Matteo Motisi, Francesco Madonia, Giuseppe Farinella, Carlo Greco, Piddu Madonia, Salvatore Buscemi, Antonino Giuffré e Antonino Geraci il processo sarà da rifare presso la Procura di Catania. Già il procuratore generale, Nino Abbate, sulla scia della sentenza di Cassazione emessa lo scorso anno per l’omicidio Lima, aveva chiesto l’annullamento della condanna per sei uomini d’onore tra cui Pippo Calò, in quanto detenuto al momento tanto della delibera quanto della esecuzione della strage. Di fatto la Quinta Sezione Penale della Cassazione si è spinta ben oltre: niente ergastolo anche per coloro che in quel periodo erano latitanti. Come Pietro Aglieri. Per loro, ad avviso della Corte, non è stata sufficientemente provata la responsabilità oggettiva. In attesa di leggere la motivazione della sentenza, che rispettiamo, siano concesse però alcune considerazioni generali.
Il cosiddetto «Teorema Buscetta», su cui si era basato il maxi-processo istruito da Falcone e Borsellino, presupponeva che per ogni delitto eccellente tutta la Cupola ne fosse a conoscenza, compresi i boss detenuti che, come la storia ci insegna, non sono poi così difficili da raggiungere nelle varie carceri, figuriamoci per i latitanti. Inoltre alcuni collaboratori di giustizia, tra i quali Giovanni Brusca, avevano riferito che Salvatore Biondino, braccio destro di Salvatore Riina, era stato incaricato di avvertire e comunicare a tutti gli altri capi dei progetti stragisti che si sarebbero verificati da lì a breve.
Evidentemente il «metodo Falcone» non è più ritenuto valido e l’ispirazione sicuramente più garantista di questa sentenza non ha consentito di accogliere quello stesso impianto accusatorio che invece, 10 anni fa esatti, con la sentenza di Cassazione del 30 gennaio 1992, permise di assicurare alla giustizia, per la prima volta in via definitiva, i capi di Cosa Nostra.

Letture

Sicuramente per chi come noi si è dedicato allo studio della cosiddetta «trattativa» non può sfuggire che l’annullamento di tredici ergastoli possa rappresentare motivo di particolare soddisfazione per Cosa Nostra. Se da una parte è vero che, in occasione dell’anniversario della strage di Capaci, il governo ha prorogato per altri quattro anni la validità del 41bis, anche se molto alleggerito rispetto al suo progetto iniziale adottato all’indomani delle stragi, c’è da chiedersi come i boss, detenuti e non, avranno letto questa sentenza.
Gioacchino La Barbera, killer della strage di Capaci, oggi collaboratore di giustizia, trae le prime conclusioni. «Che cosa ne penso? - Risponde al Corriere della Sera - Che è quello che voleva la mafia. Anche nel ‘92 Cosa Nostra si aspettava che il maxi processo venisse annullato dalla Cassazione, ma questo non avvenne e cominciarono gli omicidi e le stragi. Stavolta invece hanno ottenuto il risultato sperato».
Come se non bastasse, poi, con l’entrata in vigore definitiva della nuova legge che regolamenta il pentitismo, i collaboratori dovranno scontare in carcere almeno una parte della pena. Quindi entro breve, i pentiti che hanno permesso la condanna in via definitiva all’ergastolo di 21 boss tra cui i massimi vertici, Riina e Provenzano, dovranno fare rientro in carcere.
« Quando decisi di collaborare, nel ‘93, - continua La Barbera - fu lo Stato a mettermi fuori, ora ci hanno ripensato e mi rimettono dentro. Ma il problema non sono io, è il segnale che si dà alla mafia».
Boss fuori e pentiti dentro.
E rincara «processi aboliti, niente più pentiti... Erano le richieste che Riina fece allo Stato nel ‘92, qualcosa si sta realizzando ora».
Forse è prematuro trarre conclusioni.
Certamente non si respira aria di lotta alla mafia.
Come avrà letto Pietro Aglieri questa sentenza? Una risposta alla sua lettera?
Non possiamo saperlo.
Sappiamo però che tutto lo schieramento più vicino a Provenzano è quello che godrà di un nuovo processo, e non è esclusa, viste le premesse, l’assoluzione per una delle stragi più cruente della nostra storia. La preoccupazione per le altre sentenze come quella di via d’Amelio che si apprestano ad approdare in Cassazione poi è più che legittima.
Le reazioni di sconcerto sono venute un po’ da tutti i fronti, in particolare dal presidente della Commissione Antimafia che si è detto meravigliato di questa sentenza che «sconfessa» il «Teorema Buscetta».
Intanto immaginiamo il grande stratega Provenzano, che molti danno per pronto alla grande resa, che esamina la situazione. Il ponte di Messina si farà, quindi pioggia di miliardi in Sicilia, e molti di più in futuro, il popolo delle carceri forse più quieto...
Un po’ meno il grande boss Riina che si è visto portare dietro le sbarre anche il figlio più piccolo, Salvo. Cercherà di comunicare il suo eventuale dissenso al vecchio compare? Se sì, come?
Non ci resta che attendere la risposta di Provenzano o di chi per luI.


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I PENTITI  TORNANO  IN CELLA

4 giugno 2002

Palermo. Mentre a Trapani otto boss mafiosi lasciano il carcere per una svista giudiziaria, a Caltanissetta il procuratore generale, Giuseppe Barcellona, sta facendo ultimare al suo ufficio i conteggi delle pene per ordinare l’arresto di alcuni pentiti. Si tratta dei collaboratori che hanno contribuito all’inchiesta sulla  morte del giudice Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo, le cui condanne sono state confermate in Cassazione. <<Abbiamo preferito prendere qualche ora in più rispetto ai tempi normali - dice il procuratore Barcellona - visto che i provvedimenti non richiedono la massima urgenza. Tutti gli imputati, infatti, sono soggetti a vigilanza continua e la  natura della loro collaborazione non lascia pensare ad un pericolo di fuga>>. Le persone in questione sono Santino Di Matteo, Gioacchino La Barbera, Giovambattista Ferrante, Calogero Ganci, Antonino Galliano e Salvatore Cancemi. Secondo il ministro della Commissione antimafia Centaro <<bene ha fatto il ministro della giustizia su mio invito, a inviare gli ispettori dopo la scarcerazione degli otto esponenti della cosca trapanese>>. <<Qualora venga accertata la colpa grave da parte dei magistrati coinvolti  - prosegue - sarà giusto prendere provvedimenti disciplinari. Mi auguro sia comunque possibile controllare coloro che sono usciti dalle carceri e che presto sia trovato un modo per rimetterli dentro>>.     M.L.


ANTIMAFIDuemila N°23 giugno 2002

ANTIMAFIADuemila
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