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lodato saverio web33di Saverio Lodato
L'assoluzione di Mori e Obinu dall'accusa di avere favorito Bernardo Provenzano durante gli anni d'oro della sua latitanza, è venuta a cadere, quasi per un capriccio del destino, alla vigilia del ventiquattresimo anniversario della strage di Capaci. I prossimi giorni infatti saranno giorni di trombe e di tromboni, sbandieratori di un'antimafia carnevalesca, esibizioni di opinionisti da opera dei pupi, signore in gramaglie, antiboss a tassametro, tutti a ricordarci che Giovanni Falcone lui sì che la lotta alla mafia la sapeva fare. E sarà anche vero, come è altrettanto vero che Falcone non c'è più. Vecchia storia, insomma, puntuale come una cambiale, come per i ventitré anniversari che hanno preceduto quello di oggi.

Mi sarei sottratto volentieri a questo giro di comparsate. Ma un caro amico mi ha preso sul tempo sollecitandomi a scrivere, essendo lui animato da viva curiosità per un argomento che sta quasi diventando passione per collezionisti, che ne penso di questa assoluzione di Mario Mori, generale dei carabinieri oggi in pensione, assoluzione completa, senza riserve e senza se e senza ma. La prima constatazione è che siamo in presenza non di una sola, ma di due assoluzioni emesse da corti distinte e distinti rappresentanti dell' accusa. Se la Cassazione - e non abbiamo motivo per non augurarlo al Generale - dovesse confermare in toto i precedenti gradi di giudizio, i giochi saranno fatti. E saranno fatti per sempre.
Mori vittima di un gigantesco abbaglio giudiziario. Mori nei decenni fedele agli alamari. Mori capitano coraggioso che salvò il Paese da altre stragi che ancor di più lo avrebbero spinto nel baratro. Mori che non fece nessun favore a Provenzano. Altro che trattativa, altro che dialogo sotterraneo fra lo Stato e la Mafia, altro che Stato-Mafia e Mafia-Stato. Un carabiniere d'onore infangato nell' onore.
Perché questa vulgata divenga Storia Patria a tutti gli effetti, con conseguenti brochure e depliants per i turisti che nei prossimi cento anni visiteranno la Sicilia, manca poco: l'ultimo timbro della Suprema Corte, appunto.
E non è tutto. Perché, a onore del Generale, va anche ricordato che l'alto ufficiale ha già incassato - ci si conceda il gioco di parole - l'assoluzione per la cassaforte. Quella cassaforte, incassata nel covo di Totò Riina e piena di documenti segreti di Cosa Nostra, che gli stessi mafiosi si riportarono a casa loro, visto che i carabinieri del Ros si erano ben guardati dallo spalancare.
Ma torniamo all'assoluzione di oggi. E diciamo subito, a scanso di equivoci, che ci son colleghi, molto più bravi di noi, nello spaccare il reato in quattro, a sostegno di questa o quella condotta dei magistrati, e raffinati cultori della "prova" e della "prova regina" che a giudizio loro, nei processi Mori, non ci sono mai stati.
Noi, molto sommessamente, ci permettiamo di dire, invece, di non aver mai condiviso quel tatticismo giudiziario che dribbla fra le pagine del codice alla ricerca del reato che con maggior probabilità verrà fatto proprio dalla corte in sede di giudizio.
Che significa derubricare l'accusa di "favoreggiamento mafioso" a quella di "favoreggiamento" semplice rivolta a Mori per la mancata cattura di Provenzano, che in quel momento era capo della mafia? Era un modo per indorare la pillola, nella speranza che la Corte, chiamata a pronunciarsi, la inghiottisse, magari facendo una semplice smorfia? Non capiamo. E sul punto, va detto, i difensori di Mori non avevano affatto torto: se Mori fece scappare Provenzano, ma non perché era mafioso, allora perché lo fece? La Procura Generale si è cacciata in un tunnel senza uscita, perché quali Prove mai si potevano trovare della complicità di Mori con un Signor Nessuno? Neanche a Polifemo riuscì l'impresa.
Ecco allora che Mori, - persona di acume sofisticato, non ce ne voglia - gode di un pizzico di fortuna in questa sua seconda assoluzione. In primo grado, Pubblico Ministero Nino Di Matteo, l'assoluzione venne perché gli elementi d'accusa non furono giudicati tali da essere "prove" di un rapporto condizionato dalla mafiosità del Provenzano. In secondo grado, Procuratore generale Roberto Scarpinato e sostituto Luigi Patronaggio, l'assoluzione viene perché provare l'accusa a Mori diventava una missione impossible.
Spero di aver risposto al mio amico tanto insistente nel chiedermi che penso di questa spettacolare "doppietta" di Mori.
Ma vi chiederete: e l'anniversario di Capaci che c'entra? C'entra moltissimo.
Falcone, e l'intero pool, ottennero vagonate di ergastoli e decenni di anni di carcere al "maxi" processo a Cosa Nostra a carico di 500 famiglie siciliane dell'eroina. Trovarono le prove. Le portarono in processo. E vinsero il processo. Punto.
Ma quelle "prove" - e questo non dovrebbero mai dimenticarlo quelli che sanno spaccare il reato in quattro - vennero innanzitutto dal fiume del pentitismo, il cui corso fu poi adeguatamente regolato da rigorosissime indagini incrociate di polizia e carabinieri.
Oggi è tutta un'altra storia. Qui si cerca di processare la mafia per le sue complicità alte, altissime, con istituzioni e Stato nel suo complesso. Ma pentiti non ce ne stanno. E chi dovrebbe "pentirsi"? L'ex capo dello Stato? L'ex Senatore? L'ex Ministro? Gli alti ufficiali dei carabinieri dello Stato ormai in pensione? I Capi di Cosa Nostra con il solo chiodo fisso del futuro dei figli e dei loro conti in banca? Ma non scherziamo.
Leggo sempre con molto interesse le cronache di tanti che ci hanno creduto e li ritrovo fra il cinico e lo sconsolato pronti a osservare che ormai ogni sentenza di assoluzione segna "un duro colpo per il processo sulla Trattativa Stato-mafia", quello che è tutt'ora in corso. Ma non esageriamo.
O crediamo davvero che fu "normale" non perquisire il covo di Riina? O crediamo che non ci sia nulla di strano nell'esistenza di quel "papello" della cui esistenza massimi rappresentanti delle istituzioni si ricordarono 16 anni dopo, grazie alle parole di quel ragazzaccio di Massimo Ciancimino? O crediamo che stragi della portata di Capaci e Via d'Amelio furono solo farina del sacco mafioso?
Si è tanto parlato in questi giorni di Felicia Impastato, la povera mamma di Peppino, che dovette lottare 24 anni - dicansi 24 - per ottenere giustizia dimostrando che mandante dell'omicidio del figlio era il boss Gaetano Badalamenti e che i carabinieri si erano resi complici di un Delitto Mafioso e di Stato.
Questa storia non insegna nulla agli odierni Opinionisti dell' Opera dei pupi? Lo sanno che qualcuno dei carabinieri che allora fece carte false sull' uccisione di Peppino Impastato ha concluso in bellezza la sua luminosa carriera e oggi è in pensione e si occupa dei nipotini? Vadano a fargli una bella intervista, giusto per sapere cosa ricorda di quel 9 maggio 1978.
Il vero limite di quest' antimafia è quello di essere schizofrenica: paginate e paginate su Felicia. Perché è storia di 40 anni fa. Ma la Morale - la Morale di quella storia - si preferisce lasciarla in archivio, mentre sarebbe un'eccellente chiave di lettura per capire le storie di oggi. Opinionisti del Teatro dell'opera dei pupi, permettendo.

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La rubrica di Saverio Lodato

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