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terrorismo bombe c REUTERS Stringerdi Giulietto Chiesa
Qualche cosa di inedito sta accadendo nei rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Sembrano confermarlo due “episodi” apparentemente distanti l’uno dall’altro, ma che potrebbero avere connessioni.

Tuttavia, prima di concentrarci sugli ultimissimi eventi sarà opportuno premettere qualche considerazione non peregrina. Quando si parla di "Stati Uniti" è opportuno tenere presente che la loro politica attuale è tutt'altro che unitaria. Specie nel Medio Oriente, l'impressione è quella di trovarsi di fronte a più di una linea. E le diverse "linee" sembrano spesso divergere quando s'intrecciano con quelle - sempre più autonome l'una dall'altra - dei diversi protagonisti delle guerre siriana, irachena, curda.

Fino a che punto, e a chi, per esempio, risponde la politica turca di Erdogan? Mentre è ben chiaro - altro esempio - che la politica di Benjamin Netanyhau non dipende affatto da quella dell'Amministrazione di Obama. Infine si pone la stessa domanda anche per l'Arabia Saudita. A quali centri di potere negli Stati Uniti fa riferimento ora la monarchia di Ryhjad?

Alla luce di questi "dettagli" sarà dunque opportuno esaminare l'origine della serie di attentati terroristici che stanno colpendo in serie le città dell'Arabia Saudita. Da tempo non accadeva. E uno di questi, in particolare, ha attratto l'attenzione: quello contro una caserma della polizia. Tanto per scoraggiare l'ipotesi che si sia trattato di un attentato di tipo "religioso". Chi ha attaccato voleva sottolineare il carattere "politico" dell'evento specifico. E non è un mistero per nessuno che i servizi segreti sauditi sono più che una filiale della CIA. Chi tutela oggi l'incolumità della dinastia? E' un quesito importante, non solo per la dinastia.

La quale, a quanto sembra, ha sicuramente non pochi nemici nei dintorni di Washington. Altrimenti non si spiega lo stillicidio di rivelazioni che continua a proposito del coinvolgimento del governo di Ryhjad nell'attentato terroristico dell'11 settembre 2001.

Obama ha bloccato la pubblicazione delle famose 28 pagine del rapporto della Commissione del Congresso che furono secretate da George Bush Junior. Ma il senato americano ha votato una legge che consente ai cittadini americani (alle famiglie delle vittime) di chiamare in giudizio uno Stato che abbia preso parte all'azione terroristica. Sarebbe proprio il caso di Ryhjad. Il capo della Cia, John Brennan si è affrettato a difendere i sauditi dicendo che in quelle 28 pagine non c'è niente di compromettente per loro.

Peccato che il senatore Graham, che il contenuto di quelle pagine lo conosce benissimo, essendone stato l'autore, insiste sul contrario. In ogni caso, poiché il silenzio, durato 15 anni, si è ormai rotto, anche con la sconcertante pubblicazione del "File 17", i cui autori (Lana Lesemann e Mike Jacobson) furono entrambi membri dello staff della Commissione Ufficiale sull11 settembre, non si può che concludere che il destino della monarchia saudita è, come minimo,  in condizioni precarie. Tant'è che hanno annunciato che, se parte il primo processo, metteranno sul mercato 750 miliardi di dollari di certificati di credito del Tesoro americano. Muoia Sansone con tutti i filistei?

L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione*.

Tratto da: it.sputniknews.com*

Foto © REUTERS/ Stringer

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