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Una serie podcast di ANTIMAFIADuemila

La verità sulla morte di Attilio Manca ha dovuto aprirsi la strada fra mille difficoltà.
Testimone vivente di questa scalata infernale è certamente la madre di Attilio, Angela Gentile, la cui solitudine ha invaso le stanze della sua casa dalla scomparsa di suo marito Gino Manca, lo scorso 19 agosto.

Nonostante tutto e tutti, Angela continua a chiedere incessantemente verità e giustizia, dopo ben più di vent’anni. E dire che basterebbe veramente poco, per arrivare a completare il puzzle e chiudere il cerchio.
Questa serie podcast prodotta da ANTIMAFIADuemila (direttore Giorgio Bongiovanni, vice direttore Lorenzo Baldo) sarà di sette puntate pubblicate ogni mercoledì e sabato: si ripercorreranno gli elementi più significativi del caso ponendo particolare risalto alle scoperte riportate dalla commissione antimafia della scorsa legislatura.

La mia mente, nel momento della pubblicazione di questo trailer, ritorna indietro, al capitolo "Io so, ma non ho le prove", scritto da Lorenzo Baldo sul libro 'La mafia ordina suicidate Attilio Manca' (ed. Imprimatur). Da allora alcune cose sono cambiate, perché ora di prove ne abbiamo, e non poche. Forse non ancora abbastanza per cancellare tutti i dubbi e i condizionali. Non ancora.

Ma ora lo possiamo dire: Attilio è stato ucciso; e no, non è stato un suicidio; e no, non era un drogato, e no, ancora, l'eroina non gli era stata data da Monica Mileti.

E poi ancora, con forza, possiamo dire che l'omicidio di Attilio è legato alla latitanza del boss corleonese Bernardo Provenzano; che c'entra la cosca di Barcellona Pozzo di Gotto e quei "soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra", come li ha chiamati la commissione antimafia.

Il sospetto che dietro la morte di Manca vi sia stata la mano pesante di apparati deviati, così come è avvenuto in altri delitti eccellenti, si accresce proprio leggendo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia barcellonese Carmelo D'Amico, forse il più attendibile collaboratore di giustizia della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto. "Sulla genuinità della sua collaborazione - si legge - si erano espressi, da ultimi, i giudici della Corte d'appello che il 7 ottobre 2021 hanno condannato il barcellonese Rosario Pio Cattafi (un "criminale sui generis" come definito dalla commissione) per il reato di associazione mafiosa".

Il 13 ottobre 2015 il collaboratore aveva dichiarato che "poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004, incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti. Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché 'aveva fatto ammazzare' Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un Generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della 'Corda fratres', aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto".

Inoltre il 28 aprile 2015, davanti ai pm messinesi Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, aveva riferito ciò che aveva saputo da "Antonino Rotolo, noto esponente di Cosa Nostra palermitana, in un periodo di comune detenzione presso il carcere di Milano Opera. D'Amico spiegava come il Rotolo gli avesse confidato che Attilio Manca era stato ucciso dai Servizi segreti per coprire la latitanza di Bernardo Provenzano, della cui operazione alla prostata si era 'interessato' il Manca”: "Rotolo Antonino mi confidò che erano stati i 'Servizi segreti' ad individuare Attilio Manca come il medico che avrebbe dovuto curare il latitante Provenzano" aveva detto D'Amico. "Rotolo non mi disse chi fosse questo soggetto appartenente ai servizi ma io capii che si trattava della stessa persona indicatami dal Rugolo, ossia quel Generale dei Carabinieri che ho prima indicato; sicuramente era un soggetto delle istituzioni". "In quella circostanza Rotolo mi aggiunse che di quell'omicidio si era occupato, in particolare, un soggetto che egli definì 'u calabrisi'; costui, per come mi disse Rotolo, era un militare appartenente ai servizi segreti, effettivamente di origine calabrese, che era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi. Rotolo Antonino mi fece anche un altro nome coinvolto nell’omicidio di Attilio Manca, in particolare mi parlò del “Direttore del SISDE”, che egli chiamava 'U Diretturi'".

"Rotolo non mi disse come era stato ammazzato Manca, né mi fece il nome e cognome del 'calabrese' e del 'Direttore del SISDE', né io glielo chiesi espressamente.  In questo momento mi sono ricordato che Rotolo, se non ricordo male, indicava il calabrese come 'U Bruttu', ma non so dire il motivo, e che era 'un curnutu', nel senso che era molto bravo a commettere questo tipo di omicidi".
Anche oggi è difficile credere che D’Amico si sia inventato tutto.

Ma perché si fa così tanta fatica ad approfondire certi elementi, facendo finta di nulla o nella peggiore delle ipotesi nascondendo i fatti sotto al tappeto delle archiviazioni? Dobbiamo pensare che anche una certa magistratura, per opportunità o compiacenza, sia complice di quel sistema di potere che non vuole la verità?

Al momento della pubblicazione di questo testo e del podcast allegato ci auguriamo che la Procura di Roma, oggi diretta da Francesco Lo Voi, possa aprire un fascicolo sull'omicidio di Attilio Manca e chiedere l’apertura di un processo.

Attendiamo ma, a differenza di qualche anno fa, ora noi sappiamo; non tutto, ma certamente sappiamo abbastanza.

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