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Secondo la Cassazione il clamore mediatico non basta, serve anche la notifica agli imputati, senza è impossibile procedere

“Il perseguimento delle condotte criminose, anche se efferate e ignominiose quali quelle oggetto di imputazione, devono passare attraverso il rispetto delle regole del giusto processo e nel pieno contraddittorio tra le parti". Queste le motivazioni scritte dai giudici della Corte di Cassazione dopo la decisione del 15 luglio con la quale hanno dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Roma sull'improcedibilità nei confronti dei quattro agenti egiziani, tutti accusati di aver torturato e ucciso Giulio Regeni nel 2016.
Secondo la Cassazione potrebbe, inoltre, esserci la possibilità che gli imputati non siano a conoscenza del processo a loro carico nonostante il clamore mediatico che ha investito sia l’Italia che l’Egitto. Un fattore che, per quanto improbabile, bisogna comunque tener presente “all’interno di uno Stato di diritto”.
“Immune da vizi logici o giuridici deve ritenersi la valutazione, giustificata in modo assai ampio e articolato dalla Corte di Assise, secondo la quale le qualifiche soggettive degli imputati all’interno delle forze di polizia o degli apparati di sicurezza egiziani, la partecipazione di alcuni di essi al team egiziano incaricato di collaborare con gli inquirenti italiani nel caso Regeni, il fatto che alcuni di loro siano stati sentiti in quella sede quali persone informate dei fatti circa le indagini svolte in Egitto, e la rilevanza mediatica, anche internazionale, del processo italiano - hanno precisato i giudici - non sono concludenti al fine di ritenere raggiunta la certezza della conoscenza da parte degli imputati del processo a loro carico.” E ancora. “Congetturali e basate su indimostrate presunzioni le opposte valutazioni del Pubblico ministero circa una necessaria e generalizzata osmosi informativa all’interno dei servizi di sicurezza egiziani, ovvero in ordine alla necessaria conoscenza che gli stessi imputati avrebbero in ogni caso tratto dai media internazionali, in particolare da quelli in lingua inglese o araba, circa le precise cadenze del processo instaurato in Italia nei loro confronti. Specularmente - hanno concluso i giudici della Cassazione - non può in alcun modo ritenersi che la certa conoscenza delle accuse e della ‘vocatio in iudicium’ possa annettersi a quegli stessi dati fattuali, che l’ordinanza del 25 maggio 2021 del Gup di Roma aveva posto a base della dichiarata assenza degli imputati ai fini del loro rinvio a giudizio”.
I giudici della Corte di Cassazione hanno inoltre ribadito che le cause che avrebbero “paralizzato” il processo sul caso Regeni, ''non derivano dai provvedimenti giudiziari esaminati ma da fattori esterni al processo''. Parole che potrebbero intendersi come una sollecitazione al governo di Giorgia Meloni per ottenere una maggiore collaborazione da parte dell’Egitto.
Difatti, il 25 gennaio scorso, per i sette anni trascorsi dalla morte di Giulio Regeni, i suoi genitori Paola e Claudio Regeni, con un post pubblicato su Facebook, hanno espresso tutta la loro delusione per il mancato impegno da parte del governo italiano nel fare pressioni su quello egiziano che, non ha mai fornito gli indirizzi di domicilio delle persone imputate nel processo. “Chi, ad ogni gita al Cairo, dopo i selfie e i salamelecchi di rito, si riempie la bocca di ‘collaborazione' - hanno scritto Paola e Claudio Regeni - dovrebbe spiegare agli italiani perché tornano a casa sempre a mani vuote, incapaci di farsi dare anche solo 4 indirizzi. Sarebbe più dignitoso tacere. A furia di stringere le mani (e vendere armi) ai dittatori si rischia di trovarsi insanguinate anche le proprie. E di offendere la nostra dignità”.

Fonte: Ansa

Foto © Imagoeconomica

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