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Il direttore dell'Osservatorio sulla sicurezza internazionale: solo il 20% andrà a Zelensky. Tutto il resto all’industria militare americana

Dopo mesi di impasse, oggi la Camera Usa ha sbloccato i tanto agognati 60 miliardi di dollari di aiuti per l’Ucraina. Di questa somma, 23,2 miliardi dovrebbero essere utilizzati per ricostituire l'equipaggiamento militare e i servizi di difesa trasferiti, mentre il resto degli aiuti sarà distribuito in due direzioni: 13,8 miliardi saranno spesi per l’acquisto di armi e servizi di difesa per l’Ucraina, mentre 11,3 miliardi di dollari sono destinati a sostenere “le operazioni militari statunitensi in corso nella regione”.
Il disegno di legge prevede inoltre un sostegno finanziario diretto al bilancio ucraino, sotto forma di prestiti, pari a 7,85 miliardi di dollari, che potranno tuttavia essere cancellati dal presidente dopo le elezioni del 5 novembre.
Il Pentagono ha già pronto il primo lotto, che comprenderà munizioni di artiglieria (a partire da quelle da 155 mm) e mezzi di difesa aerea come i Patriot, di cui Kiev ha estrema necessità per frenare la crescente superiorità aerea russa che gli consente di martellare le linee nemiche anche con l’utilizzo dei caccia.
Un altro punto di rilievo del provvedimento prevede che il presidente Usa trasferisca immediatamente i missili Atacms a lungo raggio all'Ucraina, a meno che non ritenga che danneggi gli interessi nazionali americani. In un disegno di legge separato si autorizza inoltre il presidente a trasferire all'Ucraina gli asset russi congelati in Usa: circa 8 miliardi destinati alla ricostruzione.
Come rende noto il professore associato alla LUISS Alessandro Orsini, i fondi destinati allo sforzo bellico di Kiev difficilmente potranno cambiare la situazione sul campo di battaglia.


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Alessandro Orsini © Roberto Pisana


“I 60 miliardi di dollari che il Congresso americano si accinge a dare a Zelensky non sono per Zelensky, se non in minima parte, circa il 20%. Tutto il resto andrà all’industria militare americana che dovrà utilizzarli per ricostituire le scorte perdute nella guerra per procura con la Russia”, scrive Orsini su Sicurezza Internazionale, spiegando che molto più importante è la notizia che riguarda la difesa antiaerea. “Sembra che Stoltenberg abbia persuaso i governi della Nato, non tutti ovviamente, a dare i propri sistemi di difesa anti-aerea a Zelensky”. In precedenza, il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba aveva annunciato in un’intervista al Washington Post che il Paese necessitava di almeno 7 sistemi Patriot, mentre gli alleati ne hanno a disposizione oltre 100 unità.
“I Patriot – scrive il docente di Sociologia del terrorismo – consentirebbero all’Ucraina di abbattere gli aerei russi che lanciano le potentissime bombe Fab con cui Putin sta distruggendo le difese nemiche senza perdere nemmeno un soldato”, ma a quel punto la risposta della Russia consisterebbe nell’investire maggiormente “nello scontro corpo a corpo rinunciando, almeno in parte, all’aviazione”.
Tuttavia, anche nella guerra d’attrito la Russia è soverchiante: “gli ucraini non hanno più voglia di combattere e disertano a decine di migliaia. Ciò che più conta, non hanno addestramento e nemmeno munizioni… sono pochi, male addestrati, male equipaggiati”, scrive Orsini, esprimendo una valutazione condivisa anche da Edward Luttwak, politologo Usa, consulente del Dipartimento di Stato americano, e uomo vicino ai Servizi di sicurezza americani.
Secondo il funzionario statunitense, anche fossero inviati più cannoni e missili "ciò che sta costringendo Kiev a ritirarsi passo dopo passo non è la mancanza di potenza di fuoco, ma la mancanza di soldati". In sostanza, il totale delle sue truppe è ancora troppo basso per una popolazione che, secondo la maggior parte delle stime, supera i 30 milioni. Al contrario la Russia “non ha nemmeno bisogno di inviare le sue migliori truppe per raggiungere questo obiettivo”, in quanto disporrebbe di un elevato numero di soldati volontari a contratto attratti da una buona paga, o prigionieri russi che scontano condanne penali ordinarie, reclutati direttamente dalle loro celle di prigione.

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Edward Luttwak © Imagoeconomica


In Ucraina l’entusiasmo iniziale ha portato migliaia di uomini ad arruolarsi come volontari ha lasciato posto ad un morale cupo ed ostile rispetto all’idea di finire al fronte. Stando ai dati di un sondaggio del Kyiv International Institute of Sociology (KIIS), oltre il 70% degli ucraini ritiene che sia necessario cercare una via diplomatica per risolvere il conflitto nel paese.  Secondo il Sunday Times i giovani ucraini sono spaventati dalla prospettiva di andare al fronte e stanno prendendo precauzioni per evitare la coscrizione dopo che Zelensky ha firmato un pacchetto di emendamenti alla legge sul servizio militare, abbassando l’età di arruolamento a 25 anni.
Pesa inoltre il divario nella produzione di proiettili d’artiglieria, dove Mosca è ancora soverchiante rispetto all’Occidente: “La Russia è in grado di produrre 3 milioni di munizioni all’anno; Usa e Europa soltanto 1,2 milion… Il Congresso darà i 60 miliardi a Zelensky? Se li darà, niente cambierà. L’Ucraina è spacciata”, conclude Orsini.
Ancora una volta l’industria bellica Usa potrà godere di rendimenti da capogiro negli indici azionari, mentre il popolo ucraino sarà mandato al massacro sul campo di battaglia per una pace mancata, tenuta in ostaggio dall’economia di guerra.

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