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siani giancarlo web5Video
di Francesca Mondin

E’ il 23 settembre del 1985, Giancarlo Siani, giornalista di Torre Annunziata, sta tornando a casa, cinque giorni prima aveva compiuto gli anni, ventisei. Davanti ha una vita intera, ambizioni, progetti, sogni. Poco più in là due uomini aspettano. E’ quasi arrivato, parcheggia l’auto. I due individui sono armati. All’improvviso una raffica di proiettili lo colpisce alla testa ed in un soffio il suo futuro viene strappato via.
Non era un caporedattore o un direttore di un giornale importante, quel ragazzo era un semplice cronista d’assalto che stava ancora facendo la così detta “gavetta”. Uno dei tanti precari. “Il Mattino”, giornale per il quale aveva iniziato a scrivere, ancora non lo aveva nemmeno assunto.
Giancarlo Siani era però uno dei pochi che faceva i nomi dei maggiori boss di Camorra, I Nuvoletta, i Gionta, i Giuliano.
Aveva lavorato prima per il periodico “Osservatorio sulla camorra”, rivista di carattere socio-informativo ed era convinto che essere giornalista significasse raccontare. Indagare, scoprire cosa si poteva nascondere sotto la semplice cronaca. Senza censura e mettendo da parte la paura. Girava per Torre Annunziata in cerca di fatti, sulla sua Méhari, una macchina verde, poco più di un carretto a motore, senza nemmeno la protezione di un tetto o un finestrino.

All’epoca la Camorra, come le altre organizzazioni mafiose, si stava modernizzando e fiutava la possibilità di arricchirsi e crescere. I Nuvoletta si erano avvicinati ai corleonesi di Totò Riina. Intanto la guerra di Camorra aveva lasciato già decine di morti alle spalle. Di tutto quello che vede e capisce, Siani non tace nulla e scrive. Denuncia con le sue indagini l’espansione dell’impero del boss Valentino Gionta. Racconta del fiume di soldi, che faceva gola alla malavita, arrivati in Campania per la ricostruzione dell’Irpinia dopo il terremoto dell’80. Svela con i suoi articoli l’organizzazione, il sistema e le logiche mafiose, raccontando degli intrecci e rapporti con l’economia e la politica. In altre parole offre all’opinione pubblica tanti tasselli di un puzzle che uniti permettono al cittadino di comprendere logiche losche che governano allora come oggi alcuni ambienti politico-imprenditoriali.

Trent’anni e una verità parziale
Ci sono voluti otto anni di processi, per arrivare ad una prima verità giudiziaria. La sentenza di Cassazione dice che a decretare la morte del giovane giornalista sarebbe stato il boss Lorenzo Nuvoletta in seguito ad un articolo del 10 giugno 1985, dove Siani aveva raccontato come il capomafia, amico e referente in Campania di Totò Riina, aveva tradito l’alleato Valentino Gionta, ‘vendendolo’ ai carabinieri.
Dopo trent’anni però la verità sull’omicidio di Giancarlo Siani è ancora incompleta.
A riportare a galla il caso è stato un libro uscito lo scorso anno ''Il caso non è chiuso” (ed. Castelvecchi), frutto di un’inchiesta giornalistica di Roberto Paolo, caporedattore del quotidiano "Roma". Secondo le prove e le testimonianze inedite raccolte dall’autore, a premere il grilletto contro Siani non sarebbero stati Armando Del Core e Ciro Cappuccio, gli uomini attualmente in carcere, condannati all’ergastolo per l’omicidio Siani, ma altri due ragazzi, entrambi deceduti, che lavoravano per i Giuliano. Così come a pianificare l’attentato non sarebbe stato solo il clan dei Nuvoletta ma anche quello Gionta e Giuliano, ognuno per un proprio interesse. Una pista, in realtà, già seguita nelle prime indagini ma poi abbandonata. Siani, secondo quanto raccontato nel libro, andava fatto fuori perchè stava indagando sulla gestione dell'affare delle cooperative di ex detenuti. Business sul quale la cosca napoletana e quella di Torre Annunziata lucravano ingenti somme di denaro.
I pm della Dda di Napoli, Henry John Woodcock e Enrica Parascandalo che stanno conducendo nuove indagini nel massimo riserbo, non hanno ancora rilasciato informazioni sullo stato dell’inchiesta.
Secondo il giornalista Roberto Paolo, la nuova verità che potrebbe emergere dalle indagini in corso potrebbe completare quella lacunosa raggiunta con la prima sentenza, costruita con molta fatica e impedimenti.

L’eredita di Giancarlo Siani
Ad oggi una cosa è certa, Giancarlo Siani aveva, per citare Pippo Fava (altro martire giornalista ucciso dalla mafia) un concetto etico del giornalismo. Cosa che in terra di Camorra non era accettato. Infatti è stato ucciso perché era solo, non aveva protezioni di nessun tipo, l’attivismo antimafia era agli albori e si faceva scudo di questi rari esempi di coraggio. Nessuno parlava di Camorra, per i media l’argomento mafia era un tabù.
Oggi la situazione è senza dubbio diversa, lo dimostra il fatto che in questi giorni per il trentennale ci sono stati molti eventi per ricordare il giovane cronista di Torre Annunziata e rispetto all’epoca ci sono molte organizzazioni e associazioni antimafia.
Inoltre qualche raro programma televisivo ogni tanto accenna un’inchiesta sul malaffare. Ma l’attenzione nei confronti di chi, come Giancarlo Siani allora, è oggi in prima linea sulle terre di confine è ancora molto bassa. Ci sono moltissimi giornalisti, magistrati e cittadini che ricevono minacce e intimidazioni di ogni tipo, c’è ancora troppa omertà e indifferenza. L’informazione è in balia dello share. Basti pensare all’ultimo show di Vespa a "Porta a Porta" con i Casamonica. Si cerca in tutti i modi di imbavagliare la libertà di stampa, ultimo caso il disegno di legge dove si vuole limitare la pubblicazione delle intercettazioni. La televisione pullula di talkshow, che spesso si trasformano in spettacoli da Colosseo dove l’insulto è la parola d’ordine e lo spettatore si ritrova a ridere, piangere o criticare, senza in fondo aver capito veramente l’obiettivo del confronto.
Ora spetta ad ogni singolo cittadino raccogliere con responsabilità ed orgoglio l’eredità che ci ha lasciato questo ragazzo di appena ventisei anni, l’entusiasmo per capire, frugare, andare oltre l’apparenza e conoscere cosa succede attorno a noi.

VIDEO
Il trailer del film Fortapàsc di Marco Risi con Libero De Rienzo, Valentina Lodovini e Michele Riondino che racconta la storia di Giancarlo Siani, giovane cronista de Il Mattino ucciso dalla Camorra

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