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caponnetto-falcone-c-studio-camera-giacominofotodi Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - 27 novembre 2014
Processo Capaci bis, parlano i pentiti Ganci, Tranchina e Romeo
“E’ stato Giuseppe Graviano ad azionare il telecomando in via D’Amelio”. È quanto sostiene Fabio Tranchina, pentito ed ex autista del boss Giuseppe Graviano, durante l’interrogatorio al processo “bis” sulla strage di Capaci. Nell’aula bunker del carcere di Rebibbia il collaboratore spiega che un giorno lui e Gravano si trovavano in via D’Amelio e il boss gli disse: “Mi devi trovare un appartamento qua. Mi pose però tanti di quei vincoli e condizioni che io ci rinunciai. Mi disse di non recarmi in nessuna agenzia, di non consegnare documenti a nessuno e se fosse stato necessario avrei dovuto pagare anche un anno d’affitto anticipato. La settimana prima della strage, mentre facevamo un sopralluogo io gli dissi che l’appartamento non l’avevo trovato e lui risposte: mi arrangio nel giardino”. E all’indomani della strage, quando i due si rincontrarono, Graviano gli disse: “‘na sprughiamu (ce la siamo cavata, ndr)”. “Da quel momento in poi – aggiunge Tranchina – sono stato assalito da questo rimorso. E’ come se io avessi contribuito a questa strage”.

Il pentito passa poi a descrivere alcuni episodi ai quali assistette a ridosso della strage di Capaci: “Vedendo in televisione le immagini di Falcone con la scorta dissi a Graviano ‘questo è inavvicinabile’. Lui mi guardò come a dire ‘aspetta e vedrai’”. Prima del 23 maggio ’92, prosegue, “circa 12 o 13 giorni prima, tornavamo da un appuntamento io e Giuseppe Graviano. Lui mi disse che di lì a poco avremmo incrociato Fifetto Cannella e io gli sarei dovuto andare dietro con la macchina. Ci siamo accostati in uno spiazzo, Fifetto è sceso dalla sua macchina, Giuseppe Graviano dalla mia ed è andato incontro a Fifetto che ha aperto il bagagliaio. All’interno ho visto chiaramente un sacco nero di quelli grandi della spazzatura, ripiegato su se stesso. Poi Fifetto venne con me e Giuseppe salì nell’altra macchina andando in direzione di Trapani, io e Fifetto siamo tornati nelle zone nostre”.
“Il giorno di Capaci – prosegue Tranchina – mi trovavo a Piano Stoppa nel villino di proprietà di mio cognato Cesare Lupo. Precedentemente Giuseppe Graviano mi avvertì di non passare dall’autostrada. Lo dissi anche a mio padre e mio cognato, dopo averlo chiesto a Graviano. A lui non piacque la mia domanda ma annuì. Eravamo a pranzo con i miei suoceri, c’era la tv accesa e abbiamo saputo che c’era stato un attentato al dottore Falcone. Ricordo che mio cognato mi disse ridendo che tornando in aereo era vicino a Caponnetto: era stravolto in faccia”.

Romeo: “Con Lo Nigro recuperammo esplosivo. Era per attentati”
Pietro Romeo, artificiere della cosca mafiosa di Brancaccio e già condannato per la strage di via dei Georgofili, è oggi collaboratore di giustizia. Il pentito, (arrestato la prima volta nel ’92 e la seconda nel ’95, quando inizia a parlare con gli inquirenti) racconta che una settimana dopo la sua scarcerazione nel ’94 si avvicina al gruppo di fuoco di Brancaccio. Insieme a Luigi Giacalone si recò a Roma, dove c’erano già, tra gli altri, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Vittorio Tutino (Tutino e Lo Nigro sono imputati in questo processo insieme a Salvino Madonia e Lorenzo Tinnirello). Romeo racconta che “loro dovevano fare un attentato a Contorno – secondo superpentito degli anni Ottanta dopo Buscetta – poi fallito. Successivamente sono tornato a Palermo con la macchina del fratello di Grigoli”.
In un’occasione il collaboratore, insieme a Lo Nigro, partecipò al recupero di un carico di esplosivo: “Siamo andati a Sant’Elia, vicino a Porticello. Lo Nigro mi ha detto ‘andiamo a prendere l’esplosivo’. Mi ha detto che dovevamo andare da suo cugino, sapevo che aveva dei parenti pescatori. Siamo andati con la sua ape, c’era uno spiazzale non asfaltato al tempo, e una casa vicina ad altre. Qui ci aspettava una persona, era magra e di carnagione scura. L’esplosivo era per terra, dentro una specie di ripostiglio, sembravano delle pietre. Le abbiamo caricate sull’ape e ci abbiamo buttato sopra delle reti da pesca. Lo Nigro mi disse che veniva recuperato dai fondali. State tranquilli che era per fare attentati” assicura ai pm. “So che Lo Nigro ci è andato diverse volte – specifica Romeo – me l’ha detto lui”. Secondo gli inquirenti, a seguito degli otto nuovi arresti scattati ad aprile 2013, le indagini avevano permesso di ricostruire lo stesso modus operandi per il recupero del tritolo utilizzato a Capaci.
L’esplosivo, ricorda Romeo, dopo essere stato caricato venne seppellito in un terreno in Corso dei Mille, che il pentito fece ritrovare il giorno dopo il suo arresto, quando decise di collaborare con la giustizia. “Era l’estate del ’95. Ce l’ho messo io insieme a Lo Nigro, Grigoli e Spatuzza”.

Ganci: “Mio padre non mi parlò di soggetti esterni per la strage”
“Mio padre non mi parlò mai di soggetti esterni a Cosa nostra nella preparazione della strage. La scelta del luogo fu fatta da lui, Cancemi e Biondino”. A dirlo è il collaboratore di giustizia Calogero Ganci, figlio del capomandamento della Noce, Raffaele Ganci, che nello svolgimento della strage di Capaci ha avuto un ruolo di pedinamento dell’autista del giudice Falcone in quel 23 maggio del 1992. L’ex boss, che aveva già partecipato all'assassinio del generale Dalla Chiesa, del dottor Cassarà e dell'ex sindaco Inzalaco ha raccontato che “quando venni coinvolto nel progetto già erano stati fatti diversi appostamenti per studiare le abitudini di Falcone. Stavamo più attenti in prossimità dei fine settimana da venerdì a sabato. Il giorno della strage seguii l’autista fino all’aeroporto. Avevo preso l’autostrada per errore e poi mi sbrigai a tornare a Palermo perché c’era il rischio di essere coinvolto nel caos dell’attentato”. Ganci ha confermato che “il voler uccidere Falcone e Borsellino si sapeva da tempo. C’erano progetti. Ricordo che una volta si era pensato di utilizzare un fucile di precisione per colpire Falcone nei pressi di casa sua. Erano nostri nemici da sempre. Mio padre però non mi ha mai parlato di una data in cui fu presa la decisione definitiva. Chi si occupò di preparare il congegno esplosivo di Capaci? Mio padre, quando ci incontrammo in un processo, mi disse che era stato Pietro Rampulla. Io non l’ho mai visto ma ricordo che si diceva che quel “coso” funzionava”. Il figlio di Raffaele Ganci ha anche raccontato che il padre era critico nei confronti di Brusca “che per questo attentato anziché affidarsi al solito gruppo aveva coinvolto anche altre persone come Santino Di Matteo, il Bagarella ed altri. C’era gente che non conoscevamo bene e poteva essere uno sbaglio. Il Biondino rispose che fu Brusca a portarli e che non si poteva fare niente. Successivamente pure mio padre criticò Brusca perché c’era troppa frenesia. Quando parlammo delle stragi del 1993 e io chiesi quel che stesse accadendo lui allargò le braccia. Posso dire che mio padre era la “marionetta” di Riina e non lo avrebbe mai tradito. Lo stesso la famiglia Biondino o Madonia avrebbero dato la vita per lui”.

Foto © © Studio Camera/Giacominofoto

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