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Sono passati 30 anni dal fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma, quando Cosa nostra provò a uccidere i Carabinieri in servizio durante la partita Roma-Udinese.

“Udinese miracolata” titolò La Stampa l’indomani mattina. Non per essere sopravvissuti, ma perché vinse per la prima volta in casa dei giallorossi. Pizzi e Branca andarono a segno e per la squadra di Mazzone non ci fu niente da fare.
Fuori dallo stadio, però, era in corso una seconda partita. Nascosta. A giocare, ci sia consentito il termine, era il “deep state” italiano. Una strage mancata grazie ad una coincidenza.

Quella mattina Gaspare Spatuzza, uomo dei Graviano di Brancaccio, e i suoi parcheggiano una lancia Thema imbottita di tritolo in via dei Gladiatori, la strada di accesso all’Olimpico che porta alla Curva Sud. Lì, nei parcheggi di piazza Maresciallo Giardino, si trovano la maggior parte delle camionette e dei blindati di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza, oltre ad essere il luogo di passaggio per la tifoseria. Quasi ventimila persone quel giorno allo stadio.

Spatuzza, in sella ad una moto, sale sulla collina insieme a Salvatore Benigno, “‘u picciriddu”, addetto al telecomando. Appena i carabinieri a cavallo si uniscono a quelli scesi dai pullman, Benigno preme il pulsante, ma non funziona. Gli uomini dell’Arma aumentano e i mafiosi non possono perdere altro tempo. È l’occasione d’oro. Scendono dalla collina pensando di aver oltrepassato il raggio d’azione, ma quando Benigno preme nuovamente il tasto il telecomando non funziona. Missione fallita. Spatuzza e i suoi ripiegano e lasciano la Thema nel parcheggio. Verrà recuperata in seguito con un carroattrezzi e demolita da uno sfasciacarrozze, mentre l’esplosivo estratto sarà portato a Capena. Quella strage non venne più eseguita, come invece sarebbe stato logico o perlomeno presumibile. Ricevettero l’ordine di tornare a Palermo perché non si sarebbe fatto più niente. Per Cosa nostra stava iniziando una nuova fase, con una nuova strategia, quella della sommersione, e con una presa di campo più importante dell’ala di Bernardo Provenzano, aperta a quel dialogo funzionale alla trattativa tra lo Stato e la mafia. Per capire le trame che si sono mosse durante quella partita, però, è necessario riavvolgere il nastro e tornare nel 1994.


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Stadio Olimpico

1994: direzione Forza Italia

È appena iniziato il nuovo anno. Sono giorni concitati per l’Italia. Il 13 gennaio 1994, dopo appena sei mesi dal suo insediamento, il Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi si dimette. Tre giorni dopo il presidente il Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro scioglie le Camere. Nel Paese si fa sempre più concreta la costituzione di un nuovo assetto parlamentare e di un nuovo governo. Nel frattempo, l’Udinese batte la Roma 2-0 e nessun ordigno esplode.

Pochi giorni prima della partita all’Olimpico, a Roma, al bar Doney in via Veneto, Gaspare Spatuzza si sarebbe incontrato con il boss Giuseppe Graviano, in “missione” per cercare nuovi interlocutori politici per Cosa nostra dopo il fallimento della Dc. Da qui l’incontro tra i due durante il quale, stando alle dichiarazioni di Spatuzza, il boss di Brancaccio gli disse che la strage contro i carabinieri all’Olimpico andava eseguita perché anche i calabresi si erano mossi. La notte tra il 1° e il 2 dicembre 1993, infatti, la ‘Ndrangheta aveva provato ad uccidere i carabinieri Vincenzo Pasqua e Silvio Ricciardo. Il 18 gennaio 1994, invece, vennero uccisi gli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo vicino Scilla, in Calabria. Infine, fu la volta dei carabinieri Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, che il 1° febbraio 1994 per fortunate coincidenze evitarono la morte. Evidentemente, nell’ottica di una strategia concordata tra mafie, era necessario dare “il colpo di grazia” per mettere in ginocchio lo Stato.

Secondo Spatuzza, Graviano quel giorno era raggiante. Gli riferì che grazie a un accordo con Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri aveva “il Paese nelle mani”. Secondo la ricostruzione della Direzione Investigativa Antimafia, il 18 gennaio 1994 Dell’Utri alloggiava all’hotel Majestic, a 100 metri di distanza dal Doney. Il braccio destro di Berlusconi era lì per preparare il debutto di Forza Italia. Sulla base dei ricordi di Spatuzza l’incontro fra Graviano e Spatuzza è stato datato inizialmente al 19 o 20 gennaio. Ma dai tabulati telefonici la Dia ritiene più probabile che fosse il 21 gennaio. Ad ogni modo, come ha sottolineato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, durante la requisitoria del processo d’appello ’Ndrangheta stragista, “lì, per la prima volta, venivano decise le liste di quella che sarebbe poi stata Forza Italia, con la collaborazione strategica anche di rappresentanze statunitensi in Italia”. Perché caso vuole che in quella stessa zona sia presente proprio l'Ambasciata Americana. Una casella imprescindibile nel “gioco dell’Oca” della politica italiana.

Di lì a poco, i fratelli Graviano saranno arrestati. Era il 23 gennaio 1993 e tre giorni dopo, il 26 gennaio, Silvio Berlusconi farà ingresso sullo scenario politico italiano con il suo celebre discorso a reti Mediaset unificate.

I procuratori aggiunti di Firenze, Luca Turco e Luca Tescaroli, hanno indagato il Cavaliere (fino alla sua morte) e Dell’Utri per gli attentati del 1993-94. Dopo 30 anni, le indagini fiorentine continuano il loro corso nei confronti del braccio destro di B., perché “istigava e, comunque, sollecitava Giuseppe Graviano (…) a organizzare e attuare la campagna stragista (...) al fine di contribuire a creare le condizioni per l’affermazione del partito Forza Italia, fondato da Silvio Berlusconi”. Dell’Utri, per i pm, prometteva “di indirizzare la politica legislativa del Governo verso provvedimenti favorevoli a Cosa nostra sul 41bis, i collaboratori di giustizia, il sequestro dei patrimoni”.


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Silvio Berlusconi scende in campo nel 1994

Stragi dentro ad un progetto politico-eversivo

Durante il processo ‘Ndrangheta stragista, Giuseppe Lombardo ha spiegato come gli attentati ai Carabinieri in Calabria, così come l’attentato all’Olimpico di Roma, “vanno inserite in un progetto politico-eversivo”. “Non erano azioni mirate a colpire specifiche persone appartenenti alle forze dell’ordine o che avevano dato fastidio alla criminalità organizzata. Qui l’azione criminale è del tutto diversa - ha detto -. Un attacco all’istituzione in quanto tale. Con un messaggio che può essere capito fino in fondo solo da pochissimi soggetti. Tanto l’opinione pubblica che le istituzioni dovevano intendere che il solo fatto di indossare la divisa trasformava ogni militare in un possibile bersaglio. Questa è la strategia del terrore. Si passa dalla logica criminale tipica a quella con connotazione terroristica eversiva”. Quel gesto “doveva dare un senso di inarrestabilità al fine di accrescere nel paese la paura determinata dal fatto che anche chi doveva avere il compito di difendere gli altri non riusciva a difendere sé stesso. È la stagione ideale per recuperare la centralità che per una serie di vicende è stata persa. Esiste un tessuto fragile in Italia che deve essere recuperato attraverso l’individuazione di nuovi interlocutori”.

Perché quell’attentato non venne più riproposto resta un dubbio ancora da svelare. Certo è che con le elezioni del 16 marzo 1994 è mutato il quadro politico istituzionale e lo stragismo si è arenato, anche se rimane una prerogativa sempre valida per Cosa nostra. Bisogna capire se “questo mutamento istituzionale si colloca dentro, in qualche misura, con la decisone di non riproporre l’attentato, o se invece questa cessazione dell’agire sia ricollegato a motivi di tipo diverso - come ha detto il procuratore Tescaroli -. Motivi interni all’organizzazione, al fatto che c’è stato qualche giorno dopo, il 27 gennaio, l’arresto dei fratelli Graviano. Un arresto che ha in qualche misura scompaginato, i programmi, i progetti”. Nel giro di poco tempo, nel 1994 si è passati dalla fibrillazione della strategia stragista alla quiete del nuovo assetto politico-istituzionale. Un nuovo status quo.

Numerose Procure continuano ad indagare su quei fatti. Si cerca di capire se questi passaggi storici siano legati da un file rouge oppure siano solo una sequenza di avvenimenti isolati. Si cerca anche di comprendere quale sia stato il coinvolgimento di soggetti esterni a Cosa nostra non solo sul piano deliberativo, ma anche esecutivo delle stragi. Le “squadre”, dunque, sono ancora in campo e la partita è ancora in corso.

Elaborazione grafica by Paolo Bassani

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