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Il figlio intervistato in esclusiva per ‘Ultimabozza’ dalla giornalista Raffaella Fanelli

"Mio padre stava scrivendo di Gelli e di stragi. Di piazza Fontana e del Golpe Borghese dove peraltro risulta coinvolto anche Licio Gelli. So che lo avrebbe incontrato il 21 marzo, perché sulla sua agenda c’è traccia di un appuntamento fissato all’hotel Excelsior di Roma".

"Noi familiari non siamo riusciti a rilevare la testata Op (Osservatore politico) perché coperta di debiti. Mio padre scriveva tutto. E denunciava. Fu lui a pubblicare l’inchiesta Mi.Fo.Biali su un contrabbando di petrolio con la Libia. Furono incastrati dai suoi articoli i vertici della guardia di finanza dell’epoca, indagati solo successivamente dai magistrati. Crede che non avrebbero pagato per farlo tacere? Lo avrebbero fatto anche i cardinali finiti nell’elenco dei massoni rivelato da Op. Mio padre sfidava. E anticipava. Scrisse di Aldo Moro ancora prima della strage di via Fani. Aveva capito quanto la politica italiana fosse influenzata dal volere del Dipartimento di Stato americano e denunciò, prima della strage, l’ostilità statunitense nei confronti della politica di Aldo Moro. Chi, oggi, avrebbe il coraggio di pubblicare le sue inchieste?".

Sono state queste le parole di Andrea Pecorelli (in foto), figlio di Mino Pecorelli, il giornalista di inchiesta ucciso con quattro colpi di pistola il 20 marzo 1979 a Roma.

L’intervista è stata rilasciata in esclusiva alla testata ‘Ultimabozza', in particolare alla giornalista Raffaella Fanelli. L’autrice ha scritto per numerose testate, tra le quali la Repubblica, Sette - Corriere della Sera, Panorama, Oggi, e altrettante trasmissioni televisive, da Quarto grado a Verissimo a Chi l’ha visto? Ha realizzato interviste a Salvatore Riina, Angelo Provenzano, Vincenzo Vinciguerra, Valerio Fioravanti. Nel 2018 pubblica La verità del Freddo (Chiarelettere). Nel 2019 una sua inchiesta giornalistica permette alla procura di Roma di riaprire le indagini sull’omicidio di Mino Pecorelli e, nel 2020, dà alle stampe, con Ponte alle Grazie, La strage continua. La vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli. Nel 2022 pubblica OP, il podcast sul delitto del giornalista. Del 2023 è Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni? (Ponte alle Grazie).

Andrea, nell’intervista, ha ribadito che "l’assassino di mio padre si porta dentro la soddisfazione di averla fatta franca per oltre quarant’anni e se la ride pensando di sfuggire alle maglie della giustizia anche questa volta. Ma non sarà così. Perché oggi, finalmente, sono chiari movente e responsabilità, quindi non accetterò processi farsa o archiviazioni". Per la morte di Mino Pecorelli sono stati processati e assolti Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Massimo Carminati e i mafiosi siciliani Pippo Calò, Tano Badalamenti e Michelangelo La Barbera. Le indagini sull’omicidio sono state riaperte il 5 febbraio del 2019, dopo le dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra, neofascista di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, e sono ancora in corso, tanto che nei giorni scorsi la procura di Roma ha dato nuovo impulso dopo aver acquisito le sentenze sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980: rispettivamente si tratta della sentenza del 9 gennaio 2020, con cui è stato condannato in primo grado all’ergastolo l’ex Nar Gilberto Cavallini e quella del 5 aprile 2022 a carico del “quinto uomo”, Paolo Bellini, anche lui condannato all’ergastolo in primo grado. Gli sviluppi sono attesi dai familiari di Pecorelli, rappresentati dagli avvocati Claudio Ferrazza e Walter Biscotti, e la Fnsi, costituitasi parte offesa e difesa dall’avvocato Giulio Vasaturo.


pecorelli carmine mino

Mino Pecorelli


"Dopo quattro anni dalla riapertura - ha ribadito Andrea - vorrei ci fosse una definizione e poi mi aspetto un processo serio. D’altronde il nome di mio padre non è finito a caso nelle sentenze che hanno condannato all’ergastolo per la strage di Bologna prima l’ex Nar Gilberto Cavallini e poi l’avanguardista Paolo Bellini".

"I pezzi del puzzle ci sono da sempre. Mio padre, poche ore prima dell’agguato, incontrò nel suo ufficio un uomo che non è mai stato identificato. Durante quel colloquio chiese alla sua segretaria, Franca Mangiavacca, di portare il materiale raccolto su Pietro Musumeci, il pidduista condannato con Gelli per il depistaggio nelle indagini sulla strage di Bologna. Una telefonata arrivata subito dopo il delitto indicò in Licio Gelli – oggi defunto – il mandante dell’omicidio e in un ex Nar, ancora vivo, il killer. Da sempre, ci sono le dichiarazioni dei primi pentiti dei Nar. E stando alle ultime indagini, perché leggo anch’io i giornali, i preparativi della strage di Bologna, o meglio, i primi soldi, sono partiti nel febbraio del 1979. E mio padre era ancora vivo. Devo pensare che, con le sue fonti, anche nei servizi, non abbia saputo?".

"Esperti depistatori che subito dopo il delitto si mossero per infangare la memoria di mio padre indicandolo come ricattatore. Sapevano che solo sporcandone il nome con il collaudato metodo mafioso dell’infamia avrebbero messo a tacere le penne di altri giornalisti onesti. Chi mai avrebbe potuto interessarsi dell’omicidio di un ricattatore? Chi avrebbe avuto il coraggio di cercare e di pubblicare la verità sulla sua morte?” si legge su ‘Ultimabozza'.

Infatti, il Tribunale di Perugia col processo di primo grado celebrato contro Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Massimo Carminati e i mafiosi siciliani, ha chiarito che Pecorelli era solo un giornalista d’inchiesta che pubblicava notizie. A pagina 39 della sentenza emessa il 24 settembre 1999 c’è scritto chiaramente: “Mino Pecorelli non era un ricattatore perché la forza del ricattatore è quella di minacciare la pubblicazione di una notizia scabrosa e non quella di pubblicarla ovvero di far conoscere solo ai diretti interessati, vendendola, e non al pubblico, la notizia”.

"Il processo di Perugia è stato orchestrato da chi voleva eliminare dalla scena politica Giulio Andreotti. Che avrà avuto altre responsabilità ma non quella di essere il mandante dell’omicidio di mio padre" ha detto Andrea Pecorelli ribadendo che, secondo lui, qualcuno utilizzò l’omicidio del padre per sbarazzarsi di Giulio Andreotti. E che a muoversi furono "le stesse persone in qualche modo coinvolte nell’agguato". Un’ipotesi di depistaggio che fu la stessa procura di Perugia a scoprire e a sottovalutare. Perché chiese il proscioglimento dei due investigatori considerati i “fiori all’occhiello” del Servizio segreto accusati di aver incontrato in carcere i boss della banda della Magliana, grandi accusatori in quel processo.

Fonte: ultimabozza.it

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