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Gladio, Nato, confisca dei beni ai mafiosi e associazione mafiosa. L’ex segretario del PCI in Sicilia era scomodo a più sistemi di potere

Sono passati 42 anni da quando l’ex segretario del Partito Comunista in Sicilia Pio La Torre e il suo autista e compagno di partito Rosario Di Salvo vennero assassinati da Cosa nostra.
Quella mattina i due si stavano recando in auto presso la sede del PCI quando i sicari di Cosa nostra, a bordo di una moto di grossa cilindrata, li obbligarono a fermarsi. Immediatamente vennero travolti da raffiche di proiettili. Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.
Grazie alla collaborazione di Tommaso Buscetta e, dopo di lui, di altri boss di primo piano come Francesco Marino Mannoia, Gaspare Mutolo e Pino Marchese, il delitto La Torre venne universalmente riconosciuto come delitto di mafia anche in sede processuale, dapprima con l'ordinanza-sentenza del Maxiprocesso di Palermo e poi con il troncone del Maxiprocesso dedicato agli omicidi politici (il Maxiprocesso Quater), a cui si arrivò a sentenza definitiva nel 1995.


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Furono condannati all'ergastolo come mandanti Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci.
Eppure, 42 anni dopo l’omicidio ci si interroga ancora su chi siano i mandanti esterni alla mafia dietro questo delitto. E soprattutto: a quali strutture appartengono?
La visione intersezionale del fenomeno mafioso rese La Torre un personaggio scomodo. Era un rivoluzionario nel suo modo di agire ma anche di pensare. Aveva introdotto un linguaggio politico inedito, dando nomi più autentici e realistici alle cose. La “mafia” divenne “sistema di potere mafioso”, “composto da uomini politici e da uomini in posizione chiave nel potere in Sicilia”; i delitti “eccellenti” - Mario Francese, Boris Giuliano, Cesare Terranova, Michele Reina, Piersanti Mattarella, Carlo Alberto dalla Chiesa, Rocco Chinnici ed altri -, erano decisi da un “Tribunale internazionale” costituito da personaggi di altissimo livello. E la mafia, in quanto struttura criminale, aveva uno “stato maggiore nazionale”.


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Pio La Torre aveva capito che la lotta alla criminalità organizzata in Sicilia non poteva prescindere da una battaglia per il controllo del territorio. La sua proposta di legge, che avrebbe introdotto il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni ai mafiosi, si dimostrò una pietra miliare nella guerra a Cosa nostra.
E, come se non bastasse, nel silenzio generale aveva fatto i nomi dei politici in odor di mafia e dei mafiosi in giacca e cravatta che governavano Palermo. Celebre è la relazione di minoranza del 1976 della Commissione parlamentare Antimafia, in cui Pio La Torre e il giudice Cesare Terranova, anche lui assassinato da Cosa nostra, dimostrarono di essere consapevoli che la mafia siciliana si era allargata al Nord, che operava nella finanza e che trattava alleanze con esponenti dell'estrema destra.
Inoltre, aveva chiaro il vero ruolo del banchiere siculo-americano Michele Sindona: venuto in Sicilia per un progetto separatista e golpista, pedina di un gioco di ampio respiro internazionale che teneva insieme mafia, apparati americani, alta finanza e politici italiani.


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La Torre si oppose anche alla trasformazione della Sicilia in un hub di interessi internazionali. L’Isola si sarebbe trasformata in un avamposto di guerra e, quindi, un “crocicchio di spie, di terroristi, di provocatori spediti qui a scontrarsi tra di loro, con il ruolo che, inevitabilmente, giocherebbe la mafia”, scriveva.
Grazi a lui, oltre 80.000 persone si opposero all'installazione di 112 missili cruise da parte della NATO nella base missilistica di Comiso. Quei missili non solo rappresentavano una minaccia per la pace, ma anche un’opportunità per la mafia di infiltrarsi e sfruttare le tensioni geopolitiche a proprio vantaggio. E aveva intravisto con largo anticipo il peso di strutture occulte di tipo militare, che solo successivamente sarebbero venute a galla: come per esempio Gladio.
Una visione intersezionale del sistema criminale integrato, appunto. Troppo all’avanguardia per il tempo. Scomodo per la mafia e non solo.


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Franco La Torre


Palermo ricorda il dirigente del PCI e il suo collaboratore

Questa mattina a Palermo il dirigente del PCI e della Cgil e il suo collaboratore sono stati ricordati in una cerimonia di commemorazione svolta, come ogni anno, nel luogo del duplice omicidio, in via Li Muli. Ieri, invece, c’è stato lo svelamento del murale dedicato al leader politico e sindacale che campeggia sulla facciata dell'Iti "Vittorio Emanuele" di Palermo dove si è celebrata l'assemblea nazionale contro La mafia e La corruzione della Cgil. "Abbiamo sempre spiegato ai ragazzi ai quali ci siamo rivolti, ma invero non solo i ragazzi, che la repressione spetta allo Stato, la prevenzione a noi”, ha affermato Vito Lo Monaco, presidente emerito del Centro Studi Pio La Torre. “Parliamo, però, di prevenzione non soltanto come giorno della memoria, ma come momento quotidiano di formazione e democratica. Il nostro progetto educativo, a esempio, dedicato proprio a Pio La Torre, è seguito da centinaia di scuole di tutto il Paese, da centri universitari e case circondariali italiane. Siamo stati i primi che, 18 anni fa, abbiamo avviato un progetto educativo con le videoconferenze che collegavano contemporaneamente le scuole, dando la possibilità a coloro che seguivano il progetto di interagire con relatori di grande fama e competenza".


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In via Li Muli era presente questa mattina, insieme a componenti delle forze dell’ordine, il Sindaco Roberto Lagalla, il presidente della commissione regionale Antimafia, Antonello Cracolici, e diversi esponenti del Pd, anche Franco La Torre, figlio del dirigente del Partito Comunista. La Torre ha ricordato la lotta politica del padre e si è soffermato sulle sue valutazioni in merito allo stragismo mafioso e gli omicidi politici di Cosa nostra. “Secondo Pio La Torre gli omicidi politici prevedevano un intreccio di interessi da parte delle forze della reazione, come si diceva una volta, quindi una convergenza”, ha affermato il figlio stamani davanti alla stele. “Allo stesso tempo la mafia adotta le metodologie del terrorismo”. Una formula, quella del terrorismo mafioso, che La Torre denunciò in Parlamento all’indomani del delitto Mattarella prima di finirne egli stesso vittima due anni più tardi.

Foto © Paolo Bassani

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