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La denuncia di Lorenzo, attivista di Our Voice: “C’è una grandissima urgenza e bisogno di rinascita

La tossicodipendenza è come una crisi epidemica: non se ne deve parlare in termini emergenziali, ma strutturali" lo ha dichiarato il direttore del reparto Dipendenze patologiche dell’Asp di Palermo, Giampaolo Spinnato. La prima unità a richiedere operatori di strada.

A Palermo ormai i Sert (Servizi per le Tossico Dipendenze) sono solamente tre all’interno dei quali lavorano circa 30 operatori, di cui solo 6 psichiatri. Le strutture di assistenza e aiuto diminuiscono mentre aumentano le persone che ne chiedono il supporto, nell’ultimo anno, infatti, sono arrivati 800 dipendenti da crack, per lo più giovani tra i 14 e 25 anni.

Nel quartiere di Ballarò, all’incrocio tra piazza Bologni e corso Vittorio Emanuele, si apre il vicolo della tossicodipendenza: vicolo Trugliari. Una sorta di crackhouse nel quartiere. È qui che Repubblica ha intervistato alcuni giovani usciti dalla tossicodipendenza.

"Non sento di avere smesso con quella vita, ma che c'è stata una trasformazione” afferma Lorenzo, attivista del Movimento Our Voice. All’interno del movimento con altri giovani cerca di creare un’alternativa per tutti coloro che fanno uso di stupefacenti. “A Palermo ho avuto l’opportunità concreta di mettermi a disposizione, di camminare per i vicoli, conoscere le storie di tanti ragazzi e tante ragazze. Insieme riuscire a riappropriarci un po’ di quello che c’è stato tolto”.

27 anni, alle spalle una storia di tossicodipendenza, oggi operatore volontario di strada, porta sostegno e supporto a tutti i giovani nella lotta alla dipendenza da crack e si batte affinché ci siano progetti di assistenza e prevenzione. “C’è una grandissima urgenza e bisogno di rinascita”, questo il suo grido di denuncia.

Se ho imparato qualcosa dal mio duro percorso - continua - non voglio tenerlo per me. Tra i miei coetanei c'è tanta voglia di rinascita. Ma non c'è riscatto sociale senza servizi, lotta alla povertà e presenza di strutture adeguate". Descrivendo la sua esperienza riferisce: “Quello che mi ha aiutato a uscire dalla tossicodipendenza è stato in primis avere una famiglia, un gruppo di amici che mi hanno sostenuto, che hanno creduto in me. Che ci sono stati nel momento in cui avevo bisogno e che mi hanno fatto anche rendere conto della condizione che vivevo”.

La mamma, Maria Palma, descrive come sia importante il ruolo dei genitori nell’accompagnare i figli nel percorso di guarigione dalla tossicodipendenza, sostiene con fermezza che i genitori non possono ignorare la condizione dei loro ragazzi. “Noi genitori dobbiamo essere presenti non far finta che (non) ci sia il problema, che è la droga”.

Ed è anche un problema economico - prosegue - se non si viene aiutati da servizi sociali, da servizi sanitari esterni con percorsi di psicologi, dove i genitori vengono aiutati, è impossibile (uscirne). Da soli questo grande problema non si può affrontare. È qualcosa più grande di noi”.

Riprende dicendo: “Non tutti possono permettersi di mandare i figli in comunità. Lorenzo ha voluto la sua rivincita. E come madre che gli è stata accanto, adesso ho il dovere di esserci nella sua nuova vita qui a Palermo”. Maria Palma, infatti, lo sostiene nella sua lotta e spesso lo raggiunge dalle Marche per manifestare e rivendicare i diritti di questi giovani. A ribadire con forza quali siano i doveri dello Stato nella progettazione e creazione di strutture che siano in grado di guarire dal vortice della tossicodipendenza.

Tra le strade di Palermo lavora attivamente il gruppo Awakening, una comunità di ragazzi e ragazze in cui è possibile parlare di dipendenze e chiedere aiuto. L’obiettivo di questi attivisti è quello di creare una comunità in cui i giovani dipendenti si sentano accolti e non giudicati. Uno spazio libero in cui chiedere aiuto. Ogni lunedì pomeriggio si riuniscono in piazza Casa Professa all’interno del Circolo Arci Porco rosso. “Il pregiudizio non serve, la nostra è una porta aperta a tutti" affermano. Sono riusciti a smettere di fare uso di crack e adesso sfruttano la loro esperienza per aiutare altri ragazzi a dire basta.

La leader di Awakening è la 25enne Gaia, studentessa di Scienze dell’educazione. Poi c’è Christian, reduce da 14 anni di tossicodipendenza. “Mi sono risvegliato dopo 14 anni in cui ero vissuto all'inferno: dormi per strada perché non vuoi tornare a casa o per vergogna davanti ai tuoi familiari” racconta. E riferendosi a vicolo Trugliari: “Ci andavo anch'io a farmi. Ora ho detto basta”. Sua nipote, la voglia di potergli star vicino, è stata la luce che lo ha fatto risvegliare. Dalle sue parole emerge ciò che lo spinge a operare attivamente: “Se posso evitare a qualcuno di vivere all’inferno, come ho fatto io, lo faccio con tutto il cuore”.

Tra gli operatori di strada vi è anche il 40 enne Antonino, che oltre ad agire con Awakening ascolta chi chiede aiuto nella parrocchia di Sant’Agnese a Danisinni. “Lì vengono tante persone, ma è un servizio ancora poco conosciuto - dice - mentre in altri quartieri a rischio come Sperone e Zen c'è il vuoto assoluto".

Riguardo al suo passato afferma: “La tossicodipendenza mi è venuta a cercare, frequentavo degli ambienti in cui si faceva uso, anche se io non fumavo neanche le sigarette. Piano piano ho iniziato a farlo. É stata tutta una concatenazione di eventi che è partita dal frequentare persone sbagliate”. Ciò che gli ha permesso di cambiare vita è stata la fiducia in se stesso, nel potenziale che era convinto di avere e che ancora non aveva espresso. “Ho capito che stavo giocando con qualcosa di più grande di me. In fondo, anche se ero anestetizzato, sapevo di valere qualcosa. E l'ho messo in campo”.  Sulla situazione attuale dichiara: “Purtroppo c’è chi a causa di queste dipendenze rischia la vita, ma non ne vale la pena, è bello vivere”.

I servizi di prossimità sono davvero pochi, ma sono necessari per accompagnare i giovani a guarire dalla tossicodipendenza. E su questo Giampaolo Spinnato si esprime così: “L'auto-mutuo aiuto è poco usato in Italia ma è fondamentale nella lotta alle dipendenze, bisognerebbe far crescere meccanismi simili tra le famiglie. È lì che spesso nascono stigmi nocivi, come il pensare che la dipendenza sia un vizio anziché una malattia”.

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