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L'intervista del Fatto all'ex presidente del Parco dei Nebrodi, oggi in corsa alle europee tra le fila del M5Stelle

I fondi Ue sono “un business paragonabile al narcotraffico, solo che in questo caso la percentuale di guadagno è maggiore, mentre quella di rischio è pari a zero”. È quanto ha affermato Giuseppe Antoci, che nei giorni scorsi è stato a Bruxelles per raccontare come la mafia sia riuscita ad accaparrarsi i fondi Ue nell’indifferenza generale.

Ai microfoni del Fatto Quotidiano, l'ex presidente del Parco dei Nebrodi - a cui va il merito del protocollo che porta il suo nome grazie al quale è stato possibile contrastare una fetta importante del business della mafia nell'entroterra siciliano - ha raccontato perché ora è tra le fila del Movimento 5 Stelle per fare l’europarlamentare.

"La prima cosa che fa la lotta alla mafia è creare sviluppo. Lo abbiamo visto sui Nebrodi: l’economia esplode e arriva il lavoro solo quando liberiamo i territori dalla zavorra mafiosa - ha detto -. È quello che vorrei cercare di fare a Bruxelles: combattere la mafia per creare sviluppo in tutta l’Unione, visto che le mafie sono ormai completamente globalizzate. Anche quella che viene definita semplicemente come mafia dei pascoli". Un nome arcaico dietro il quale si cela un'importante provvigione per le famiglie mafiose.

"La questione delle infiltrazioni nei fondi Ue per l’agricoltura non è un tema soltanto italiano - ha aggiunto -. Anzi a questo proposito vorrei ricordare la figura di Jan Kuciak, il giornalista ucciso insieme alla sua fidanzata in Slovacchia. Quel giorno avrebbe dovuto vedere una sua collega, ma quell’incontro è saltato. In seguito, questa persona mi ha intervistato e mi ha raccontato che sul suo pc Kuciak aveva un appunto con scritto 'Protocollo Antoci'. Kuciak stava ricostruendo gli affari della ‘Ndrangheta nel suo Paese: evidentemente lavorava anche sulle infiltrazioni nei fondi Ue".

Una volta diventato presidente del Parco, Antoci ricevette alcune segnalazioni da parte di sindaci di alcuni proprietari terrieri vessati a cui era impedito di accedere ai bandi per i fondi Ue. E dopo una ricerca ha scoperto che "i bandi erano monopartecipati: si presentava una sola società che quindi si aggiudicava i terreni messi a gara". Questi erano "tutti mafiosi e parenti di mafiosi. Negli anni successivi abbiamo scoperto che prendevano fondi Ue Gaetano Riina, fratello del più noto Totò, le famiglie Santapaola ed Ercolano, le sorelle di Matteo Messina Denaro, i Pelle, i Pesce e i Mancuso che in Calabria sono note famiglie di ‘Ndrangheta", ha sottolineato.

Ecco, dunque, la necessità di aggiornare la legge in questione che, fino ad allora, prevedeva che per bandi a base d’asta inferiori a 150mila euro non occorreva il certificato Antimafia rilasciato dalle prefetture. "Bastava un’autocertificazione - ha commentato Antoci -. I mafiosi assicuravano allo Stato di non essere mafiosi". Con il nuovo protocollo venne portata la soglia a zero. E fu così che "scoppiò il putiferio".

Dopo l’entrata in vigore del protocollo, "il direttore generale dell’Agea parlava di indebite percezioni per quasi 30 milioni di euro e l’annullamento di 28mila titoli per un valore di circa 9 milioni all’anno - ha continuato -. Moltiplicato per sette, cioè gli anni della programmazione europea, vuol dire più di 60 milioni che erano in mano alla mafia. E parliamo di numeri relativi solo a una piccola provincia come quella di Enna".

Foto © Imagoeconomica

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