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A Milano è cresciuta negli anni una federazione di mafie (Cosa nostra, 'Ndrangheta e Camorra romana) sostenuta da una struttura unitaria in grado di far convergere interessi comuni, di attuare azioni di mutuo soccorso e da fungere da centro di risoluzione dei conflitti tra gli affiliati. Questa federazione organizzava summit, decideva strategie, estorsioni, azioni intimidatorie, omicidi, esercitava forti influenze sulle gare d’appalto e gestiva il traffico di stupefacenti.
L'indagine Hydra, durata oltre 2 anni, rappresenta, secondo l'impostazione accusatoria, una innovazione nelle acquisizioni investigative nel settore della criminalità organizzata di stampo mafioso operante in Lombardia.
Tale scenario è stato poi ulteriormente corroborato dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia De Castro Emanuele.
L’avvio delle attività si è sostanziato inizialmente nel monitoraggio della locale di 'Ndrangheta di Legnano - Lonate Pozzolo ed in particolare del suo uomo al momento più rappresentativo Rosi Massimo, e nel monitoraggio del circuito relazionale di Cantarella Gaetano. È questo in estrema sintesi l’ipotesi dei magistrati della Procura di Milano (diretta dal Procuratore Marcello Viola), il pm Alessandra Cerreti e del Nucleo investigativo dei carabinieri di via Moscova diretto dal colonnello Antonio Coppola. Tuttavia il gip Tommaso Perna nella sua ordinanza di ieri - circa duemila pagine - ha accolto solo undici richieste di arresto su 154 avanzate dalla Direzione distrettuale antimafia coordinata dall’aggiunto Alessandra Dolci.
Sono stati quindi arrestati Gioacchino Amico, Francesco Bellusci, Rosario Bonvissuto, Giacomo Cristello, Giuseppe Fiore, Pietro Mazzotta, Dario e Francesco Nicastro, Massimo Rosi, Sergio Sanseverino, Giuseppe Sorce. I reati contestati sono, a vario titolo: porto d’armi, due estorsioni aggravate dal metodo mafioso, una minaccia aggravata, traffico di droga, spaccio, ed evasione fiscale.
Nell'ordinanza il giudice per le indagini preliminari ha così demolito il lavoro titanico scrivendo che non vi è prova "dell'esistenza del vincolo associativo tra tutti i sodali rispetto al sodalizio consortile" e "dell'esternazione del metodo mafioso che deve caratterizzare l'unione tra persone e beni". Per il gip non esisterebbe la struttura unitaria ma piuttosto la sola presenza di "un sistema criminale più ampio" composto da "contatti tra alcuni appartenenti alle singole componenti criminali, per lo più basati su specifiche conoscenze personali".
Inoltre, sempre nel documento si legge che il giudice per le indagini preliminari non “condivide a monte ogni aspetto riguardante la supposta esistenza di un accordo stabile e duraturo tra le diverse componenti calabrese, siciliana e romana, ai quali l’odierno decidente ritiene di non poter aderire”.
Frasi che riportano indietro l'orologio della storia, cioè prima della maxi indagine Crimine - Infinito con la quale si è dimostrata l'unitarietà della 'Ndrangheta ed è stato provato con sentenza irrevocabile che la Lombardia è la seconda regione italiana per densità di 'Ndrangheta dopo la Calabria. I pubblici ministeri hanno già proposto appello al tribunale del Riesame di Milano.
Il "Fatto Quotidiano" ha infatti reso noto che gran parte dei contenuti dell’ordinanza sarebbero stato copiati dal Gip da testi dell’avvocato Salvatore Del Giudice che si occupa, leggendo dal suo sito, di reati contro la persona, contro il patrimonio, contro la Pa.


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Marcello Viola


I cinque gruppi che compongono il sistema mafioso lombardo
La Procura avrebbe individuato cinque gruppi che compongono il "Consorzio": La prima è quella palermitana rappresentata da Giuseppe Fidanzati, detto Ninni, figlio del defunto Gaetano, già a capo del mandamento dell’Arenella, e da suo zio Stefano Fidanzati, ritenuto oggi il reggente del clan a Palermo. Giuseppe Fidanzati, si legge, avrebbe impartito "precise direttive volte alla risoluzione di controversie tra gli associati del sistema mafioso lombardo (in particolare, in relazione alla controversia Amico - Pace)".
Poi ci sarebbe stato Errante Parrinno Paolo Aurelio, in qualità di referente nell’area lombarda della Provincia di Trapani, con specifico riferimento al Mandamento di Castelvetrano riconducibile all’ex latitante Matteo Messina Denaro. Aurelio è già stato condannato a dieci anni di reclusione con sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo il 16 aprile 1997.
Anche per lui, però, il gip ha negato l'arresto per associazione mafiosa. Gli inquirenti riportano intercettazioni "con reiterati riferimenti" a Messina Denaro che, per i pm, sarebbe stato colui a cui "inviare o dal quale ricevere 'ambasciate'", anche per la risoluzione di conflitti. In un'intercettazione ambientale del febbraio 2021, tra l'altro, Filippo Crea, per i pm parte dell'alleanza tra mafie, parlando con altri diceva: "Oggi gli ho cambiato un milione e due a questa persona...che è entrato nel consorzio a luglio...ha 20 milioni interrati...il suo socio...è quello là il super latitante". Sempre la Dda ricostruisce una serie di "summit in Sicilia" che dimostrerebbero "i collegamenti tra il sistema mafioso lombardo e l'ex latitante". Incontri anche con un "uomo di fiducia" del boss, tanto che, sempre per la Dda, Gioacchino Amico, tra gli 11 arrestati ieri ma non per associazione mafiosa (per traffico di droga e estorsioni), si sarebbe preoccupato "nello stilare la lista degli invitati al proprio matrimonio" che fosse presente proprio questo "uomo di fiducia".
Altro uomo d'onore di Trapani è, scrive la Procura, Bernardo Pace detto “Dino”. Sarebbe stato lui ad aver mantenuto le relazioni con esponenti della famiglia di 'Ndrangheta dei Crea, con i fratelli Abilone Giovanni e Abilone Rosario e con la famiglia dei "Carcagnusi".
Per il gruppo di 'Ndrangheta operante all'intento della 'super - struttura' vi era, si legge, "Rispoli Vincenzo, in qualità di capo della locale di ‘Ndrangheta di Legnano Lonate Pozzolo e già condannato in via definitiva. Secondo gli investigatori avrebbe impartito ordini dal carcere - nonostante detenuto al 41 - bis - riguardanti la "ricostituzione della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, facendo recapitare a Rosi Massimo, tramite il figlio Rispoli Alfonso, una missiva con la quale ne autorizzava la riorganizzazione".
Inoltre avrebbe svolto un ruolo di mediazione e trait d’union tra la locale e le altre componenti facenti parte del sistema mafioso lombardo, in particolare, con il clan camorristico Senese e la famiglia di Cosa nostra Rinzivillo e partecipando al versamento di somme di denaro nella cassa comune, la cd. “bacinella”, destinate al sostentamento dei detenuti.
Sempre per il ramo della 'Ndrangheta vi sarebbero stati, secondo gli investigatori, Cristello Giacomo, Crea Santo e Crea Filippo, esponenti della cosca Iamonte. E infine Romeo Antonio, "espressione in Lombardia della cosca mafiosa dei Romeo "Staccu" operante sul territorio di San Luca come attestato dalla sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria nella quale Romeo Sebastiano detto "u staccu" veniva indicato quale "capo locale di San Luca" e come uno dei vertici dell'organizzazione del traffico di sostanze stupefacenti anche con base operativa a Milano), figlio di Romeo Filippo (condannato, con medesima sentenza, alla pena di anni 10 per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti)".
La Camorra romana è rappresentata da Vincenzo Senese, figlio di Senese Michele e da Giancarlo Vestiti, il quale prima del suo arresto era l’uomo-cerniera per tenere assieme tutti i gruppi. Tanto che Filippo Crea gli dirà: “Guardate che voi siete al centro siete come epicentro di molti equilibri – voi siete l’epicentro di molti equilibri, per i figlioli, per noi per tutti!”.

Per il gip manca la forza di intimidazione
Uno dei punti più stridenti dell'ordinanza riguarda proprio la presenza (smentita dal gip con le frasi manca “un’attività esterna obiettivamente riscontrabile e concretamente percepibile”) della forza di intimidazione. Ma le indagini, va detto, hanno portato al sequestro di otto pistole e un fucile a canne mozze. E nelle nove estorsioni contestate si ascoltano frasi assai esplicite: “Digli a questi (…) se non vogliono la guerra di aggiustare le cose se no qua succede una guerra lascio a casa tutto e vengo da solo mi metto due pistole addosso è vengo lì, Pino facciamo cose giuste”. E ancora: “Firma tutto, molla tutto, se no veramente ti ammazzo io a te, ti ammazzo, firma tutto, firma tutto, ehi, firma tutto”. Altre parole, dette da Nicastro Dario: “Ma sfasciatelo a mazzate questo carabiniere, non ti permettere a chiamare a nessuno che ti diamo fuoco! Ti faccio scappare da Busto, vedi che a Busto adesso comando io mi stai capendo”. E per finire: “Marin qua e noialtri qua, gli ho detto: se io mi faccio un giorno di carcere, gli ho detto, uno, siete morti! Perchè sai se arrivano quelli di Roma poi sai quelli sparano”.
Oltre alle parole vi sono anche atti concreti. La Procura ha riportato che Abilione Rosario, Abilione Giovanni, Pace Michele e Pace Bernardo "ricorrendo ad atti violenti di diversa natura, dopo aver pianificato l’ingresso di una società ad essi riconducibile nel consorzio societario “Marin” alfine di dirottarne gli appalti, ottenendone un ingiusto ed ingente profitto: "Allora Marin, tu sai cosa gli devi dire: 'sai che c'è, mi devi dei soldi?! sai cosa c'è, mi passi tre appalti!', okay?".
"Mi vado a piazzare davanti, appena lui arriva con il Porsche lo chiudo... 'sali in macchina!... (incomprensibile)..la riunione quando la facciamo?' o vado là con la pistola sulla macchina".
E poi ancora: Nicastro Dario, Nicastro Francesco, Bonvissuto Rosario, in concorso tra loro ed altri soggetti in corso di identificazione, avrebbero colpito "Picone Francesco con calci e pugni all'interno dell’esercizio pubblico 'Studio 54' sito in via Bergamo n.29 a Busto Arsizio" causandogli "lesioni personali" quali “frattura ossa nasali”, “frattura chiusa di altre ossa della faccia”. Il gip arriva addirittura a negare la presenza (storicamente accertata) in Lombardia del clan Fidanzati o degli Iamonte di Melito di Porto Salvo, storica famiglia di 'Ndrangheta divenuta molto potente dopo la prima guerra del '74-'77.


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Alessandra Dolci


I summit tra le mafie
Secondo la procura vi sarebbero stati summit nelle cittadine di Dairago, Abbiategrasso, Castano Primo, Busto Garolfo, Inveruno e Cinisello Balsamo. In queste riunioni si parlava dell’organizzazione del traffico di droga, degli investimenti dell’ecobunus 110%, di società con capitali, di lucrare sul Covid, di infiltrazioni nell'Ortomercato, negli ospedali lombardi pubblici e privati e di appalti anche all’interno delle carceri.
Carceri come quello di Vigevano grazie alla conoscenza dei Crea con l’ex vicesindaco Antonello Galiani (non indagato) da poco nominato vice commissario regionale per Forza Italia. E sempre grazie ai contatti di Galiani, i Crea, per conto del Consorzio, avrebbero progettato la ristrutturazione di oltre duemila alloggi popolari in Piemonte. In via generale, le parole di Amico chiariscono il quadro: “Faremo l’immobiliare, acquisteremo tutte le cose che ci va a costare, asse non asse…costruiremo tutto…sempre dove con i proventi di Milano, Milano…con i proventi di Roma, Roma.. con i proventi di Calabria, Calabria…con i proventi di Sicilia, Sicilia…certo così noi sul territorio non abbiamo discordanze…tu prendi i soldi da Milano da investire a Roma”.
Il 'Consorzio' vantava peraltro contatti con il mondo della politica di Forza Italia e di Fratelli d’Italia soprattutto, come la ministra Daniela Santanchè e la sottosegretaria all'Istruzione Paola Frassinetti. Contatti e frequentazioni anche con esponenti politici locali come il sindaco di Abbiategrasso, Cesare Nai, e l’ex vicesindaco di Vigevano.
Sono considerazioni che non hanno retto al vaglio del Gip ma che ora sono in sede di Riesame.
I summit, come si evince dal documento avevano, nella stragrande maggioranza dei casi, una caratteristica: erano composti da membri provenienti dai tre gruppi. Ma per il gip manca quell'elemento che determini l'unitarietà dell'organizzazione.
Ad esempio il summit presso gli uffici della “Servizi Integrati” di Dairago: Rispoli Vincenzo, Fidanzati Giuseppe, Amico Giacchino ed altri, in rappresentanza delle rispettive componenti, nel corso del quale venivano pianificati ed avviati nuovi investimenti, tra i quali la gestione dell'ecobonus 110% e l’importazione dal continente africano di ingenti quantitativi di ferro, acciaio e gasolio. Oppure quello presso il terreno agricolo sito in Castano Primio (MI), riconducibile a Cristello Giacomo, finalizzato alla ricostituzione della locale di ‘Ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo.

Lele Mora e Dell'Utri
La super - struttura si sarebbe infiltrata anche nell'Ortomercato di Milano.
Gli inquirenti hanno registrato la presunta amicizia tra Giancarlo Vestiti e l’ex direttore generale di Sogemi, la società pubblica che controlla la struttura, Stefano Zani, già arrestato nel 2019 in una inchiesta per corruzione. L'ex dirigente pubblico avrebbe raccontato a Zani la vicenda di una cena: “Volevo far ridere Giancarlo perché siamo andati l’altra sera a cena no...dalla mia amica che è l’avvocato (…) e allora sembrava le mie prigioni no, poi gli manderò la foto...c’ero io Lele (Mora) e Dell’Utri”. Inoltre da segnalazioni di Banca d’Italia emerge che Amico, attraverso sue società, ha preso lavori per oltre 3 milioni di euro.

Foto © Imagoeconomica

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