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Siamo a ben 31 anni dalla strage di Via d’Amelio. La memoria non si acquieta. La memoria morde le coscienze. La memoria ricerca ancora la piena verità.
Paolo Borsellino aveva scritto tutto nei suoi occhi: prima della strage di Capaci, erano sempre pieni di luce, dopo hanno cambiato colore, si sono velati di perenne e indicibile tristezza. Sembravano il manto del Cristo velato di Napoli.
Quei giorni a Palermo si avvertiva che si stava andando incontro, passo dopo passo, a qualcosa di tragico. Si riscriveva il destino di un’altra “storia di una morte annunciata”.
La scorta è stata disintegrata insieme con il Giudice, anche di loro c’è bisogno di coltivare la memoria.
Agostino Catalano: come non ricordarlo accanto a Padre Sorge, mentre lo scortava con intelligenza e delicatezza.
Emanuela Loi: luminosa, intelligente e con un altissimo senso del dovere, come se fosse consapevole che era la prima donna a far parte di una scorta; è stata anche la prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio.
Vincenzo Li Muli: molto giovane ma già con la professionalità e serietà di un veterano, tanto che dopo la strage di Capaci volle essere assegnato a Borsellino.
Walter Eddie Cosina: veniva dalla lontana Australia, perché emigrato con la famiglia e poi tornato in Italia per donare tutto se stesso al proprio Paese, scelse di rimanere in servizio quel giorno nonostante da Trieste, da dove proveniva anche Lui, fosse giunto un collega a dargli il cambio.
Claudio Traina: capì subito la posta in gioco contro la mafia a Palermo, sua città natale. Non si tirò indietro nonostante avesse un figlio di appena undici mesi.
L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, perché mentre il boato dilaniava le carni di Borsellino e dei suoi colleghi stava parcheggiando una delle auto della scorta. Un sopravvissuto consapevole e perciò scomodo.
Ho passato tanti anni a tentare di capire. I perché sono tuttora tantissimi. Perché un’accelerazione così devastante dell’aggressione mafiosa? Perché Borsellino non fu messo nelle condizioni di raccontare ai magistrati quello che sapeva? Perché la casa della mamma dove si recava spessissimo non era protetta? Perché l’Agenda rossa venne fatta sparire? Perché nelle indagini furono coinvolti gli apparati? Perché il depistaggio? Perché i contatti/trattativa con Riina? Perché il 41 bis poi venne revocato a diversi boss? Perché, perché, perché…
La ferita è ancora aperta. La ferita sanguina. Si può curare solo se anche la più amara e terribile verità sarà preferita a quella di comodo o di copertura. La nostra Democrazia potrà considerarsi matura solo quando tutte le responsabilità verranno alla luce e si costruirà una classe dirigente capace di liberare il Paese definitivamente dalle mafie e dalle sue collusioni con un’antimafia anche e soprattutto del “giorno prima” e capace di coniugare nel suo impegno legalità costituzionale e sviluppo sostenibile socialmente e ambientalmente.
Per chi volesse conoscere meglio il mio pensiero su questo argomento, metto a disposizione a questi link la fatica di anni e anni di impegno:

- La relazione conclusiva di minoranza, da me presentata il 20 gennaio 2006 (DOC. XXIII, n. 16-bis, XIV leg.)

- Una mia nota del 2013 sulle stragi, alla relazione conclusiva della Commissione antimafia della XVI legislatura

- Il mio intervento del 7 febbraio 2018 sulle conclusioni dei lavori della Commissione antimafia della XVII legislatura  

Tratto da: omcom.org


Foto © Imagoeconomica

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