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Paolo Borsellino era colpevolista.
Paolo Borsellino era giustizialista.
Paolo Borsellino tutto era tranne che garantista.
Era colpevolista, nella misura in cui pretendeva, con il suo lavoro, che i mafiosi pagassero con il carcere i reati di sangue che avevano commesso e con i quali avevano messo in ginocchio la Sicilia e l'Italia intera.
Era giustizialista, nella misura in cui la sola arma che conosceva per debellare Cosa Nostra e le sue complicità era quella del diritto, in uno Stato di diritto. Giustizialista, in quanto armato di giustizia. Capite che intendiamo? L'antica bilancia dei Greci.
Non era garantista, se per garantismo si intende ciò che si intende oggi: le infinite vie di fuga, giuridiche e processuali, che la politica pretende di garantire alla criminalità mafiosa.
Paolo Borsellino era fascista? Sull'argomento, lui ci scherzava sopra.
Capitò al sottoscritto, in anni assai lontani, l’onore di fargli la prima intervista per un giornale nazionale - L'Unità - quando ancora, persino a Palermo, non era entrato nel radar dei giornali cittadini.


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E non c’era entrato neanche Giovanni Falcone. Come non c’era entrato quel nuovo strumento sconosciuto - il “pool” antimafia, che leggendario lo sarebbe diventato solo molto tempo dopo - prima forma di autodifesa che quei magistrati, che rischiavano ogni giorno di essere fatti a pezzi, stavano cercando di mettere a punto.
Altro che garantismo. Altro che cultura del sospetto. Altro che “destra” “sinistra” e “centro”. La politica, la lasciavano fuori dalla porta. La vedevano come fumo negli occhi.
Ma torniamo a Borsellino.
Ci chiedevamo se era stato fascista. Da giovane universitario, sicuramente si.
Siccome dopo quell'intervista gliene feci tante altre, e nel disinteresse del resto dei giornali italiani e siciliani, un giorno, ridendo proprio di gusto, con quegli indimenticabili baffoni che non riusciva mai a tenere fermi, mi disse: “I miei non riescono a capire perché io rilascio tante interviste all'''Unità" e i suoi si chiederanno perché "lei insiste a chiedere sempre il mio parere. Li stiamo facendo impazzire". Si: i “miei” e i “suoi”: perché lui si considerava di destra, e considerava me comunista.


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Era proprio questa la chiave di tutto.
Per Paolo Borsellino, le scelte politiche individuali di ciascuno non dovevano mettere il becco nella lotta alla mafia.
E così, come lui, la pensavano Giovanni Falcone e tutti gli altri componenti del “pool”.
Vollero e ottennero, a prezzi di immensi sacrifici, il "maxi" processo. Quanto di meno garantista si potesse immaginare.
Vollero le misure patrimoniali, già congegnate da Pio La Torre, il segretario dei comunisti siciliani, già puntualmente massacrato dalla mafia, prima che il Parlamento approvasse poi la legge che porta il suo nome. Colpire il portafoglio dei mafiosi, quanto di meno garantista si potesse immaginare.
Vollero e ottennero ergastoli, confermati dalla Cassazione.
Oggi, la premier ricorda agli italiani che appena quindicenne decise di fare politica nel nome di Paolo Borsellino. Bene. Ottima scelta.
Ma la gente oggi non sa che tutto quello che Paolo Borsellino fece, lo fece non perché "era fascista".
E qui non vogliamo deludere Giorgia Meloni. Fece tutto quello che fece, perché apparteneva a una razza di uomini particolari: quelli che non accettano che si conviva con i poteri criminali.
Ce ne fossero ancora molti di "fascisti" così.

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La rubrica di Saverio Lodato

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