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cattafi-rosario-webdi Fabio Repici - 2 novembre 2012
Il 24 luglio scorso, finalmente, l’Autorità giudiziaria, con l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti, ha dato definitivamente ragione alle accuse che io e pochi altri avevamo avuto il merito di fare sul ruolo di Cattafi e sulle protezioni istituzionali di cui aveva goduto (e di cui spero non goda più).

Le vicende di Cattafi per me avevano naturalmente un significato ulteriore: si tratta, infatti, del capo dell’organizzazione mafiosa che ha deciso ed eseguito l’assassinio di Beppe Alfano. E peraltro era stato proprio mio padre, con parole che mi lasciano inquietudine ancora oggi, nell’autunno 1991, avendolo scorto per strada a Barcellona Pozzo di Gotto, a segnalarmi i rischi che qualcosa di grosso fosse in arrivo, se Cattafi era tornato operativo in terra siciliana. Vennero, purtroppo, le stragi del 1992. E il telecomando usato da Brusca a Capaci il 23 maggio 1992 gli venne recapitato proprio da Barcellona Pozzo di Gotto, ad opera di quel Giuseppe Gullotti che di Cattafi era storicamente il figlioccio più intimo. E venne quel maledetto 8 gennaio 1993, con l’uccisione di mio padre, per la quale quello stesso Gullotti, figlioccio di Cattafi, è stato condannato con sentenza definitiva.

Ecco perché da anni mi sforzavo di rappresentare alle istituzioni e all’opinione pubblica la centralità che Barcellona Pozzo di Gotto aveva avuto nelle dinamiche di Cosa Nostra nel drammatico biennio stragista (e trattativista).

Ora, a dare per l’ennesima volta ragione alle denunce mie e di pochi altri, è arrivato perfino Cattafi. Il boss, com’è noto, da qualche tempo ha iniziato a rendere dichiarazioni alla magistratura, e ha iniziato proprio dalla trattativa Stato-mafia, sulla quale lunedì scorso è iniziato il processo più importante di questi anni. Ho letto i primi verbali contenenti le dichiarazioni di Cattafi. È facile, già a una prima lettura, comprendere come ancora Cattafi non abbia rotto il ghiaccio della reticenza, sul proprio ruolo e su quello di altri, e dunque ancora tanto abbia da raccontare. Ma in questi casi c’è solo da sperare che alla fine il mafioso che inizia a sbottonarsi davanti all’Autorità giudiziaria finisca per collaborare lealmente con la giustizia, a partire dall’udienza del prossimo 10 novembre nel processo a carico di Mario Mori e Mauro Obinu. Nonostante tutte le perplessità su un personaggio dallo spessore criminale quasi senza pari, si ha l’obbligo di sperarlo.

Tanto più si ha l’obbligo, perché da una leale collaborazione con la giustizia da parte di Cattafi deriverebbero risultati davvero enormi per l’accertamento della verità sugli ultimi quattro decenni di storia della mafia, fra la Sicilia e Milano.

Al fine di consentire a tutti di comprendere quale potrebbe essere la portata colossale delle rivelazioni di Rosario Pio Cattafi, a partire da oggi pubblico su questo stesso blog, in più puntate, una dettagliata ricostruzione dell’avventura criminale di Cattafi e delle vicende attraverso le quali si è sviluppata la sua esperienza di boss mafioso legato a magistrati disonesti, ad apparati investigativi deviati e a frange dei servizi segreti. Ne è autore Fabio Repici, che, oltre a essere dal 2001 l’avvocato che ha supportato la mia lotta per la verità e la giustizia sull’omicidio di Beppe Alfano, fin da prima della mia elezione al Parlamento Europeo è stato e continua ad essere uno dei miei più preziosi collaboratori, tanto più da quando ho iniziato il lavoro per la risoluzione sul crimine organizzato del 25 ottobre 2011 e ho poi assunto il ruolo di Presidente della prima Commissione Antimafia Europea.

Buona lettura.
Sonia Alfano

 
La peggio gioventù – Vita nera di Rosario Pio Cattafi/1
di Fabio Repici
Rosario Pio Cattafi è nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 6 gennaio 1952. Anno più, anno meno, dunque, appartiene a quella stessa generazione che fece da protagonista collettivo del bellissimo La meglio gioventù, di Marco Tullio Giordana. Solo che Cattafi fa parte della frazione nera (non soltanto in senso fascista) di quella generazione, quella che, anziché intestarsi le battaglie di civiltà e di progresso, si è spesa allo spasimo per il regresso reazionario e violento che, proprio come nel suo caso, si è spesso intrecciato alla violenza criminale di stampo mafioso e/o terroristico.

Per questo una biografia sua e della sua genia non può che intitolarsi La peggio gioventùVita nera di Rosario Pio Cattafi, poi, è solo la cronachistica denominazione che può (anzi, deve) darsi all’esistenza del capomafia barcellonese. Proprio come La meglio gioventù, anche La peggio gioventù può essere frazionata in un capitolo per ogni decennio.

Anni Settanta

Figlio di una delle famiglie più agiate della borghesia barcellonese, una famiglia facoltosa e accreditata pure dal prestigio del poeta Bartolo (forse sopravvalutato ma sicuramente autore riconosciuto nella lirica italiana del ventesimo secolo), Rosario Cattafi al principio del decennio si ritrova matricola di giurisprudenza all’università di Messina. L’ateneo peloritano di quegli anni meriterebbe un’analisi criminologica a sé. Mentre le università del resto d’Italia vedono solitamente una presenza maggioritaria di organizzazioni studentesche di sinistra, a Messina si sperimenta una esplosiva miscela pressoché inedita, frutto della peculiare posizione geografica del bacino d’utenza: il neofascismo giovanile, sulle sponde dello Stretto, si fonde con le nuove leve di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta.

Il giovane rampollo barcellonese entra subito nelle cronache giudiziarie – e nelle patrie galere – in grande stile. Lo raccontano due sentenze del Tribunale di Messina. La prima, non in ordine di tempo, risale al 19 ottobre 1976 ma si riferisce a fatti avvenuti nel dicembre 1971. Cattafi è iscritto al primo anno di università ma anziché dedicarsi allo studio di codici e pandette è assorbito da malintesa passione politica (diviene tra l’altro vicesegretario della sezione messinese del Fuan), che per lui non è battaglia di idee ma violenza fisica. E, infatti, insieme ad altri sei giovani neofascisti siciliani e calabresi, aggredisce brutalmente cinque studenti di sinistra. In concorso con Cattafi, fra gli altri, viene condannato un suo coetaneo iscritto a veterinaria e destinato a rimanere nella storia d’Italia con una qualifica che brucia nel ricordo di tutti i cittadini onesti: Pietro Rampulla, l’artificiere della strage di Capaci del 23 maggio 1992. Sulle sfumature barcellonesi della strage di Capaci sarà il caso di tornare in prosieguo.

La seconda sentenza del Tribunale di Messina, emessa il 12 novembre 1975, vede Cattafi condannato insieme ai calabresi Carmelo Laurendi (negli anni Novanta condannato in qualità di ufficiale sanitario per i “rifiuti d’oro” a Desio e nel 2000 arrestato nell’operazione “Panta Rei” sulle infiltrazioni mafiose all’università di Messina) e Francesco Prota per il porto e la detenzione di un mitra Sten dal quale nella notte fra il 27 e il 28 aprile 1973 viene esplosa una sventagliata all’interno della Casa dello studente di Messina. A leggere quest’ultima sentenza, ci si avvede di come Cattafi, ogni volta che viene pescato con le mani nel sacco (fu incarcerato fra il 6 agosto e l’1 settembre 1973), si mostra prodigo di dichiarazioni verso gli inquirenti. È probabilmente in quest’occasione che Cattafi acquisisce per la prima volta confidenza con taluni apparati investigativi. Questo, almeno, sembrerebbe desumersi anche dalle dichiarazioni dello stesso capomafia barcellonese del 28 settembre 2012, allorché fa il nome del maresciallo Blasa. Pure sulla sparatoria col mitra alla Casa dello Studente, però, le dichiarazioni sono reticenti sulle sue responsabilità, come il Tribunale puntualmente annota: Cattafi accusa Prota e Laurendi; Prota accusa Laurendi e Cattafi; Laurendi accusa Cattafi e Prota. Risultato: condanna a un anno e otto mesi di reclusione per Cattafi e Prota; a un anno per Laurendi (in appello aumentata a un anno e sei mesi).

Tanto è reboante la violenza neofascista (e mafiosa, naturalmente, come si capisce con lo sguardo della storia) in quegli anni all’università di Messina che il 27 febbraio 1976 il Senato Accademico decide di “sospendere gli studenti coinvolti in episodi di delinquenza fascista”. Nel frattempo, però, Cattafi, prima ancora di riportare quelle condanne, si trasferisce a Milano. L’agiatezza della sua famiglia, del resto, lo agevola.

Il capoluogo lombardo negli anni Settanta, di là dalla versione ufficiale sulla capitale morale del paese, è già terra occupata da Cosa Nostra e ‘ndrangheta, che lì hanno le piazze più fiorenti per il narcotraffico e le condizioni più appropriate per il riciclaggio del denaro sporco. In quel periodo, per di più, la Lombardia vede moltiplicarsi una specialità criminale che Cosa Nostra ha vietato di praticare in Sicilia: il sequestro di persona a scopo di estorsione. Non si contano i sequestri, in quegli anni, fra Milano e dintorni. Prima di diventare una specialità delle gang aspromontane, sono i mafiosi siciliani, spesso in società coi colleghi calabresi, ad averne l’egemonia per quasi tutti gli anni Settanta.

Il 28 gennaio 1975 a Milano viene sequestrato un facoltoso industriale, Giuseppe Agrati. Quella sera l’imprenditore è andato a giocare a carte in una bisca privata, presente fra gli altri un personaggio di cui leggeremo anche oltre, Gianfranco Ginocchi, uno che sarebbe stato pure coinvolto in una mega truffa di false obbligazioni Iri insieme al banchiere sindoniano Ugo De Luca. Agrati in quella data non conclude la giocata e non torna a casa: finisce, invece, in mano a una banda di sequestratori. Viene liberato il 22 febbraio 1975 ma soltanto dopo il pagamento di un riscatto enorme per quei tempi: due miliardi e mezzo di lire. Quasi dieci anni dopo – nel frattempo il presunto complice Ginocchi è stato ucciso, in un agguato rimasto senza responsabili – Cattafi viene processato per il sequestro Agrati. Il suo pubblico ministero, il sostituto procuratore di Milano, è anche una sua vecchia conoscenza dell’infanzia barcellonese, Francesco Di Maggio. Ad accusare Cattafi sono in tanti. C’è perfino una testimone oculare, cameriera di Ginocchi, le cui dichiarazioni così sono sintetizzate dal giudice istruttore: “Ginocchi le aveva confidato che la sera  in cui era avvenuto il sequestro, Agrati aveva giocato a carte con lui (circostanza questa confermata dall’Agrati stesso); circa dieci giorni prima che l’avvenuto sequestro venisse divulgato dalla stampa la teste aveva sorpreso il Ginocchi col Cattafi ed altri ed il Ginocchi le aveva impedito di entrare nella sua camera. Quella notte il cane aveva abbaiato rabbiosamente fino alle due di notte e la mattina dopo il cane non c’era più e la camera era in assoluto disordine (il cane era stato effettivamente donato, nel 1975, al teste Fieschi); la sera prima di questo fatto aveva notato la presenza di due bottiglie di etere che la sera dopo furono portate via da certo Elio e da certo Franco Crudo che erano sopraggiunti nel tardo pomeriggio. Queste due persone nei giorni precedenti erano arrivate con scarpe infangate ed avevano una borsa con passamontagna blu e conoscevano bene il Cattafi; la sera dopo il fatto più sopra descritto Ginocchi aveva ricevuto una telefonata dal Cattafi che ricomparve dopo circa dieci giorni e si fermò in casa per altri quindici; durante il sequestro l’autista di Ginocchi non poteva accedere al garage; negli ultimi giorni del sequestro, Ginocchi e Cattafi commentavano le notizie di stampa relative alla conclusione delle trattative, Ginocchi disse a Cattafi ‘ci siamo bello mio’ ed il giornale era aperto sulla pagina dove si parlava del sequestro; dopo la liberazione di Agrati portando al Ginocchi e Cattafi la colazione nella camera da letto del Ginocchi, la teste vide una valigetta ventiquattrore nera ed una valigia colma di mazzette di banconote forse da 50.000 lire oltre a tre o quattro borse di plastica rigonfie. Quel pomeriggio Ginocchi e Cattafi andarono in Svizzera con le borse. I due da allora ebbero grandi disponibilità finanziarie … Inoltre il marito della … ha confermato la frequenza da parte del Cattafi nella casa del Ginocchi e l’episodio della valigetta ventiquattrore contenente banconote nella camera da letto ove era il Cattafi insieme al Ginocchi”. Nello stesso fascicolo, su Cattafi ci sono anche le dichiarazioni di tale Giovanni De Giorgi al riguardo dei contatti di Cattafi coi servizi segreti, coi vertici di Cosa Nostra, con il suo coimputato in quel procedimento Franco Carlo Mariani (“che il Cattafi ed il Mariani erano stati molto legati a Ginocchi Gianfranco della cui morte violenta [Ginocchi viene ucciso il 15 dicembre 1978, n.d.a.] peraltro i due parlavano con tono di aperto scherno; di aver appreso dal Mezzani di pesanti sospetti dallo stesso nutriti in merito a responsabilità dei due sull’omicidio Ginocchi; di avere seguito recentemente per conto del Cattafi operazioni di importazioni di valuta dalla Svizzera per finanziare latitanti”) e le dichiarazioni di tale Enrico Mezzani. Soprendentemente, però, quel giudice istruttore, il dr. Paolo Arbasino, il 30 luglio 1986 proscioglie Cattafi in istruttoria, su richiesta del P.m. Di Maggio. Curiosamente, nelle dichiarazioni del 28 settembre 2012, Cattafi sostiene, forse per assegnarle maggior credito forse per cattiva memoria, che nella richiesta di proscioglimento in suo favore compaia, accanto a quella di Di Maggio, la firma di un magistrato molto più celebre, Piercamillo Davigo. Peccato che – richiesta di proscioglimento alla mano, direbbe qualcuno – si vedono le firme soltanto di Di Maggio e di un suo giovane uditore giudiziario del tempo.

Certo, rimane la sorpresa per un proscioglimento disposto col vecchio codice sulla scorta di un bagaglio probatorio in ragione del quale l’odierno codice di procedura penale (sicuramente più garantista) difficilmente avrebbe preservato Cattafi da una condanna. La sorpresa, poi, aumenta nel leggere il testo di un’intercettazione telefonica di tanti anni dopo.

Il magistrato Olindo Canali nel 2009, quando è ancora in servizio alla Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto (oggi fa il giudice al Tribunale di Milano) viene indagato dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria per falsa testimonianza. Sarà poi condannato a due anni di reclusione il 14 marzo 2012. Durante le indagini i pubblici ministeri sottopongono Canali a intercettazione telefonica. E così gli inquirenti ascoltano una telefonata che il 19 giugno 2009 Canali fa allo scrittore Alfio Caruso, in quel momento impegnato nella stesura del libro “Io che da morto vi parlo” (ed. Longanesi), biografia di Adolfo Parmaliana, suicida per malagiustizia. Canali ha timore di quel che Caruso possa scrivere su di lui a proposito delle vicende di Parmaliana e così lo contatta per cercare di carpirgli un trattamento benevolo. Senza risultati, a dire il vero. Ma nel corso di quella conversazione intercettata Canali parla di Cattafi. E ricorda che a metà degli anni Ottanta egli era stato uditore giudiziario di Francesco Di Maggio, proprio quando Di Maggio si stava occupando del procedimento a carico di Cattafi per il sequestro Agrati. Canali aggiunge una cosa rilevantissima, e inedita, su Cattafi e sul sequestro Agrati: “Agrati, e lì una brutta storia … quando lui citofona e da sopra dice ‘sono Saro’, se lo ricorda?”. Come a dire che la sera della fatidica giocata a carte che costò il rapimento ad Agrati è presente alla bisca pure Cattafi. Salvo pensare che Canali sia quello che a Roma definiscono un “cazzaro”, a legare Cattafi al sequestro Agrati ci sono pure le parole di un magistrato.

Fatto è che per Cattafi tutto finisce senza conseguenze, per quel sequestro di persona del 1975. Di sicuro, però, Cattafi a Milano continua a operare in ambienti criminali di alto bordo, i più attivi canali di riciclaggio del denaro di Cosa Nostra, almeno stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Federico Corniglia. Questi viene interrogato il 4 dicembre 1997 dal P.m. milanese Alberto Nobili e dal magistrato palermitano Antonio Ingroia e così si esprime su Cattafi: “(Ho conosciuto Stefano Bontade, n.d.a.) a Milano, sì, gli detti due documenti che gli servivano … mi ricordo che erano due carte d’identità svizzere rilasciate da un cantone di lingua italiana, il Canton Ticino, un comune che era nei pressi di Lugano, mi dette lui il nominativo, lo vidi assieme ad uno studente, allora, che si chiama … che poi fu interrogato anche in merito per il delitto di GINOCCHI … poi non seppi più nulla di lui perché lo ho fatto conoscenza … si chiama … è di Barcellona questo … ho una memoria fotografica, si chiama adesso glielo dico … Saro CATTAFI … e poi negli anni successivi fu mandato da BONTADE … CATTAFI, addirittura, si installò a casa di questo GINOCCHI perché GINOCCHI doveva una cifra a questo BONTADE, poi GINOCCHI non poteva assolvere a questo debito e lui era proprietario di tutta terra edificabile nel comune di Milazzo, che adesso è stato edificato un grande albergo, e gli cedettero questa terra, cioè sotto minacce, ma proprio fu l’uomo che fu mandato, questo lo seppi perché allora frequentavo questa casa, lui era un emissario di borsa, era uno grosso … GINOCCHI era uno grosso, faceva capo a un grosso agente di cambio, aveva un … aveva gli uffici in via Cardinal Federico, proprio alle spalle della Borsa, era un grosso operatore e soprattutto aveva delle grandi relazioni con banche svizzere, soprattutto con il credito svizzero, infatti quando è stato ucciso alle sette di sera nel suo ufficio, le prime persone che vengono fermate sono due funzionari donne, o una o due, che allora lessi su … che erano appunto del credito svizzero … lui è stato ucciso nel ‘78/79, mi sembra, è stato ucciso GINOCCHI … Tutti i rapporti che io so adesso dovrò fare uno sforzo di memoria so, che appunto che in casa di questo GINOCCHI … a Milano, siamo a contro la terrazza Martini, che è situata di fronte alla terrazza Martini, ora questo GINOCCHI conviveva con la redattrice italiana di Play boy, la ARMANI, questa era una donna che aveva molte conoscenze, venivano molte persone, nel corso di questi anni, io ho incontrato anche i siciliani lì, però adesso ricordarmi chi erano e molto probabilmente lì c’erano persone con altri interessi che venivano lì … GINOCCHI era dentro, era … diciamo … ho due o tre circostanze che posso affermare che lui era un grosso riciclatore di BONTADE, un grosso riciclatore di BONTADE … prima di tutto lui essendo un emissario di borsa aveva delle conoscenze immani, aveva la capacità d’investimento e anche di tramutare questi soldi in tutte le valute, allora in quegli anni lì, con l’entrata della legge 179, c’erano … la ricchezza è stata per tanti di questi pseudo agenti di cambio, perché non erano agenti di cambio, ma fattorino della borsa, è previsto anche … Romister si chiama, ma lui si diceva essere agente di cambio, ma non lo era, diceva di essere dottore, ma non lo era … ragioniere, però con tutto ciò lui aveva delle grosse entrature, poi sfruttava molto perché era un uomo molto abile, sfruttava molto anche quello che le portava questa convivenza e soprattutto sfruttava il fratello, il fratello è un … uno di … oggi … ma già allora è uno dei più grossi pediatri che abbiamo in Italia, sono professori, e anche lì aveva molte conoscenze, mi risultavano queste conoscenze, lui aveva mille strade per poter … canali, uno era il Credito Svizzero, nella persona del dr. NUSBAUER, ma l’ha lasciato anche scritto, quando ci fu lo scandalo al Credito Svizzero, che trovarono quell’ammanco di 400 milioni, lo ha anche scritto nel memoriale prima di impiccarsi nel carcere di Lugano, questo dottore, questo direttore … e l’altro erano era il canale di via Brisia che faceva capo all’agenzia LOVATI … qui a Milano, sì … Era un’agenzia finanziaria in via Brisia, si chiamava LOVATI”.

Corniglia viene sentito di nuovo il 16 marzo 1998 dai pubblici ministeri di Palermo Antonio Ingroia e Domenico Gozzo e anche in quel caso parla di Cattafi: “GINOCCHI era un … ogni sera di Borsa, cioè aveva … faceva … aveva una commissionaria per essere esatti, in Via Cardinal Federico a Milano, e lui ha curato, diciamo, i soldi, di questo ne sono sicuro, diciamo i soldi di … di allora di BONTATE che li mandava a Milano sia per essere cambiati i soldi di sequestri, sia per essere investiti in Svizzera. Ora BONTATE si serviva di STEFANO, che ho detto prima … STEFANO … si chiama di STEFANO … GIACONIA … si serviva di STEFANO GIACONIA per il trasporto materiale, lui e i suoi fratelli, trasporto materiale a GIANFRANCO GINOCCHI, il quale provvedeva materialmente di trasferire questi soldi, prima li mandava, una parte faceva delle operazioni col Credito Svizzero, e di questo poi ne parlerò più avanti, di Chiasso, e altri invece li mandava al Credito Foncier di Montecarlo, trasportandoli con una sua veloce imbarcazione e disponendo di un porticciolo privato dove lui aveva, dove disponeva di una abitazione, la località è San Lorenzo Mare o San Bartolomeo Mare, comunque sono … andando … sono sicurissimo di poterlo, sicurissimo, di toccare, dunque è sulla vecchia statale fra Imperia e Sanremo, a metà strada diciamo, c’è un sottopassaggio, si passa, comunque è una zona privata e anche porticciolo, lui … io materialmente in quegli anni lì, nel 75 – 76, ho trasferito con lui materialmente soldi che provenivano sia da degli … riscatti, sia di soldi che venivano dal … tramite questo GIACONIA, venivano dalla … da qui, da Palermo. E queste operazioni venivano, questi soldi venivano portati direttamente, da questi siciliani venivano portati direttamente in questa … che disponeva, in questo super attico blindato a San Bartolomeo o San Lorenzo a Mare che voglia, di cui lui poi … Poi venivano portati a questo Credito Foncier di Montecarlo e poi da lì arrivavano in conti transitori a Lugano, a Lugano o a Chiasso, lui li riconvertiva in lire e quando gli servivano in lire dava queste lire … GINOCCHI è l’uomo che è in funzione, poi GINOCCHI improvvisamente perde credibilità, adesso dirò perché … perché lo trovano a giocare, cioè era sconosciuto che lui fosse un giocatore, lo trovano a giocare a Bouier, a Bouier Sur Mer, e dove lui aveva pe … e dove già aveva perso una cifra considerevole, solo che lui non lo sapeva, ma questo Casinò di Bouier … di Bouier Sur Mer, c’era il … questa … insomma, interessava a delle persone che erano molto vicine a tutti questi palermitani, per cui vennero … si preoccuparono, delle persone si preoccuparono, dicendo: questo è un giocatore! … E comunicarono, e allora … allora si innesta una questione che c’è … richiedono subito un … dunque gli avevano dato da cambiare i soldi del sequestro di quello della ‘Gomma del Ponte’ come si chiamava … quello della ‘Gomma del Ponte’ lì … di Brooklyn lì … PERFETTI, ecco, gli avevano dato questi soldi da cambiare e da investirli, cioè da … gli eran … li aveva mandati appunto tramite questo GIACONIA, e lui tentennò un po’ per … si dice oggi, domani, oggi, domani e a me mi chiese in che … in quel periodo di procurargli una lettera intestata del Credito Italiano, in cui lui avrebbe scritto che gli erano stati sequestrati temporaneamente i conti per una questione finanziaria, e cioè per temporeggiare in poche parole, ma … mi chiamò, mi ricordo, allora, ALFREDO … No, i soldi lui … glieli avevano dati, lui li aveva cambiati e gli avevano detto di investirli, adesso non mi ricordo se erano Buoni del Tesoro, adesso non so, di investirli insomma, sennonché loro, quando vengono informati che questo è un giocatore, che lo … gli chiedono immediatamente la restituzione di questi … di questi soldi che gli avevano dati … che gli avevano dato per investire, e lui lì ha cominciato a tentennare e da lì è cominciato un po’ la non più la credibilità di questo GINOCCHI. Anche perché, nel 1976 … ‘77, 1977, lui mentre stava in un ufficio, cioè in un ufficio dov’era anche la sua abitazione, simulò una rapina, adesso non mi ricordo se era di ottocento o di trecentocinquantamila dollari, gettando quindi i soldi dalla finestra, di cui ce n’è traccia, poiché è stata fatta denuncia, perché allora queste persone non volevano sapere niente, rischiarono i rigori di una … allora c’erano le sanzioni per deposito … per detenzione illegale di valuta estera, c’era ancora la famigerata legge del ‘59 che proibiva anche la detenzione di valuta estera, e questo fatto poi fecero precipitare le cose che diciamo lo … lo misero in disparte … e qui subentra DELLA VALLE, cioè DELLA VALLE io già lo conoscevo da molto prima, ma qui proprio lo vedo allora come il … il loro referente principale nella … nel movimento di tutti questi capitali, di questi soldi che gli davano … so che intervenne ALFREDO BUONO per dirmi … cioè per richiamare e dirmi di togliermi da parte, di non fornire nessun alibi, perché questo era uno che doveva pagare, lui se li è giocati ‘i picciuli’ mi disse, e ce li doveva dare, perché io cercavo di … Oh, dunque diciamo, i soldi, io più di qualche volta, i soldi che ALFREDO, quando non c’era suo fratello GIUSEPPE che li dava ad ALFREDO, diciamo questi soldi erano, sia di FIDANZATI, sia di ENEA, sia di un certo MICATI, anche ho visto negli ultimi anni, e altri personaggi, cioè per … poi c’era l’altra tranche che faceva capo a MARTELLO e che era di questo PERGOLA poi c’era un’altra … altre persone che facevano capo a PINO CIULLA, che qui non ho mai saputo come si chiamasse, però era sempre gente dell’ambiente e davano anche loro questi soldi per convertire e soprattutto per … per cambiarli … sì, sì, degli accordi, DELLA VALLE dunque … DELLA VALLE: nel … uno, due, tre volte, tre volte perché … Sì, due nel suo ufficio sito in Piazza Diaz, proprio nel suo ufficio centrale, quello che domina proprio le … perché lui ci ha due uffici nello stesso piano, io parlo dell’ufficio centrale suo, dunque … era nell’88 … set … non ri … adesso gli anni dovrei … dovrei pensarci su bene, Dottore, gli anni perché mi si accavalla un po’ … dunque diciamo, quando dal parrucchiere, adesso le parlo della cosa più recente, dell’88 … c’era DELLA VALLE, CINÀ e un altro palermitano che ci ha un ristorante a Milano che si chiama ‘La Garfagnana’ gestiva ‘La Garfagnana’, uno alto, pelato, non so ANTONIO, mi sembra si chiami, però non … comunque e lì ho assistito appunto a … che lui le servivano le … le servivano immediatamente … Sempre ANTONIO, io quelle rare volte che l’ho visto ANTONIO, è ‘La Garfagnana’ in Piazza Cincinnati e già è un ristorante dove andavano a mangiare già nel ‘69, ‘70, quando ALBERTI aveva i magazzini lì di tessuti … No, no, no, di fargli la disponibilità, di fargli avere immediatamente su un conto di là quattrocentomila dollari, adesso … In Svizzera … Quattrocentomila dollari, e l’Ingegnere … Era un conto transitorio, un conto transitorio, un conto transitorio. Tutti conti transitori … Penso un Credito Svi … adesso non ricordo, penso Credito Svizzero … Sì, col Credito Svizzero operavano. Andava in diverse banche, comunque quelli che … cioè quelli che … dunque … sì, Credito Svizzero, perché il conto è subentrato … si, il Credito Svizzero era, Credito Svizzero di Lugano, sede centrale, mi pare in Piazza della Riforma. Ecco, allora io avevo questa disponibilità, gli ho detto guarda, non c’è nessun problema, anzi se vieni, dico, te li do a mano, e no, no, dice, preferisco, dice, che mi dai un conto transitorio e gli ho dato un conto transitorio a un nome che ci penserò, però riguardava a questo CINÀ, per cui … Adesso poi, mi verrà … ecco, veda, parlando di questo mi viene ora in mente un’altra cosa che nel ’79, due operazioni li ha fatte per un … SCAGLIONE, CICCIO SCAGLIONE, FRANCESCO SCAGLIONE, ‘78, ’79 … Sempre DELLA VALLE, sempre DELLA VALLE, si sempre DELLA VALLE, sì, DELLA VALLE … o … quando è stato fatto al … perché noi siamo andati a mangiare alla … no lui aveva la … io lo incontrai in San Babila, perché dovevamo incontrarci, poi mi ha detto: vieni a mangiare, dice, perché dice ho l’appuntamento con DELLA VALLE, ho detto ma … vieni anche tu e sono andato, e lì a tavola hanno trattato questo … Con SCAGLIONE … Sì, sì, sì con SCAGLIONE. Ed era assieme … c’era un certo occhio, poi io quello lo conoscevo, uno di Barcellona, si chiama CATTAFI, CATTAFI, lo conoscevo, uno di Barcello … sì che lo conoscevo … CATTAFI, SARO, SARO, SARO, sì … E sapevamo poi che gli aveva … questo era un altro … uno che faceva capo allora a STEFANO BONTATE tramite sempre … è uno di quelli che ho visto poi arrivare a … delle volte coi soldi … Sì, li portavano sì, difatti erano … erano sacche, erano. Ora dunque, un’altra cosa, GINOCCHI all’epoca disponeva di un … di un prototipo, un off-shore prototipo, con una turbina Rolls-Royce, era uno … penso fosse era l’unico che c’era forse in Europa, era una barca prestigiosa, e con questo mezzo, lui portava materialmente questi soldi, in cui io sono stato anche, una decina di volte diciamo, in quegli anni lì … Sì, no per portare … per portare … Sì, sì per portare anche … perché anche delle volte gli avevo … c’erano anche dei soldi miei provenienti dal cambio di sequestri”.

Le dichiarazioni di Corniglia trovano riscontri. Il 25 novembre 1995, infatti, Giovanni De Giorgi viene interrogato dalla Procura di Milano. Ecco cosa racconta su Cattafi: “Ho lavorato per SHAMMAH dal 1972 al 1975, egli svolgeva una attività finanziaria consistente in trasferimenti di valuta da e per l’estero, nonché operazioni di varia natura da e per l’estero. Il mio compito era di tenere la contabilità e di prendere il danaro dai clienti importanti. … In tale contesto lo SHAMMAH si serviva delle seguenti persone per queste operazioni: Jack BEHAR, che lavorava nel settore tessile… BOCHI, che lavorava nella commercializzazione di HI FI con esercizio in via Baracchini… I suoi clienti erano: CALTAGIRONE, il costruttore romano… BOATTI Petroli… Conobbi l’avvocato GARUFI nell’anno 1973 quando andai da SHAMMAH e mi iscrissi alla palestra di via Cervia nei pressi dell’ufficio. … Dal giugno 1975 al luglio 1978 lavorai sul trasferimento di valuta insieme al sunnominato BOCHI… portai inoltre come mia parte della società alcuni clienti che avevo conosciuto da SHAMMAH e che davano lavoro continuo. … Vedevo GARUFI tutti i giorni in palestra e quest’ultimo mi presentò anche Saro CATTAFI, come un amico venuto dalla Sicilia che frequentava la palestra. Nel luglio del 1978 subii un attentato conseguente o ad una rapina o a un sequestro di persona che due individui volevano perpetrare ai miei danni, in sintesi alla intimazione di recarmi con loro, io reagii ed uno di essi esplose contro di me un colpo di arma da fuoco. L’episodio mi preoccupò molto in quanto non sapevo per quale motivo i due mi avevano sparato; quindi lascai il BOCHI, mi cercai un altro lavoro e incaricai l’avvocato GARUFI di intervenire presso la magistratura inquirente per ricercare una spiegazione al fatto che non erano state svolte approfondite indagini sull’episodio. Il giudice interpellato dal GARUFI gli spiegò che al momento non avevano tempo … sino ad allora non mi ero reso ancora conto che il CATTAFI fosse un giovane appartenente ad organizzazioni di tipo mafioso, infatti lo conoscevo come un giovane siciliano di buona famiglia, come lui teneva a precisare, il quale aveva sempre al seguito la fidanzata, certa Vittoria, e aveva una amicizia abbastanza interessata con il MARIANI Franco, con il quale si recava spesso nei casinò di Saint Vincent e Campione d’Italia e in vacanza in Costa Azzurra. Compresi solo dopo che il CATTAFI effettivamente disponeva di amicizie e denaro della mafia. Il GARUFI, dopo il colloquio con il giudice, mi chiamò in ufficio e venne per parlarmi, e fu in quella occasione che mi offrì la protezione di un suo cliente, tale Francesco SCAGLIONE, che allora per me era un illustre sconosciuto e che solo dopo capii che era un capomafia. Il GARUFI, al momento, mi disse che se volevo lui avrebbe parlato con SCAGLIONE ed a Milano non mi sarebbe capitato più niente, io acconsentii anche perché il GARUFI nulla mi chiese in cambio. E per circa un anno non ebbi più contatti con lo SCAGLIONE, né rapporti stretti con il CATTAFI. Nell’anno 1981, nel frattempo, avevo conosciuto Enrico MEZZANI presentatomi da un costruttore di Biella, di cui non ricordo il nome. Il MEZZANI mi fu presentato come operatore dei servizi di sicurezza e dimostrò subito grande disponibilità a fare dei favori ove ne fosse stato il bisogno, favori ovviamente attinenti a materie di competenze delle forze di polizia. Il MEZZANI mi disse anche che se gli avessi permesso di avere notizie riguardanti l’ambiente della malavita ed avessi potuto favorire la polizia nello svolgere operazioni di servizio, avrei avuto compensi per ogni singolo episodio. Alla luce di ciò, e per il fatto che il MEZZANI era persona assai gradevole e convincente, interpretai il mio rapporto con GARUFI, SCAGLIONE e CATTAFI in questo senso. Ormai avevo compreso che essi gravitavano in ambiente mafioso e questa loro appartenenza a sodalizi criminosi poteva da me essere sfruttata nel favorire il MEZZANI nella sua attività che, essendo parallela a quella della polizia, rappresentava ai miei occhi cosa positiva e, nel contempo, potevo ricavarne la copertura sulle mie attività illecite di esportazione di valuta. In questo contesto strinsi maggiormente i rapporti con i suddetti e mi trovai, appunto per ottenere notizie, ad eseguire operazioni anche per conto di GARUFI e CATTAFI concernenti somme che sicuramente appartenevano ad organizzazioni mafiose. Proprio per svolgere questa attività tentai di provocare dei trasporti di stupefacente e la vendita di grosse quantità da SCAGLIONE al MEZZANI che operava sotto copertura. L’operazione non riuscì in quanto avevo reso edotto di ciò l’avv. GARUFI, il quale aveva una gran paura per le conseguenze che ci sarebbero potute capitare se SCAGLIONE fosse venuto a conoscenza delle mie vere intenzioni”.

Anche il collaboratore di giustizia Angelo Siino, sentito da varie Procure, conferma in modo simile i canali milanesi e svizzeri del riciclaggio di denaro utilizzati da Bontade, pur non facendo il nome di Cattafi (“È stato nel periodo dal 1973 al 1979 che io sono venuto più volte a Lugano con Stefano BONTATE [5-6 volte, se non di più]. Scopo dei nostri viaggi era innanzi tutto il cercare delle armi, e particolarmente delle canne da sostituire ad armi che in Italia erano ‘sotto-calibrate’ [7.65 mm.]. Tramite un commerciante d’armi di Milano, tale Aureliano GALLI, ho conosciuto Paolo GIANOSSI di Taverne, dal quale andavamo ad acquistare sia le armi che munizioni. Accanto al negozio di vendita, ricordo che c’era un laboratorio e che GIANOSSI aveva pure la disponibilità di un mini-poligono, dove si potevano provare le armi. Ricordo che non c’era nessuna necessità di avere delle autorizzazioni per gli acquisti, solo per le pistole e certi fucili GIANOSSI scriveva in suo registro, che però io non dovevo firmare. Mi sono sempre identificato con la mia carta di identità, spesso il mio nome veniva identificato erratamente in SUSO Angelo [ed io non intervenivo, non ne avevo motivo]. Non so, ma può darsi che BONTATE Stafano utilizzasse false carte di identità. Ricordo che con BONTATE sono stato pure a Neuchatel, nel 1976, alla Waffenboerse. Abbiamo anche pernottato in un albergo, di stile teutonico, che aveva sul davanti delle piccole bandiere. Rammento anche di essere stato con BONTATE in un’armeria a Zurigo, mi sembra BLASER o GLASER, per l’acquisto soprattutto di cartucce cal. 9. Lo scopo principale dei viaggi in Svizzera di Stefano BONTATE era per svolgere delle operazioni finanziarie. Per questo si incontrava con l’ing. BUSSI o BUZZI, che allora era il rappresentante per l’Europa della Philips Morris. Quest’ultimo era italiano, e scomparve in Sardegna, non ricordo quando, ci fu un rapimento e non se ne seppe più niente. Nell’ambiente mafioso si parlava di ‘lupara bianca’. BONTATE ed io venivamo in Svizzera, di regola, dal valico di Chiasso-Brogeda, senza che ci fossero controlli. Solo una volta, ricordo, che a domanda BONTATE rispose che aveva cioccolata, mentre si trattava di munizioni. BONTATE, entrando in Svizzera, portava sovente dei pacchi o borse che contenevano dei soldi. La banca dove andava a Lugano (io non vi sono mai entrato) era la U.B.S. (Unione di Banche Svizzere). Ricordo che c’era un portico, che dava su una piazzetta, con delle colonne di marmo, e ricordo pure di aver visto fuori uno scudetto con l’insegna ‘UBS’ in verticale. BONTATE andava in banca con l’ing. BUZZI o BUSSI e spesso ci fermavamo a colazione. Secondo me, BONTATE deve aver lasciato in Svizzera una ‘notevole’ situazione finanziaria … BONTATE aveva un consulente in Svizzera, ma io non ricordo il nome. Ricordo solo che i suoi uffici erano in un bellissimo edificio. Forse, nonostante il tempo trascorso, potrei essere in grado di individuare il luogo”).

È questo lo scenario nel quale Cattafi varca la soglia d’ingresso degli anni Ottanta. Per lui la Milano da bere è iniziata in anticipo. Col nuovo decennio può mettere a frutto i suoi variegati contatti: oltre che quelli propriamente criminali, quelli con i servizi segreti, con esponenti della magistratura, con apparati investigativi e con circuiti imprenditoriali dagli orizzonti internazionali. Soprattutto uno: il mercato di armi (che poi, storicamente, ha rotte non tanto dissimili da quelle dei traffici di stupefacenti).

Ma di questo scriveremo la prossima volta.

Tratto da: soniaalfano.it

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