Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

La Procura generale di Reggio ha chiesto il non luogo a procedere per l'ex ministro. La sua difesa vuole un'assoluzione di merito

“Un processo nato sul nulla”; “inesistente”; “senza né capo né coda”. E' così che, da giorni, l’ex ministro dell'Interno e attuale sindaco di Imperia, e presidente della Provincia, Claudio Scajola, apostrofa il “Processo Breakfast”, ora in fase di Appello, nel quale Scajola compare nel banco degli imputati con l’accusa di procurata inosservanza della pena in quanto, secondo la pubblica accusa, avrebbe aiutato l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, morto il 16 settembre 2022 a Dubai, dove si era rifugiato dopo la condanna a 3 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, divenuta definitiva nel 2014.
A ringalluzzire il politico è il caso degli accessi abusivi alla banca dati delle Segnalazioni di operazioni sospette, che ha portato all'apertura di un'inchiesta a Perugia nei confronti di quattordici persone tra cui spiccano i nomi del finanziere Pasquale Striano e di Antonio Laudati, ex sostituto procuratore dell'antimafia, il quale guidava la struttura che riceveva le cosiddette 'Sos' (segnalazioni operazioni sospette trasmesse da Bankitalia alla Guardia di finanza).
Scajola, intervistato nei giorni scorsi da Klaus Davi per il suo web talk YouTube ''KlausCondicio'', ha sparato a zero su Straiano e la Procura di Reggio Calabria che lo aveva portato a processo. E lo stesso ha fatto oggi su Il Giornale, quasi a voler far intendere di essere stato vittima del sistema giudiziario.
E' vero che nei suoi riguardi, così come per Chiara Rizzo (ex moglie di Matacena per cui nel dicembre 2022 la sentenza di primo grado è diventata definitiva), è stata esclusa l'aggravante mafiosa. Ed è altrettanto vero che in virtù di tale decisione la Procura generale di Reggio Calabria, rappresentata dalla sostituto Pg Maria Pellegrino, lo scorso 15 novembre ha chiesto alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, presieduta da Lucia Monica Monaco, il “non doversi procedere nei confronti di Claudio Scajola per il reato al capo C (procurata inosservanza della pena, ndr) per sopravvenuta prescrizione del reato”.
Una richiesta estesa anche per gli altri due imputati nel processo d’Appello “Breakfast”, Mariagrazia Fiordelisi e Martino Antonio Politi, ex collaboratori di Amedeo Matacena, per i quali la Pg aveva impugnato l’assoluzione in primo grado.
Nei giorni scorsi la difesa di Scajola, rappresentata dagli avvocati Elisabetta Busuito e Patrizia Morello, ha contestato l'impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia e, nonostante la richiesta di prescrizione avanzata dalla Procura generale, hanno chiesto "l'assoluzione nel merito".
Scajola, nel frattempo, parla e tra le righe attacca chi ha rappresentato l'accusa nel processo. Non solo l'ex Procuratore capo, Federico Cafiero de Raho, ma anche, in maniera sibillina, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.
Ovviamente Scajola ha il diritto di difendersi, ma è fuorviante parlare di “castelli caduti” quando il processo è ancora in corso.
In primo grado è stato riconosciuto un fatto: ovvero Scajola si è adoperato per aiutare un condannato per fatti di mafia.


matacena rizzo ima 79587

Amedeo Matacena e Chiara Rizzo


I giudici di primo grado (cioè coloro che hanno ritenuto di escludere l'aggravante mafiosa), nelle motivazioni della sentenza, affermavano che l'ex ministro dell'Interno  aveva assunto "un ruolo di direzione" per il tentativo di fuga in Libano di Matacena.
E' scritto nero su bianco: “Non vi è dubbio alcuno che già l’aiuto, apprestato da Scajola e dalla Rizzo, in concorso con Speziali, consistente nell’attuare lo spostamento da Dubai in Libano si legasse funzionalmente all’intenzione dello stesso Matacena di sottrarsi alla cattura poiché attraverso quell’aiuto egli avrebbe potuto assicurarsi condizioni di vita o di sicurezza certamente maggiori di quelle di cui godeva a Dubai mentre, senza quell’aiuto, egli avrebbe dovuto procurarsele diversamente”.
In questi anni Scajola ha sempre detto di essere innocente e di aver aiutato la Rizzo in maniera lecita, accreditando la tesi di essere stato mosso da "trasporti" e "sentimenti", alimentato dalla "fragilità in cui la Rizzo si trovava durante la latitanza del marito, assillata da problemi economici, ma anche provata in ragione della solitudine che provava nel seguire i problemi dei figli senza alcun aiuto".
Secondo il Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Natina Pratticò, però, "se, per un verso è evidente che i sentimenti di Scajola potrebbero avere rilievo al più sul piano dei motivi dell’agire e non certo scriminarne la condotta non si è esaurita in un aiuto lecito al latitante; per altro verso le risultanze dibattimentali hanno dimostrato l’esistenza di indubbi e consolidati rapporti tra Claudio Scajola e Amedeo Matacena, che andavano ben al di là del legame confinato alla sfera emotiva e sentimentale di due persone adulte, sorto in epoca successiva e del tutto irrilevante nella valutazione dei fatti".
Non solo. Nella sentenza vengono ricostruiti i rapporti tra l'armatore siciliano e l'ex ministro. Si ricorda la "comune militanza politica" di Forza Italia, ma anche successivamente.
Sempre i giudici scrivono che Scajola "si mette a disposizione dell’ex armatore Matacena, introducendolo in nuovi ambienti imprenditoriali, spesso affini a quelli operanti nei settori in cui si era svolta la sua attività di Ministro dello Sviluppo economico, prima, e delle Attività produttive, dopo, e che, quindi, meglio gli consentivano di indirizzarne le iniziative o mettendolo in contatto con personaggi che ne avrebbero potuto agevolare altre, introducendolo in ambienti diplomatici nei quali a Matacena preme accreditarsi come un perseguitato dalla Giustizia italiana e si sono, quindi, mantenuti inalterati durante la latitanza di Matacena".
Secondo i giudici del Tribunale è stato provato nel processo che Chiara Rizzo avvisò per primo proprio l'ex ministro degli Interni, il giorno stesso dell'arresto di Matacena, tanto che fissarono un incontro a Placedu Moulin a Montecarlo.
Quella circostanza, si legge nelle carte, "rende fin troppo evidente che a Scajola vengano rappresentati i problemi che il latitante aveva restando a Dubai, evidentemente non risolvibili dai legali di Matacena e di cui non si poteva parlare telefonicamente".
Inoltre "è quella la prima occasione in cui a Scajola è dato mandato di ricercare una soluzione che consentisse al marito di continuare a trascorrere la propria latitanza al riparo dalle ricerche dell’autorità giudiziaria italiana, o comunque, di sottrarsi all’ordine di carcerazione di questa".
Queste le valutazioni dei giudici di primo grado su cui ci si dovrebbe confrontare. Invece Scajola parla di altro. Allineandosi alla campagna volta a delegittimare quei magistrati che hanno avuto l'ardire di processare uomini delle Istituzioni.
Il processo è stato quindi rinviato al 26 giugno quando si concluderanno le arringhe degli avvocati degli altri imputati e, nella stessa giornata, la Corte d'Appello dovrebbe emettere la sentenza.

Foto © Imagoeconomica

Del 15 marzo 2024

ARTICOLI CORRELATI

Processo Breakfast, c'è il ricorso della Procura in Appello

Scajola contribuì alla latitanza del condannato per mafia Matacena

Latitanza Matacena: Scajola colpevole!

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos