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Chiesta testimonianza del collaboratore di giustizia Liuzzo. Il ricorso per le posizioni di Rizzo, Politi e Fiordelisi, non per Scajola

Procurata inosservanza della pena in favore dell'ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, latitante a Dubai dopo la condanna definitiva a tre anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo “Olimpia”. Era questa la sentenza di primo grado del processo “Breakfast” emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Natina Pratticò, nei confronti dell'ex ministro dell'Interno, ed oggi sindaco di Imperia, Claudio Scajola.
Assieme al politico alla sbarra vi erano anche la ex moglie di Matacena, Chiara Rizzo, l'uomo di fiducia di Matacena, Martino Politi, e l'ex segretaria della famiglia Matacena Maria Grazia Fiordelisi.
La Rizzo venne condannata a un anno di carcere (pena sospesa) per procurata inosservanza di pena mentre venne assolta dall'accusa di intestazione fittizia di beni, aggravata dall'aver agevolato la 'ndrangheta. Politi, diversamente, fu assolto da tutte le accuse, mentre Maria Grazia Fiordalisi venne assolta per il reato di procurata inosservanza della pena mentre per l'altro capo d'accusa fu dichiarata la prescrizione.
Nei mesi scorsi la Procura di Reggio Calabria, rappresentata dal Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha presentato ricorso idavanti alla Corte d'appello nei confronti di quest'ultimi in particolare contestando il “mancato riconoscimento dell'aggravante mafiosa”.
Se da una parte non è stata appellata la sentenza di condanna nei confronti di Claudio Scajola (il ricorso in appello è stato presentato dal primo cittadino di Imperia) per l'accusa, in appello, va riformata la sentenza di primo grado nei cofnrotni di Rizzo, Politi e Fiordelisi. A tutti e tre, secondo il procuratore aggiunto, va applicata l'aggravante mafiosa, perché con le loro condotte, a vario titolo, a favore di Matacena (sostengo alla latitanza e schermatura dell'immenso patrimonio per sfuggire alle misiure di confisca dei beni) avrebbero agevolato gli interessi e gli obiettivi della 'Ndrangheta.
"Il Tribunale ha concluso il giudizio dibattimentale emettendo la sentenza sulla base di una serie di considerazioni non condivisibili ed incomplete oltre che caratterizzata da una erronea interpretazione della legge penale - è scritto nel documento - In alcun modo può condividersi il giudizio basato sull'immotivato superamento dei risultati investigativi diventati risultati ricavabili dagli atti inseriti nel fascicolo per il dibattimento, nella totale assenza di un apparato motivazionale idoneo a fornire elementi capaci di svalutare l'evidente rilievo degli innumerevoli dati dimostrativi posti a fondamento della richiesta id condanna, soprattutto provenienti dalle unnumerevoli operazioni di intercettazione, dirette e indirette, in grado di fornire elemento storici o rappresentativi sulla cui base ricostruir l'apporto causale degli imputati".
Nell'atto di appello il procuratore Lombardo, così come aveva fatto in sede di requisitoria, ha ripercorso i ruoli ricoperti da alcune figure chiave come Vincenzo Speziali, nipote dell'omonimo senatore nonché parente acquisito dell'ex presidente libanese Amin Gemayel, ricostruendo anche i contesti di certe manovre che parallelamente hanno riguardato anche un altro politico condannato per concorso esterno: l'ex senatore Marcello Dell'Utri. "In tutto questo si inserisce il ruolo di Vincenzo Speziali che agli occhi dei protagonisti dell'opera di copertura del latitante non è un soggetto inaffidabile, non è un soggetto incapace di gestire determinate operazioni, è un soggetto che invece, attraverso i legami di cui può beneficiare è in grado di garantire esattamente quelle che sono le esigenze perseguite da Matacena e dai soggetti che a lui prestano aiuto (...) Non possiamo che valutare quanto avviene in relazione alla parallela vicenda che riguarda Dell'Utri Marcello".

Nuove prove: sentire Liuzzo
Contestualmente nelle 90 pagine depositate dall'accusa per ricorrere in Appello, Lombardo ha anche avanzato la richiesta di nuove prove, come l'audizione del collaboratore di giustizia di 'Ndrangheta, Giuseppe “Pino” Liuzzo, imprenditore “intraneo” alla cosca Rosmini, ovvero la stessa consorteria mafiosa per la cui vicinanza è stato condannato Amedeo Matacena.
Spiega Lombardo che "il giudice ha immotivatamente (un assenza peraltro di qualsivoglia urgenza, atteso lo stato di libertà di tutti gli imputati) privato la fase istruttoria (attraverso la non ammissione del collaboratore di giustizia Liuzzo) di elementi indispensabili a valutare appieno il contributo concorsuale della Rizzo e del Politi".
"Liuzzo - aveva rappresentato il procuratore aggiunto durante il processo - consente di inquadrare in maniera precisa i rapporti strettissimi tra la famiglia Matacena, e quindi il Cavaliere Matacena e Amedeo Jr, con la 'Ndrangheta reggina attraverso la famiglia Rosmini".

In foto: il pm Giuseppe Lombardo e Claudio Scajola in un frame (Riviera24) del processo Breakfast

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