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pompa-benzina-manomessadi AMDuemila - 6 marzo 2014
Da vent’anni sono detenuti al 41 bis, ma a Brancaccio sono sempre loro a gestire gli affari di famiglia. Giuseppe e Filippo Graviano, storici boss di Cosa nostra fedelissimi a Totò Riina, gestivano la contabilità attraverso due stazioni di benzina. E per questo la Procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio (truffa e riciclaggio con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra) per i coniugi Angelo Lo Giudice e Rosa Bompasso: i loro distributori sarebbero stati manomessi per ottenere maggiori profitti destinati alle famiglie dei capimafia. Due distributori, rispettivamente Agip ed Esso (parte offesa dell’inchiesta), sono stati sequestrati: uno ha fallito, l’altro ha riaperto sotto un’altra gestione mai sfiorata dalle indagini.

Le due stazioni di servizio, oltre ad avere tutto il necessario per truffare, lucrando sull’erogazione del carburante, fungevano da luogo nel quale partivano e arrivavano i pizzini, riguardanti in prevalenza la contabilità della famiglia mafiosa e gli stipendi:  “4.000 bib” per Rosalia “Bibiana” Galdi, moglie di Giuseppe Graviano, e altrettanti per “F.”, alias Francesca Buttitta, moglie di Filippo. A Nunzia Graviano (attualmente in carcere) sorella dei due boss e conosciuta come la “Picciridda” di famiglia, sarebbero spettati “4.000 picc. più 1.000”. Mille euro invece al fratello, Benedetto Graviano. Non mancavano anche i compensi per le mogli di Giuseppe Faraone e Giorgio Pizzo (ugualmente detenuti) Maria Anna Di Giuseppe ed Antonietta Lo Giudice.
La posta dei Graviano comprendeva anche le entrate: dai 500 euro ai 2500 per una serie di distributori di benzina, a volte affiancati dalla dicitura “ok”. Il segnale che evidentemente la cifra richiesta era stata versata.
Il ruolo di Faraone e Pizzo era emerso ulteriormente nell’operazione “Madre Natura” del novembre 2011, nel corso della quale era stato sequestrato un tesoro di 32 milioni di euro riconducibile ai Graviano. Grazie alle dichiarazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza, Fabio Tranchina e Fabrizio Iannolino erano state ricostruite le responsabilità di noti favoreggiatori, che grazie al supporto di alcuni prestanome avevano messo in piedi un consistente impero economico graviano-filippo-giuseppe-web0riguardante diversi settori: scommesse, ristorazione, rivendita di tabacchi e vendita al dettaglio di carburante. A inizio anni Novanta, infatti, i boss di Brancaccio avevano investito in diverse stazioni di servizio a Palermo. “All’inizio degli anni Novanta - ha dichiarato Spatuzza – la famiglia Graviano acquista un distributore all´angolo fra viale Regione Siciliana e via Giafar, e ci misero prima il cugino, Salvatore Graviano, poi Cesare Lupo. Da quel momento, cercarono di acquisire tutto quello che c´era sul territorio. Presero anche il distributore Ip alla rotonda di via Oreto”. Con l’arresto di Faraone, nel ’94, la gestione dei due distributori passò nelle mani della moglie. Successivamente sarebbe stato nominato un altro prestanome: Angelo Lo Giudice, cognato del boss Giorgio Pizzo. Posta nei punti strategici di Palermo, “La benzina dei boss” – è il nome che prende l’indagine – contribuiva ad accrescere il cospicuo – e in buona parte ancora occulto – impero economico dei boss di Brancaccio.

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