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“Noi riteniamo di aver dimostrato la presenza di Bellini a Bologna, una presenza significativa che è corroborata dal fatto che l'imputato si è costruito molto tempo prima l’alibi che diventa quindi una prova a carico, il tutto si sposa con la sua appartenenza alla destra e con la sua appartenenza mediata, o se vogliamo anche immediata per quello che accade nel ’92, con apparati deviati dei servizi. Quegli apparati deviati dei servizi rappresentati da Federico Umberto D'Amato, che era strettamente legato a Stefano Delle Chiaie, che era il capo di Bellini. Il dato di fatto è questo, per cui è provato che il ruolo di Bellini si sia inserito in questo contesto di appartenenza alla destra eversiva, ma ancor più di vicinanza ai servizi, in particolare alla persona di D'Amato tramite delle Chiaie, che è stata pagata per questo servizio”.

“Quindi per questi motivi si chiede la conferma della sentenza di condanna per Paolo Bellini e il rigetto dei motivi d'appello”.

Così il sostituto procuratore generale di Bologna, Nicola Proto ha chiesto la conferma dell'ergastolo inflitto in primo grado per l'ex di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini - videocollegato dal carcere di Spoleto - accusato di essere uno degli autori della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, in concorso con gli ex Nar già condannati in via definitiva e con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti e non più imputabili, ma ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori di quell'attentato, che fece 85 morti e oltre 200 feriti.

Il processo che si sta concludendo davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Bologna, presieduta dal giudice Alberto Pederiali, vede come principale imputato Bellini, ex 'primula nera' e killer di 'Ndrangheta.

L'imputato durante il dibattimento ha più volte ribadito nel corso di dichiarazioni spontanee di non aver nulla a che fare con la strage di Bologna. "Un delitto inconfessabile" l'ha definito il sostituto Pg, "infestato dai depistaggi", che "impediscono la ricostruzione di ogni singolo ruolo". Il magistrato ha ripercorso per oltre sei ore gli elementi contro Bellini, partendo dalla "prova granitica" (così scrisse la Corte d'Assise nelle motivazioni della sentenza di primo grado) della presenza in stazione dell'ex Avanguardia Nazionale, grazie al video amatoriale che ritrae un uomo con le sue fattezze e che per l'ex moglie di Bellini, Maurizia Bonini, è proprio lui. La donna, cambiando la sua versione dopo quarant'anni e affermando che la mattina del 2 agosto Bellini arrivò a Rimini non alle 9, ma molto più tardi, verso l'ora di pranzo, fu decisiva nel far condannare l'ex consorte all'ergastolo. "Le immagini di Polzer dimostrano senza alcun dubbio che il soggetto identificato come Bellini era a Bologna in stazione il giorno della strage", ha detto Proto all'inizio della sua requisitoria. "Al dibattimento è stato accertato che Bellini si precostituì l'alibi utilizzando la nipote Daniela, e questo è un fatto agghiacciante. La caduta dell'alibi precostituito per sviare l'evento - ha aggiunto Proto - diventa prova a suo carico. Quindi non abbiamo solo la prova della presenza di Bellini in stazione, ma c'è anche l'alibi precostituito. Quell'alibi serve a togliere Bellini da Bologna". Il sostituto ha poi affrontato i rapporti tra Bellini, destra eversiva, e i servizi segreti deviati. "Il collegamento con i servizi - ha detto - passa per i rapporti con l'allora procuratore capo di Bologna Ugo Sisti". Infine Proto si è soffermato sul cosiddetto 'Documento Bologna', "prova del finanziamento della strage", ovvero il biglietto sequestrato a Licio Gelli in Svizzera nel 1982 dove sono annotati i flussi di denaro per pagare l'attentato.

È stato scoperto - ha detto il sostituto pg - che questa strage non è stata opera di spontaneisti armati, ma si inserisce nella strategia della tensione e quindi in una regia di secondo livello rispetto agli esecutori materiali che hanno provveduto anche a finanziarli. Questo lo dicono Maggi e poi Bartoli all'autorità inquirente sin dal 1983”.

Quell’incarico ‘ricevuto dal Presidente della Repubblica’

“Bellini parla a lungo della sua missione tra virgolette del '92, riferisce i contatti con Tempesta (maresciallo dell’Arma ndr)ma “non c'è nessun accenno a questo incarico ricevuto addirittura dal Presidente della Repubblica”. “Bellini oggi ci dice di essersi recato a Palermo nel '92, in Sicilia nel '92 dopo le stragi e questo è un dato accertato, ma omette di dire che si era recato in Sicilia fin dal novembre del 1991”, cioè il periodo delle famose riunioni di Enna in cui per la prima volta Cosa nostra organizzò la strategia stragista contro lo Stato.

E ci riferisce un motivo che non ha avuto riscontro nel senso che dice: ‘Io ero andato in Sicilia perché all'epoca lavoravo per una società di recupero crediti e c'erano alcuni soggetti creditori che vantavano somme di denaro nei confronti di imprese siciliane, per cui io mi prestai ad andare in Sicilia’, ma una volta che arriva in Sicilia, la prima cosa che fa è chiamare Nino Joè che aveva conosciuto nel 1980 in carcere a Sciacca. Quindi c'è tutto un detto in quelle dichiarazioni che va contro quello che ci dice oggi Bellini, cioè di essersi recato in Sicilia dopo il '92 per far finire le stragi. Quando è stato sentito sullo specifico punto a Palermo, ha detto tutta un'altra versione” ha detto il sostituto pg.

Secondo il magistrato la ‘missione’ di Bellini era “tutt'altro che andare a salvare i magistrati e far terminare le stragi, ma una missione ben orchestrata con un fine del tutto diverso da quello che ci ha detto oggi”.

Nella prossima udienza la requisitoria riprenderà per gli altri due imputati: Piergiorgio Segatel, condannato in primo grado a 6 anni per depistaggio e l'ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma, Domenico Catracchia, condannato a 4 anni per false informazioni al pm.

La prossima udienza e prevista per il prossimo 22 maggio alle ore 10.00.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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