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di Giuseppe Lo Bianco
Palermo. Un uomo in borghese con una borsa di cuoio in mano,  l’espressione assorta, la gamba protesa in avanti nell’atto di camminare: la foto a colori e’ nitida, ed e’ un reperto prezioso e raro: e’ la foto di uno dei misteri italiani.

Per intenderci, e’ come se fosse arrivata a noi la foto di un uomo che apre la cassaforte di Dalla Chiesa a Villa Paino la sera del suo omicidio, il 3 settembre del 1982, la foto di chi prese in consegna le carte di Moro dal covo di via Montenevoso dalle mani del colonnello Umberto Bonaventura restituendone poco piu’ di due terzi, la foto della lettera letta con enfatica suspence dal bandito Giuliano e poi bruciata poco prima di partecipare alla strage di Portella della Ginestra o quella degli appunti informatici di Giovanni Falcone spariti dal suo data bank probabilmente il giorno stesso della strage di Capaci.

Per la prima volta la storia oscura d’Italia viene illuminata da un fotogramma a colori: ritrae l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli che si avvia verso la parte terminale di via D’Amelio, al confine con via Autonomia Siciliana, nel pomeriggio di tritolo e fiamme del 19 luglio del 1992. Con una borsa in mano. La borsa di Paolo Borsellino, che quel pomeriggio lascio’ la sua vita, e con lui i cinque agenti della sua scorta, sull’asfalto rovente di via D’Amelio. Dentro quella borsa, in quel momento, secondo la Procura di Caltanissetta, c’e’ un’ agenda rossa: gliel’aveva regalata l’Arma dei carabinieri, Borsellino vi annotava tutti i pensieri piu’ nascosti, registrando tutti i fatti, anche i piu’ insignificanti, che aveva vissuto dal 23 maggio precedente, da quando, cioe’, sull’autostrada di Punta Raisi, la mafia e chi se ne serve aveva strappato la vita del suo scudo umano, Giovanni Falcone.  Alle 17.20 del 19 luglio, venti minuti dopo l’esplosione, un fotografo palermitano, Franco Lannino, scatta un’istantanea destinata probabilmente ad entrare nella storia dei misteri italiani: dentro quella borsa in mano ad Arcangioli, la procura ne e’ certa ( e adesso vedremo perche’) c’e’ l’agenda che il giornalista Marco Travaglio ha definito la "scatola nera della seconda repubblica’’, nata in mezzo al tritolo delle stragi. Quasi sedici anni dopo quel pomeriggio, il primo aprile del 2008, il giudice per le indagini preliminari Paolo Scotto di Luzio proscioglie il capitano Arcangioli dall’accusa di furto dell’agenda. Una decisione destinata a chiudere la vicenda giudiziaria (anche se si attende la decisione della Cassazione sul ricorso presentato dalla procura di Caltanissetta) che pone una pietra tombale sulla ricerca della verita’. Non e’ stato Arcangioli, insomma, a farla sparire. E chi e’ stato, a distanza di tanti anni, difficilmente saltera’ fuori.

Ma come si e’ arrivati al proscioglimento del colonnello dei carabinieri? E che cosa e’ accaduto attorno alla Croma blindata di Paolo Borsellino negli attimi immediatamente seguenti l’esplosione mentre il corpo del magistrato giaceva nel cortile interno dello stabile, ai civici 19 e 21 di via D’Amelio, tra l’inferriata e il giardinetto dell’appartamento al pian terreno?
 
Siamo andati a leggere i verbali dell’inchiesta, abbiamo incrociato le dichiarazioni dei testimoni oculari e quella che vi offriamo e’ la ricostruzione, dettagliata e minuziosa, comprese le ritrattazioni, i cambi di versione, i vuoti di memoria (quest’ultimi per la verita’ comprensibili a distanza di 13 anni) di chi e’ stato ascoltato dalla procura perche’ quel pomeriggio era li’, vicino l’auto blindata. A partire dalla presenza dell’agenda dentro la borsa. La difesa di Arcangioli, infatti,  l’ha messa in dubbio: perche’ escludere che Borsellino, sceso dall’auto per citofonare alla madre, l’abbia portata con se’? In questo caso, evidentemente, dell’agenda non sarebbe restata alcuna traccia. Ma sia la procura che la parte civile l’hanno esclusa con un argomento difficilmente contestabile: da Villagrazia di Carini a via D’Amelio Borsellino ha guidato la sua Croma blindata ed e’ impossibile che abbia avuto modo di consultare l’agenda. Che e’ rimasta, appunto, dentro la borsa.

I TESTIMONI. Sono tre, oltre, naturalmente, Arcangioli: l’ex magistrato ed ex parlamentare Giuseppe Ayala, il giornalista Felice Cavallaro, il carabiniere di scorta ad Ayala Rosario Farinella.

Arcangioli viene interrogato una prima volta il 5 maggio del 2005 e ammette subito (non poteva fare altrimenti) di avere preso la borsa. L’ha fatto, rivela, su richiesta di uno dei due magistrati che aveva incontrato sul luogo della strage,  Giuseppe Ayala e Vittorio Teresi che lo avrebbero informato dell’esistenza di un’agenda tenuta da Borsellino. Sul posto Arcangioli incontra anche Alberto Di Pisa, magistrato di turno. Non solo: una volta presa la borsa, uno dei due magistrati l’apri’ e ‘’constatammo che all’interno non c’era alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta’’. Su richiesta di uno dei due magistrati, infine, Arcangioli ricorda di avere incaricato uno dei suoi collaboratori a depositare la borsa nell’auto di servizio ‘di uno dei due magistrati’’. ‘Ma su quest’ultimo punto non e’ certo: si tratta di un ricordo molto labile e potrei essere impreciso’’, non sa ‘’se poi veramente cio’ e’ avvenuto in tali termini’’. Ma non e’ soltanto quest’ultimo ricordo ad apparire confuso: Vittorio Teresi dira’ di essere arrivato in via D’Amelio un’ora e mezzo dopo, Alberto Di Pisa, che non era magistrato di turno, in via D’Amelio non e’ mai venuto. Entrambi  minacciano querele nei confronti di chi li chiama in causa.

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