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#lamiaidea
di Luciano Armeli Iapichino
Non so quanti possano condividere questa mia analisi né cerco approvazioni. Ma interagendo telefonicamente con amici un po’ sparsi ovunque abbiamo condiviso alcune riflessioni. Muoviamo dai massimi sistemi senza voler forzatamente fare i dietrologi, i politologi mondiali o i sociologi berkeleyani. Serpeggia ormai in tanti l’idea che la situazione attuale è come vivere, sia per bollettini di morte e sia per privazioni, una guerra. È il passo dal pensare che lo sia sul serio - del resto nel XXI secolo le si fanno anche con i virus - non è poi tanto peregrino in quello che ha sempre più le sembianze di un affaire/scontro o spygame commerciale Usa - Cina - Italia - Europa - Urss. E le ultime notizie ufficiali da Pechino sembrano confermare questa direzione ermeneutica. Solo che poi, purtroppo, l’eterogenesi dei fini ci mette lo zampino e le situazioni previste dagli attuatori seguono l’imprevedibile in termini di conseguenze. E se così fosse, cosa di cui ci stiamo convincendo, significherebbe che nell’era planetaria il libero arbitrio dell’individuo pseudo-invincibile, con la sua sicumera che sfocia nel primitivo, con la sua pseudo-autonomia di pensiero e di agire, sia sinonimo di schiavitù. Le democrazie e le sovranità nazionali, o se preferite la Casa pseudo-comune Europea, di fatti, sono assurte a maschere del servilismo cortigiano di stampo medievale, genuflessi ai burberi e poco assertivi padroni del pianeta che giocano a fare la guerra senza morti allorquando i morti sono tanti, quotidiani e senza mimetica.
Quanto alla quotidianità spicciola e a proposito di maschere, il COVID-19 ha smascherato, in molti casi, l’individuo di nostra conoscenza (vicino di casa, professionista, borghese di buona classe sociale, titolato), iper turbo-dinamico, dal sistema operativo umano multitasking e a cui avevamo associato stima, mitizzazione, plauso, che in preda a psicosi e restrizione forzate sta mostrando il meglio (cioè il peggio) di sé con atteggiamenti, considerazioni, sparate e post che hanno del surreale. Nelle famiglie (ovviamente non in tutte) regna già la tensione, lo stress, l’incomunicabilità tra coniugi e, soprattutto, con la prole di cui solo adesso se ne riconosce l’estraneità. E sì, nelle dimore la famiglia si scopre essere composta da estranei, oleata dal fallimento di ruolo, dalla sopportazione a limite della sopportazione. È il destino dello speed man imprigionato in un box che non riconosce come familiare in tempi di spread alle stelle, proliferare di filantropi e che scopre di avere figli (con le dovute eccezioni) cresciuti come bestie e pasciuti a suon di paghette, smartphone e PlayStation. E a cui, adesso, non riesce a comunicare nulla. Sempre con le dovute eccezioni. È la guerra. Anzi no! Perché in tempi di guerra, come mi ricordava il mio amato reverendo stamani, non si erano chiuse neanche le chiese. Allora è peggio della guerra: siamo al tempo delle super connessioni che ci hanno fatto dimenticare l’esercizio della comunicazione a vista e di cui ora paghiamo il conto salato e paradossalmente senza le quali e i social, oggi, dentro le case ci sarebbe da chiedere all’altro: “Ciao come ti chiami?” E a proposito di comunicazione: non ricordavo la macchina banditrice nel mio paese da oltre trent’anni circa. Consentitemi un’ultima battuta: nel mio paesino il santo patrono lo lasciamo dentro la chiesa e non sul sagrato. È giusto che anche Lui rimanga in quarantena. Gli unici a essere tranquilli, altro paradosso, sono loro: gli anziani. Hanno la memoria della durezza della vita, nella speranza che un’altra inseminazione di geni di rana con quelli del Drago di Komodo non giunga dai laboratori del Liberismo batteriologico per poi ritrovarci a esseri soccorsi dal Comunismo dittatoriale.

Tratto da: facebook.com

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