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ciancimino vito massimodi Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 13:22
Vito Ciancimino si era recato alcune volte in via di Villa Massimo a Roma per interloquire con alcuni soggetti legati alle istituzioni. A dirlo è stato Masismo Ciancimino, figlio di Vito, al processo trattativa Stato-mafia: “Gli incontri erano sempre con elementi legati a istituzioni e servizi segreti, ma non ho mai assistito. Il mio ruolo era di accompagnarlo e poi stare ad aspettarlo in macchina. Siamo nel ’92, quando mio padre era ancora libero” e perciò prima del 19 dicembre. Chi erano gli interlocutori di don Vito? “Ricordo (per aver appreso i nomi dal padre, ndr) Sica, De Sena, De Francesco, qualche commissario antimafia...” è stata la risposta del teste.
“Mio padre - ha continuato Ciancimino jr - non ha mai voluto approfondire l’argomento servizi, e nemmeno io. Le mie tematiche erano legate al ruolo nella trattativa e nella voglia di mio padre, c’era una gran voglia di mio padre di parlare di questo, di raccontare realmente cosa c’era dietro gli omicidi Dalla Chiesa e Mattarella. Un’apertura che non fa solo a me, in un’intervista al Messaggero disse che dietro le stragi c’erano le istituzioni”.
Di seguito viene sottoposto a Ciancimino una parte di foglio rinvenuto nel corso della perquisizione del 2005. Si legge: "... posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive". “C’erano state minacce di morte credo nei confronti del figlio di Berlusconi - ha riferito Ciancimino - ricordo che parlammo della situazione, che lui avrebbe dato il suo contributo per evitare che facessero questa dimostrazione”. “Una delle fisse di mio padre - è stata poi la considerazione del teste - era di fare la diretta televisiva. In una conferenza stampa negli anni ’90 aveva chiesto di poter essere ascoltato in Commissione antimafia e posto come condizione la diretta televisiva. Solo con quella garanzia, per paura che qualcosa sarebbe stato secretato, mio padre avrebbe 'dato il suo contributo' nell’accertamento di tanti fatti finora mai svelati da lui”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Il numero del 'signor Franco' nel telefono consegnato alla Procura''
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 12:57

“Il numero del signor Franco era registrato in una Sim che mi fu sequestrata e che non venne mai riconsegnata. Però lo avevo anche in un telefono che consegnai poi alla Procura”. Così riferisce Massimo Ciancimino rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo sul misterioso uomo dei servizi segreti: “Nella Sim avevo più di un numero. Utenze cellulari, anche dei numeri fissi, uno sicuramente che portava al Ministero. Queste utenze le copiavo anche nei telefoni. Uno di questi, un modello svedese, l’ho consegnato anche a voi in Procura. Questo telefono mi era stato regalato nel 2003. Quando lo consegnai indicai un numero di cellulare credo. Ora non lo ricordo ma lo feci scorrendo la rubrica. Come lo indicavo? ‘Franc papà’, sempre così è stato memorizzato”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Per il passaporto di mio figlio chiamai il signor Franco''
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 12:46
“Avevo bisogno di un passaporto per mio figlio appena nato, la Questura faceva problemi e chiamai il signor Franco che risolse la questione”. Prosegue l’esame del teste-imputato Massimo Ciancimino al processo trattativa Stato-mafia. In particolare l’esame si sta concentrando sulla richiesta che lo stesso figlio di don Vito, nel 2004, aveva fatto presso la Questura di Palermo per aggiungere il figlio nel proprio passaporto. Un fatto raccontato anche ad una scorsa udienza dall'Assistente di Polizia di Stato Angela Cuccio, ex moglie di un amico d'infanzia dello stesso Ciancimino, Massimo Pocorobba (all’epoca socio dell’ex moglie di Ciancimino jr, Carlotta Messerotti). “Mio figlio - ha detto il teste - era nato da appena quattordici giorni e c’era questa nostra necessità perché da lì a poco saremmo andati a Bolgona, poi a Cortina d’Ampezzo e c’erano in programma delle gite in Austria. Per questo chiedemmo il passaporto. Io avevo questo contatto con Angela Cuccio che mi aveva dato appuntamento all’ufficio passaporti. Avevo portato tutta la documentazione, poi dopo mezz'ora torna mortificata perché non era stato possibile effettuare l’aggiunta. Mi disse che c’erano da fare verifiche perché il nome dato era quello di Vito Andrea Ciancimino. rimasi basito e mi arrabbiai. Come si potevano fare accertamenti su un bambino nato da neanche quindici giorni. Allora le dissi che non era degna di quel ruolo e che avrei informato il Capo di Polizia, Gianni De Gennaro. Lei sapeva che lo conoscevo perché gliel’avevo detto anche altre volte”.
Tuttavia Ciancimino jr avrebbe deciso di rivolgersi prima al misterioso uomo dei servizi “signor Franco”. “Gli raccontai il fatto e anche lui rimase sconcertato, gli dissi che volevo informare De Gennaro e lui mi disse di venire a Roma che si sarebbe risolto tutto. Già che c’eravamo potevamo anche rinnovare il passaporto mio di mia moglie per renderlo conforme per andare negli Usa”. Quei passaporti, a detta di Ciancimino, gli furono poi consegnati, non in Questura o in un ufficio di polizia, ma in un ufficio dietro un bar.
Affrontando il tema del trasferimento della Cuccio, tra il 2003 ed il 2004, dal Commissariato di Vittoria al Capoluogo siciliano. “Ne parlai con lei - ha ricordato il teste - gli dissi delle amicizie che avevo, non solo con De Gennaro, gli chiesi dove voleva andare, poi chiamai De Gennaro e l’abbiamo fatta trasferire”. Alla domanda del Presidente Montalto su quale fosse il contatto ha ribadito: “Avevo un numero nel cellulare. Non ricordo se rispondeva direttamente o se me lo passavano successivamente ma comunque era il contatto con De Gennaro. Quando dissi questa cosa per il trasferimento della Cuccio lui rispose che avrebbe provveduto”. Ciancimino ha anche confermato di aver sfruttato i propri agganci all’interno della polizia aeroportuale per essere trasportato o prelevato sottobordo.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Pressioni per farmi ritrattare''
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 11:51
"Parlai con l’avvocato Mariani della documentazione che avevo in possesso riguardante i rapporti con i carabinieri, in particolare il famoso manoscritto delle controrichieste fatte da Riina. Gli dissi che avrei lasciato a lui le mie volontà e di consegnare tutto al giornalista Franco Viviano se mi fosse successo qualcosa, poi gli indicai il luogo in cui reperire i documenti”. A parlare è ancora una volta Massimo Ciancimino, teste chiave e imputato, al processo trattativa Stato-mafia riferendosi ai suoi legami con l’avvocato Franco Simone Mariani, del Foro di Roma. Con Mariani, ha dichiarato il figlio di don Vito, “avevamo un rapporto professionale (in riferimento agli affari del gas, per essere il legale rappresentante di alcune società, ndr) ma anche amichevole e di fiducia”. E Viviano, ha continuato Ciancimino junior, “era un amico, in quel periodo (riferendosi al 2006, ndr) ci vedevamo quasi ogni giorno”.
Del documento che Ciancimino consegnò a Mariani, ha aggiunto il teste, “ne ho fatto due copie e una l’ho consegnata a Viviano”. “Mi era stato detto - ha detto ancora - che di lì a poco sarebbe stato arrestato Provenzano (poi preso ad aprile 2006, ndr) e che mi sarei dovuto allontanare, recarmi all’estero e aspettare l’evolversi di quello che sarebbe accaduto. Poco dopo, a giugno, sono stato arrestato. Non dico a Viviano dell’arresto di Provenzano, ma lo informo che di lì a poco sarebbe dovuto accadere qualche cosa che avrebbe peggiorato la mia situazione carceraria. Dei miei contatti con i servizi accennai al fatto che erano stati ereditati da mio padre ma non feci nomi”. Sulle pressioni ricevute in quel periodo, ha proseguito Ciancimino, “ne parlai con Viviano. Provenivano da uomini legati ai servizi e al signor Franco che mi consigliavano di mantenere il profilo adottato da mio padre. Mi hanno detto di non andare avanti su questa strada che mi avrebbe portato a un massacro, di interrompere i rapporti con la procura, ritrattare e dire che mi ero inventato tutto e in questa maniera mi avrebbero aiutato a uscire da questa situazione”. In più, ha ricordato ancora Ciancimino, “un soggetto che conobbi, tale Rosselli o Rossetti, mi disse che c’erano stati interventi istituzionali grossi sulla mia iscrizione per reato di calunnia. In quel periodo prendevo schiaffi a destra e a manca”.
Molte, secondo il teste oggi in aula, sono le “anomalie” nei suoi confronti. “Solo in questi giorni - ha riferito - seppi da un articolo che era stata chiesta la mia citazione al processo a Firenze per le stragi. Quella citazione non andò mai in porto”.

In foto:
uno scatto d'archivio di Massimo Ciancimino insieme al padre, Vito (© Letizia Battaglia)

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