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Alfredo Galasso*


Non saprei se definire questo segnale di dissociazione provocatorio o patetico. Sicuramente, però, la sensazione immediata che ho, è che questa proposta sia urtante. Che costoro “confessino” di essere affiliati a Cosa Nostra o capi già lo sapevamo, visto che ci sono decine di sentenze che lo hanno confermato in via definitiva. Il riconoscimento a questa confessione che accompagna una qualche richiesta mi sembra curioso, per non dire provocatorio. Se il regime di carcere duro non va applicato e a chi , non spetta a loro deciderlo. Si tratterà, piuttosto, di capire se sono venute meno le condizioni di pericolo che hanno dettato la formulazione di quella norma che, certamente, deve essere applicata con equilibrio e con riferimento alle situazioni concrete, con un criterio di proporzionalità come, del resto, ha già detto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Ho la sensazione che una simile proposta significhi, invece, una sorta di volontà di recupero di una condizione non solo di maggiore vivibilità all’interno delle carceri ma, probabilmente, anche di maggiore libertà nell’uso dei patrimoni restanti non ancora sequestrati o confiscati. In ogni caso non vedo a cosa serva allo Stato una dissociazione di questo tipo: basti prendere come esempio Pippo Calò, il quale già aveva scritto una lettera del genere nel 2000, in occasione dell’apertura del processo in Corte di Appello per l’assassinio di Mino Pecorelli, nel quale è stato assolto. Calò si era dichiarato innocente ed i giudici di primo grado l’hanno ritenuto accettabile. E se Calò andasse a raccontare qualcosa riguardo a quell’omicidio che potrebbe rivelarsi utile per accertarne le cause e gli autori, ben venga la dissociazione. Per il resto non vedo a che cos’altro possa servire allo Stato.
 *Avvocato penalista e docente universitario

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