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Indice articoli

di Giorgio Bongiovanni
Le motivazioni delle sentenze delle stragi di Capaci, Via D’Amelio e per le bombe del 1993 non lasciano spazio al minimo dubbio. Parti dello Stato italiano, in ginocchio dopo il brutale, violento e ripetuto attacco frontale di Cosa Nostra, avvenuto a cavallo degli anni ‘92 e ‘93, hanno trattato con i mafiosi. Le modalità, le finalità, i confini e i compromessi con cui si sono sviluppati i colloqui tra le istituzioni e i rappresentanti dell’organizzazione criminale sono stati delineati nelle ricostruzioni fornite da più collaboratori di giustizia e dagli stessi uomini dello Stato coinvolti. Tuttavia, come sempre, i lati oscuri sono diversi e lasciano intravedere un quadro molto più inquietante di quanto appaia quello esplicito. E’ per questo motivo che le procure di Palermo e Caltanissetta hanno aperto un’inchiesta sulla trattativa tra Mafia e Stato.

Quinta parte


Botta...

Ci siamo. Le condizioni sono ottimali per avanzare la proposta di risoluzione dell’ultimo vero problema di Provenzano: il popolo delle carceri.
Pietro Aglieri, uno dei suoi bracci destri, oggi detenuto secondo il regime previsto dall’articolo 41 bis, ha inviato una lettera al procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, e per conoscenza anche al procuratore Grasso, con l’intento di voler chiarire la propria posizione dopo «aver più volte appreso, nel recente passato, notizie fuorvianti», circa una sua possibile volontà di dissociazione.
E infatti «con chiarezza di opinioni e con fermezza di intenti ho sempre dimostrato che né la collaborazione, sarebbe meglio dire la delazione, né la dissociazione, intesa come metodo di accuse anche se indiretto, sono a mio modo di vedere strade percorribili».
Allora cosa chiede «u signurino», capo mandamento di Santa Maria di Gesù, condannato all’ergastolo per le stragi del ‘92?
«Un ampio confronto», prima di tutto fra i vari boss detenuti al fine di trovare «un qualche sbocco» e un «confronto aperto e leale» con lo Stato e bada bene, «non trattative, come qualcuno maliziosamente e strumentalmente insinua, affinché si possono trovare soluzioni intelligenti e concrete che producano veramente dei frutti positivi nel suo insieme».
Quindi nessuna dissociazione, nessuna trattativa, nessuna collaborazione.
«Capisco che soluzioni alternative, che prescindano dalla collaborazione o dalla dissociazione, siano inevitabilmente più lunghe, più complesse, più articolate. Ma proprio per questo abbisognerebbero di un lavoro più attento e paziente, fatto e condotto da persone lungimiranti».
«Tutto il resto - spiega paziente - sarebbe solo un esercizio di retorica che porterebbe semplicemente ad un nulla di fatto. A meno che non si voglia proprio questo».
A dire il vero difficilmente si intende poiché noi, lo Stato, dovremmo volere altro.
Di fatto però, Aglieri sembra essere certo del contrario, poiché, prosegue, per «far nascere qualcosa di costruttivo per il bene della collettività», occorre «una seria analisi della realtà, scevra da barricate ideologiche, chiacchiere sterili e con spirito di umiltà».
E rincara: «non sarà con metodi o processi, che in certi casi vanno oltre quegli stessi metodi che si dice di voler combattere, che uno Stato laico e democratico riuscirà a dare  più sicurezza ai suoi cittadini». «Non sarà demonizzando l’avversario, o umiliando la sua dignità, o alimentando rancori con tetra ostinazione di sicofanti prezzolati, o arroccandosi nella torre d’avorio di una presunta superiorità che si riuscirà a risolvere queste complesse questioni». «L’infallibilità - scrive poi in tono chiesastico, dovuto forse alla sua formazione in seminario - fanno parte della schiera divina; l’errore è parte integrante del genere umano, nessuno ne è esente».
E poi conclude, in piena linea con la strategia corleonese vigente ormai da anni, attaccando «le propalazioni di certi pseudo-collaboratori che hanno dichiarato tutto e il contrario di tutto  pur di uscire dal carcere».
Dulcis in fondo avverte: «questi circoli viziosi non approderebbero a nulla, con il tempo si ritornerebbe al punto di partenza».
Gentile ed educato, saluta, assicurandosi disposto a «qualsiasi approfondimento con chiunque».

... e risposta

Una lettera scritta con tanta pacatezza ed implicita convinzione che quasi sopraggiunge la tentazione di darle un qualche credito. E invece, per ora, fortunatamente, tutti i rappresentanti degli organismi preposti hanno risposto seccamente no. Ciò non toglie che, a nostro avviso, la lettera di Aglieri presagisca una manovra di Cosa Nostra particolarmente inquietante.
Un boss di quel calibro, vicinissimo a Provenzano, scrive presupponendo, con non poca protervia, di avere uno o più interlocutori interessati alle sue proposte. E benché si rivolga a due autorevoli uomini dello Stato, non si fa fatica a comprendere che il messaggio è anche per Cosa Nostra.
La prima domanda che sorge, a parte l’iniziale irritazione, è come sia possibile che un detenuto per strage si senta, in qualche modo, legittimato ad avanzare pretese di dialogo. C’è forse qualcuno che si è dimostrato disposto ad ascoltarlo? Il procuratore Vigna ci assicura di no, e gli crediamo, quindi non ci restano che due ipotesi: il mafioso ha perso il senno oppure sta lanciando il suo messaggio a qualcun altro.
Non sappiamo a chi, ma di fatto sappiamo cosa vuole. Soluzioni. Soluzioni indubbiamente legate alla sua condizione di carcerato speciale, costretto, come è sacrosanto, al regime più duro e per sempre, soluzioni relative a processi, a suo parere, ingiusti (macchinazioni surrettizie), soluzioni per il bene della collettività.
E non ci è chiaro se si riferisca alla collettività italiana, a quella di Cosa Nostra, oppure ad entrambe
Benché, poi, ci si sforzi, proprio non si riesce a capire quale vantaggio trarrebbe lo Stato se acconsentisse a questo «leale confronto». A che pro?
Non vorremmo che «quel punto di partenza» o quel «più sicurezza ai suoi cittadini» fossero velate minacce.
Con Cosa Nostra la guerra è tuttora aperta, ma quella battaglia, dopo il durissimo colpo delle stragi, l’abbiamo vinta noi, e quindi non ci sono alcune condizioni da trattare.
Ma siamo tutti dello stesso parere? Qualcuno no, come l’avvocato Taormina, sottosegretario uscente, che invita ad accettare questa dichiarazione pubblica di fallimento della mafia e a prenderla come vittoria. Ma non ci era già nota questa sconfitta dell’ala militare più oltranzista di Cosa Nostra? Non sono tutti condannati all’ergastolo?
Il fatto poi che siano giacenti, da qualche parte in parlamento, tre proposte di legge che rischiano di rendere possibile la revisione di tutti processi, compresi quelli per mafia, fa comprendere come mai il procuratore di Palermo Pietro Grasso, noto moderato, abbia dichiarato recentemente: «sarà il diluvio universale»! (vedi pag.9)
In sostanza la situazione si fa sempre più allarmante e sempre più coerente con le esigenze di Cosa Nostra a cui Provenzano, nel 1995, aveva promesso di provvedere entro cinque, sette anni.
Non è poi sfuggito ai più attenti osservatori che ogni qualvolta si diffondono notizie di presunta «dissociazione» o «trattativa» da parte dei boss carcerati, avviene un arresto importante, come il recente fermo di Antonino Giuffré, da alcuni indicato come il numero due di Cosa Nostra, avvenuto, a quanto pare, in seguito ad una soffiata. (vedi pag.2)
Una contropartita o un segnale dei corleonesi impazienti e rinchiusi che pretendono risposte da chi è fuori?
Indiscrezioni giornalistiche, inoltre, darebbero per certo che Provenzano stia vendendo il suo patrimonio. Quale sarà la prossima mossa? Un’uscita di scena in grande stile così da indurre a credere che Cosa Nostra è finita? Così non sarebbero più necessarie le misure di repressione adottate finora?
Sarebbe la fine della guerra aperta, ne resterebbe soltanto una semifredda combattuta da quei pochi discendenti di Falcone e Borsellino che ancora si ricordano che quando la mafia si inabissa è il momento in cui tutti i suoi equilibri interni e soprattutto esterni sono ben saldi.

ANTIMAFIADuemila
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