Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Di solito, a un paio di settimane dal 23 maggio, Palermo ha già seppellito, retoricamente parlando, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani e il ricordo tetro di Capaci, dichiarando abbondantemente concluse cerimonie, sfilate e passerelle.
Tre ininterrotti decenni si sono dipanati all’insegna di queste modalità. Quest’anno dove sta la novità?
Se dovessimo dire, diremmo, senza indugio, che non si è più vista la “nave della legalità”. Era ora.
Quella nave, carica di giovani studenti di altre città italiane, che per un giorno sbarcavano a Palermo per recarsi poi in via Notarbartolo. Maria Falcone era la “madrina” dell’evento che prevedeva nastri e bandiere tricolori. Uno stucchevole surplus di retorica che finalmente a qualcuno deve essere sembrato eccessivo, tanto che la nave non ha più preso il largo.
Ma scomparsa la nave - e non è un caso - l’orizzonte sta finalmente cominciando a diradarsi. Si continua a parlare del 23 maggio, quasi fuori tempo massimo, oseremmo dire. Una buonissima notizia.
Quasi da non crederci.
C’è dibattito. C’è polemica politica. C’è volontà di andare ben oltre la spessa coltre della retorica. Si riflette ad alta voce. A Palermo ci si comincia a dividere. Già prevediamo l’obiezione di qualche imbecille: ma l’antimafia deve unire, non deve dividere.
No no. Proprio il contrario.
In una città intrisa di mafia come Palermo, che trasuda politica clientelare e affaristica da tutti i suoi pori, pronta a salire sul carro vincente del momento, abituata a fare spallucce di fronte a ogni idea di radicale cambiamento, vivere tutti, uniti e contenti, non significa altro che condannare la città al suo ruolo di città, socialmente parlando, terminale e irriscattabile. Ben vengano, dunque, le divisioni.


il patto sprco mockup


Vedete, il problema è che per tantissimi palermitani, di classe umile o alta che siano, i reati di associazione mafiosa, o di concorso esterno, che del primo è il parente più stretto, non sono considerati reati infamanti. Sono reati che, bene che vada, si tirano dietro uno stigma sociale assai blando, che non ti impedisce di avere il tuo posto sui divani cittadini, che non ti chiude porte in faccia, che non ti farà mai percepire come il “collaborazionista” di un nemico feroce e inaccettabile. Insomma, nel cosiddetto “manuale Cencelli” della politica palermitana per il mafioso o il para mafioso c’è sempre un posto di riguardo.
E quei reati?
Brutte cose, certo.
“Mali riscursi” (cattivi discorsi), come se la cava assai efficacemente il dialetto locale. Ma, in fondo, anche inevitabili incidenti di percorso, pietre di inciampo per chi vuole andare avanti nel suo lavoro o nei suoi affari, lasciarsi alle spalle i tragici ricordi del passato, nell’intima convinzione che non si può vivere di sola lotta alla mafia.
Nel buffo teatrino di questa città, fateci caso: i più grandi fustigatori di errori e magagne, disonestà e persino arricchimenti personali che hanno visto spesso alla ribalta esponenti anche di spicco dell’antimafia, i più grandi fustigatori, dicevamo, sono proprio quelli che teorizzano che la mafia è stata sconfitta, non c’è più, è un simulacro tenuto in vita ad arte per garantire il perpetuarsi delle prebende proprio per gli esponenti dell’antimafia.
Detta in una parola: a Palermo è più facile che un mafioso passi per la cruna di un ago che un anti mafioso entri nel regno dei cieli.
Ma questo sentire comune, sta cambiando? Forse si. E arriviamo al punto.
Ricorderete che alle ultime elezioni comunali si scatenò una forte polemica attorno al nome di chi poi sarebbe diventato l’attuale sindaco di Palermo, apertamente sostenuto da due condannati per mafia, che per mafia si erano fatti la galera, e che ora, redenti e non placati dalle disavventure giudiziarie, volevano tornare a dire la loro in politica.
Dove sta scritto che a chi è stato condannato in via definitiva per mafia, e che ne ha scontate le conseguenze, debba essere bandito per sempre il diritto di fare politica? E’ questo il succo del ragionamento, espresso pubblicamente, da un illustre professore.
Un illustre professore, insomma, spianò loro la strada dei cieli? Non esageriamo.


la mafia ha vinto lodato pb


Ma la cosa più grave è che tutti gli altri illustri professori della città tacquero. E il sindaco, che proprio di quelle attenzioni chiacchierate era stato il visibile beneficiato, divenne, a furor di popolo, il nuovo sindaco di Palermo. Grazie al combinato disposto di un’audace affermazione individuale e di un silenzio di massa sull’argomento.
Ma il diavolo, che di coperchi non se ne intende, non poteva prevedere che proprio quel sindaco, il 23 maggio, sarebbe salito sul palco in pompa magna per ricordare la strage di Capaci.
Che accanto a lui si sarebbe trovato un altro e alto esponente politico alle prese con vicende processuali.
Che, infine, a far da “madrina” si sarebbe trovata, ancora una volta, la già “madrina” della “nave della legalità”.
Il problema è che, in certi ambienti, l’appetito vien mangiando.
Stabilito il principio che “chi ha dato ha dato, chi ha avuto, scordiamoci il passato”, certi ambienti avevano pensato bene che fosse giunta l’ora di privatizzare via Notarbartolo, facendo diventare così l’Albero Falcone pianta venerabile solo per i rappresentanti delle istituzioni: bianchi, neri o grigi che siano.
Ed è stato vietato l’accesso a giovani, lavoratori, sindacalisti, che, come di norma, rappresentano solo se stessi.
Errore. Errore madornale.
Le immagini di quei giovani, che pretendevano di entrare in via Notarbartolo, caricati duramente da poliziotti in assetto antisommossa, hanno poi fatto il giro del mondo.
E questa volta, la rivolta delle coscienze c’è stata. Ed è tutt’ora in corso.
Protestano i giovani studenti e i professori, magistrati in carica e magistrati in pensione, si firmano appelli, lettere ai giornali locali, finalmente costretti a pubblicarli.
Insomma. Si cerca di fare in modo che non tutti, in Paradiso, possano andare in carrozza e con seguito di fanfare. Per questo, come dicevamo all’inizio. La città sembra finalmente dividersi.
Errore madornale, lo ripetiamo, quello commesso dalle autorità il 23 maggio in via Notarbartolo.
C’è infine, un ultimo aspetto destinato a venire alla ribalta. E se ne comincia a parlare, anche se con qualche imbarazzo comprensibile.
Forse sarebbe giunta l’ora che i bilanci pubblici di quelle associazioni che da anni percepiscono fondi statali per aiutare le iniziative antimafia, venissero facilmente e comprensibilmente resi noti, con relativi rendiconti, per un bisogno di trasparenza che non va mai trascurato. A maggior ragione se si parla di mafia e di lotta alla mafia.

Foto © Paolo Bassani

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


La rubrica di Saverio Lodato

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos