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arlacchi-pino-bigdi Giorgio Bongiovanni - 16 agosto 2012
In attesa che il gip designato Pier Giorgio Morosini si documenti sull’enorme mole di faldoni (120) che costituiscono l’ossatura della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura di Palermo per il processo ormai noto come “la trattativa tra mafia e stato” mi permetto di suggerire alcune riflessioni in libertà.
Secondo la più recente ipotesi della Procura la trattativa sarebbe da datare subito dopo l’omicidio di Salvo Lima quando una volta resisi conto che Cosa Nostra faceva sul serio i politici nella lista nera di Riina corsero ai ripari.

In strettissima sintesi l’ex ministro Calogero Mannino si sarebbe attivato presso il Ros, nella persona del generale Subranni, al fine di escogitare una qualche strategia che potesse salvargli la vita e questi avrebbe così incaricato il generale Mori di trovare una soluzione concretizzatasi poi nei dialoghi con Ciancimino. Segue poi il coinvolgimento di Mancino e poi dopo la cattura di Riina anche di Dell'Utri che dialoga con Provenzano e i Graviano mentre le bombe continuano a scoppiare in continente.
C’è una interessante coincidenza tra questa ipotesi dei pm e le dichiarazioni rese dal professor nonché eurodeputato Pino Arlacchi ai magistrati di Caltanissetta in un interrogatorio del 11 settembre 2009 quando, sentito in merito ad una sua intervista rilasciata a Francesco La Licata e pubblicata su La Stampa, aveva spiegato:
“…era mia convinzione, che effettivamente Cosa Nostra nell'eseguire le stragi di Capaci e via D'Amelio avesse agito in sinergia con ambienti deviati delle Istituzioni, soprattutto del SISDE, che si trovavano in quel momento in difficoltà, poiché stavano per venir meno gli storici referenti di carattere politico ed avevano, pertanto, per così dire, "cavalcato" la reazione comunque autonoma di Cosa Nostra, pilotandola per asservire allo scopo di riacquisire quella centralità che avevano avuto nel passato. 
Si trattava di un'analisi - quella delle difficoltà in cui si trovavano questi ambienti istituzionali in quel periodo - che era condivisa anche dal dott. FALCONE e dal dott. BORSELLINO.
Difficoltà che nascevano dall'abolizione dell'Alto Commissariato, che aveva sempre costituito il terreno fertile di questi soggetti e dalla perdita di potere della parte politica che li aveva sempre garantiti.
Faccio riferimento, in particolar modo, allorquando parlo di ambienti istituzionali al gruppo del SISDE che aveva come punto di riferimento il dott. CONTRADA, ed anche qualche gruppo appartenente all'Arma dei Carabinieri che aveva nell'allora Colonnello MORI il punto di riferimento. Il Colonnello MORI ed il dott. CONTRADA mi risulta che fossero ambedue in forte contrapposizione col dott. DE GENNARO. Lo stesso non condivideva il metodo con il quale il colonnello MORI agiva in quel periodo, contrassegnato da un ricorso a confidenti e da un'azione che definirei poco trasparente.
Preciso, tuttavia, che il giudizio su MORI e sui soggetti allo stesso vicini non era così negativo come quello che si aveva su CONTRADA, che ritenevamo davvero pericoloso e capace anche di compiere omicidi.”.
I pm guidati da Lari di fronte a tali affermazioni chiedevano ad Arlacchi di meglio precisare le sue parole:
“(…) Dopo le stragi del 1993 si consolidò presso i vertici della D.I.A. l'idea che le stragi avevano una valenza politica precisa, e cioè erano finalizzate a costringere lo Stato a venire a patti ed instaurare una trattativa.
Sul punto formulammo insieme a DE GENNARO delle ipotesi, ritenendo che il gruppo andreottiano, tramite i suoi referenti di cui ho detto - e cioè il gruppo CONTRADA - fosse uno dei terminali della trattativa.
Quando nell'intervista faccio riferimento per le trattative allora in corso "al R.o.S." intendo riferirmi al colonnello MORI; sospettavamo, infatti, che vi fosse in atto un'azione di depotenziamento delle indagini della Procura di Palermo, anche tramite contatti con appartenenti a cosa nostra che convincevano l'associazione della possibilità di uscire in qualche modo indenne dalla fase delle indagini compiute dal pool di Palermo”.
Vi era insomma una guerra di metodi e di fini interna allo Stato che Arlacchi alla fine della deposizione (leggi l’integrale) riassume così:

“Chi remava contro, in sostanza, lo faceva con la benedizione di un gruppo politico che cercava di mantenere lo status quo e fermare l'emorragia di consensi che cominciava ad essere pesante, specialmente in concomitanza con le inchieste sulla corruzione”.

Ovviamente sarà compito dei magistrati provare se l’analisi del professore possa essere un elemento in più, sta di fatto che nonostante la smentita di De Gennaro (vedi qui), esiste una relazione della Dia guidata dallo stesso super prefetto (datata settembre 1993) in cui senza fare troppi nomi viene confermato quanto sostenuto da Arlacchi circa la trattativa.

“C’è un «progetto» per «intimidire lo Stato» e «condizionare il rinnovamento politico e istituzionale del nostro Paese». E’ un «pactum sceleris» stretto da Cosa Nostra con centri di potere politici occulti e illegali «oggetti di un’aggregazione analoga a quella che subisce la mafia». E’ «un’aggregazione orizzontale» che ha un obiettivo: «garantirsi l’impunità» o, per lo meno, «la sopravvivenza». Anche a costo di «un’offensiva finale con l’uso di armi pesanti con numerose vittime innocenti, sabotaggio e vie di comunicazione, attentati ai Tribunali e altri uffici”.

Speriamo che la procura accolga la richiesta di Nicola Mancino di sentire il professor Arlacchi in sua difesa (era nel suo staff) poiché sarebbe davvero di grande interesse scandagliare questa sua versione e già che ci siamo capire perché di questa trattativa non ne parlò con l’ex ministro che tra l’altro è il destinatario della relazione Dia.

Ma non finiscono qui le coincidenze.

Arlacchi fa espresso riferimento, in questi termini come forse mai nessun altro, al coinvolgimento diretto dei servizi segreti (di fatto il SISDE di Contrada) nelle stragi. Sarebbe ugualmente produttivo incrociare queste sue valutazioni con una serie di dati sui quali i magistrati più volte si sono soffermati e purtroppo arenati a causa dello scarso livello probatorio.

L’infinita storia del signor Carlofranco tra le varie ricostruzioni di Massimo Ciancimino di cui comunque la Procura di Caltanissetta ha motivo di ritenere fondata l’esistenza.

L’agenda rossa e tutte le incredibili vicissitudini che ne hanno caratterizzato l’indagine dalle mille ricostruzioni contraddittorie di Aiala, ad Arcangioli che si allontana con la borsa e al misterioso uomo che si qualifica come appartenente ai servizi.

Le nuove immagini di recente rese note di un uomo sul teatro della strage di via d’Amelio sulle quali dovranno essere svolte delicate indagini antropometriche .

Le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che racconta ai pm di aver notato la presenza esterna a Cosa Nostra (“forse un uomo dei servizi segreti”) nel momento in cui imbottiva la 126 di
esplosivo.

E infine quella sorta di appello che Salvatore Riina (Riina attacca lo Stato) rivolge al presidente del Tribunale De Giorgio al processo per il fallito attentato all’Olimpico nel quale chiede, in tempi assolutamente non sospetti, nel 2004, di sentire Massimo Ciancimino proprio in relazione ai colloqui tra il ros e suo padre e domanda e si domanda come facesse l’allora ministro Mancino a sapere che di li a poco sarebbe stato catturato.

Non sappiamo se i magistrati che lo hanno voluto risentire gli hanno chiesto come mai tra tutte le cose che poteva dire quel giorno il capo di Cosa Nostra abbia scelto proprio quei dettagli che hanno portato alla svolta nelle indagini. Sarebbe il caso di farlo oppure sarebbe utile sapere cosa ha risposto.

Anche se pubblicamente Arlacchi ha ridicolizzato e reputa fasulla l’ipotesi della “trattativa” come impostata dalla procura di Palermo (sicuramente per il frutto della sua ignoranza nel merito dell’inchiesta) la sua testimonianza è a mio giudizio di grande importanza, anche per il solo fatto che di quei temi, ha ammesso, ne parlava con Falcone e Borsellino che come notorio frequentava assiduamente e ai quali era legato da profonda amicizia. Sono discorsi intimi con i due magistrati poco prima che vengano uccisi. Subito dopo Arlacchi valuta profondamente alcune ipotesi e le condivide con Gianni De Gennaro: la certezza del coinvolgimento dei servizi segreti dello Stato italiano nelle stragi del ’92 e ’93, con la complicità di uomini potentissimi come Giulio Andreotti.

Al professor Arlacchi, se si degnasse di rispondere al sottoscritto o alla nostra redazione, vorrei chiedere che significato ha questo suo dire e non dire, rivelare alla Procura di Caltanissetta l’esistenza di colloqui delicatissimi con Falcone e Borsellino sulla trattativa per poi prendere le distanze dal lavoro di Ingroia e colleghi. Sarei onorato di una sua risposta, oppure è il caso di rammentargli quella famosa gaffe alla convention palermitana dell’Onu in cui aveva dichiarato che “la mafia è stata quasi sconfitta”?

ANTIMAFIADuemila
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