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a cura di Jean Georges Almendras
Recentemente a Montevideo, capitale dell’Uruguay, il sacerdote cattolico Uberfil Monzón, attuale direttore dell’Istituto Nazionale per l’Alimentazione (Inda), ha testualmente affermato agli organi di stampa – per la seconda volta negli ultimi due anni – che “c’è gente che muore di fame e di fronte a situazioni critiche come questa l’uomo ha il diritto di preservare la propria vita e la propria salute… e in questo caso, non gli rimane altra opzione se non quella di rubare”.
 


Parole che hanno scosso l’opinione pubblica uruguaiana. Una presa di posizione coraggiosa se inserita all’interno di un contesto sociale in cui sempre maggiori sono gli sforzi fatti dal governo per contenere il numero dei delitti contro la proprietà e le aggressioni a mano armata.
Uberfil  Monzón è un sacerdote coerente, impegnato, promotore dei principi cristiani e del valore della giustizia. Un sacerdote a cui il vescovo di Montevideo ha vietato di celebrare la messa, per il solo fatto di aver accettato di essere il direttore dell’Inda, un istituto che sin dalle sue origini si è caratterizzato per la sua grande opera di assistenza ai poveri, ai quali fornisce sostegno alimentare.
Ai tempi della dittatura Monzón fu perseguitato e torturato. Oggi è un uomo di grandi valori che insieme ai suoi consulenti ha trasformato l’istituto che dirige in una istituzione trasparente, che non solo si occupa di sfamare i più bisognosi, ma che cerca di farlo in modo adeguato dando loro un’educazione e una sicurezza alimentare. Perché, sono le sue stesse parole, trasmesse dai mezzi di comunicazione del suo Paese, “non c’è più grande povertà di quella di perdere la dignità umana”.
Questo è il pensiero di Uberfil  Monzón, che tanto ci ricorda il sacerdote antimafioso Don Luigi Ciotti . Una persona integra che la redazione sudamericana di ANTIMAFIADuemila ha deciso di intervistare al fine di conoscere in profondità il suo pensiero, di toccare con mano il suo carisma e la sua grande forza di volontà. Ciò che è emerso è il profilo di una persona meravigliosa, ammirevole e soprattutto – a dispetto dei suoi 80 anni – estremamente dinamica e piena di amore per la vita. Vita che non manca di onorare, con umiltà nell’austerità, perché l’austerità e la povertà hanno fatto parte della sua vita, sin dall’infanzia.

Sono nato a Nuerva Palmira, nel dipartimento di Colonia, in una baracca di fango. Mio padre era un cacciatore e morì quando avevo 4 anni. Abbiamo vissuto in povertà estrema. Anche se mia madre era una cuoca eccellente, perché con poche cose riusciva a preparare pietanze molto gustose. In ogni caso mangiavamo quello che c’era e indossavamo espadrillas per andare a scuola.
Durante la mia adolescenza ho lavorato in un negozio che mi permetteva di guadagnare dai 10 ai 12 pesos. Poi sono entrato in seminario e ho studiato per diventare sacerdote. Per questo motivo mi sono dovuto spostare in Argentina e, a due anni dalla fine dei miei studi, ho deciso che non mi importava più prendere i voti e così ho cercato lavoro a Buenos Aires. Più avanti mi sono trasferito a Montevideo dove ho lavorato per un’impresa e negli anni 60, quando stavo per sposarmi, ho deciso di prendere nuovamente la strada del sacerdozio. In quel periodo ho vissuto un forte conflitto interiore fino a che ho deciso di dire alla mia fidanzata che avevo bisogno di ritirarmi un mese a Buenos Aires, per pensare. Quando ritornai le comunicai che avrei ripreso gli studi per diventare sacerdote.
Presi i voti il 15 agosto del l962. La mia prima parrocchia si trovava nel barrio La teja. E’ lì che conobbi tanta gente che oggi riveste cariche governative. E, tra queste, un uomo eccezionale: “Pepe” Veneno, che aveva una banda musicale ambulante e l’attuale presidente Tabaré Vázquez.
La Teja si trovava in una zona conosciuta con il nome di “Cachimba del Piojo”, poverissima e piena di favelas. Ma io mi trovavo a mio agio, perché ero nato nella povertà e sapevo cosa significava vivere alla giornata. E poi ero in contatto con persone che scommettevano sulla vita e avevano voglia di ricominciare. E’ lì che ho iniziato a lavorare, buttando giù un vero e proprio piano di ricostruzione della favela e imparando a fare vera politica, non la politica dei partiti, quella del contatto con la gente, quella che fa tutto il possibile per far sorgere qualcosa di buono.
Si considera un sacerdote terzomondista, come tanti all’epoca?
No. Nel corso della mia esperienza di vita scoprii che c’erano altri sacerdoti che si definivano così. Io non lo feci. Io ero una persona che voleva vivere sulla propria pelle ciò in cui credeva. Così come Dio non può essere racchiuso in una definizione, perché trascende tutte le definizioni, la vita non può essere racchiusa in una definizione e quello che nella vita si ama non può essere contrassegnato da definizioni perché colui che non vive le cose sulla propria pelle non le può capire.
Qual è il credo che lei porta avanti?
Che l’essere umano deve essere capace di “umanizzarsi” sempre di più e deve sapere apprezzare le piccole cose.
In qualità di direttore dell’Inda lei si sente protagonista di un cambio sociale?
Per me è una grande opportunità di vita poter fare il possibile affinché chi ha perduto la dignità di essere una persona la possa riacquistare. In più occasioni ho provato nausea verso certa gente che diceva di voler aiutare i poveri e poi regalava loro oggetti rotti e inservibili. Perché i poveri devono “assupparsi” la porcheria?! Mi sono sempre opposto a chi mi diceva: prendi, è per i tuoi poveri… io non ho poveri, al contrario, io voglio essere un servo dei poveri, che ci danno l’opportunità di sopperire alle loro esigenze. Per quanto riguarda la Chiesa, che è l’organizzazione alla quale appartengo, il mio desiderio è che possa un giorno seguire l’insegnamento di Gesù-Cristo, che si fece uomo povero. Che non scelse di vivere in sontuosi palazzi. E neppure di fondare Istituzioni gerarchiche. Le gerarchie sono quelle celesti. Gesù-Cristo si fece povero e camminò nel mondo con i poveri. Io desidererei che la Chiesa si spogliasse di tutte quelle grandi strutture all’interno delle quali i poveri non possono entrare. Mentre vi entrano i ricchi signori.
Ci sono piccole Chiese di Paese che ospitano anche i poveri, è vero, ma è la Chiesa come istituzione che dovrebbe essere testimonianza di Gesù-Cristo. Non riesco a concepire un Gesù-Cristo che non sia povero.
Lei è stato mai ammonito dai suoi superiori?
Sì. Finché continuerò a rappresentare l’Istituto Inda non potrò celebrare messa.        Ma questa non è la mia Chiesa. La mia Chiesa è quella descritta da Gesù nella Bibbia, nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero forestiero e mi hai accolto, ero nudo e mi hai vestito, malato e mi hai curato; ero in carcere e venisti da me”. Questa è la mia Chiesa. Io credo che le persone vadano educate e questo non significa che devono essere alfabetizzate, ma educate affinché maturino determinati valori. Che sono quelli di dividere ciò che si ha con gli altri e nel dividere sentirsi felici. La mia Chiesa è con le persone con le quali lavoro.
Per lei il lavoro all’interno dell’Istituto è una sorta di missione quindi?
Io discendo dagli indios, gli anni non si notano tanto ma ormai ne ho 80. E mi sento un uomo nuovo. Quello descritto nel capitolo 3 del Vangelo di Giovanni. Perché ogni volta che si è pronti ad affrontare una nuova sfida ecco che sorge l’uomo nuovo.
Lei crede nel ritorno del Cristo?
Sì ci credo, però credo anche che il Cristo stia vivendo nel cuore di ogni essere umano, di quelli che si sentono esseri umani.
Perché il Vaticano non parla in modo trasparente del ritorno del Cristo?
Io credo che Costantino fece un bello sgambetto alla Chiesa quando creò la Chiesa di Stato. Quando la tolse dalla povertà e le diede il potere, il gusto del potere. Ma dobbiamo scegliere: il potere o è un bene evangelico o è corruzione!. La Chiesa deve stare molto attenta a questo. Il potere appartiene al Cielo, sulla Terra noi preghiamo il Dio Onnipotente, che si è fatto umilmente povero, ha combattuto per la vita a fianco degli esseri umani e quando è stato torturato e messo in croce non ha inveito contro coloro che lo maltrattavano ma ha detto al Padre: perdona loro perché non sanno quello che fanno.
Lei che ne pensa del fatto che la Chiesa, intesa come istituzione vaticana, ha avuto rapporti con la mafia?
Penso: questa non è la Chiesa. La Chiesa è tutto ciò che è stato costruito dalla Parola del Signore ed è rappresentata da coloro che vogliono seguire il Signore per annunciare il Regno di Dio e il Regno di Dio si costruisce nella verità, nella solidarietà e nella giustizia. Se non ci sono queste tre cose non c’è Chiesa.
Le alte gerarchie del Vaticano che hanno avuto rapporti con la mafia hanno quindi tradito la Chiesa?
Io non sono il giudice di nessuno. Ognuno con la propria coscienza è giudice di se stesso. Posso solo dire che chiedo a Dio di dare ad ognuno di noi la capacità di essere giudici delle nostre azioni.
Qual è la sua attuale visione del mondo ?
Oggi l’umanità è sgretolata fin dalle sue fondamenta. Il pianeta stesso sta dando segnali di cedimento, sta perdendo la forza e in qualunque momento potrebbe spazzare via tutti. Io non sono un profeta apocalittico, ma sono convinto che stiamo vivendo tempi apocalittici. L’uomo dovrebbe iniziare a riflette su com’è diventato e dove ha sbagliato come uomo.
Ci racconti un po’ del suo lavoro di direttore dell’Inda.
All’istituto lavoriamo in equipe. La mattina ci svegliamo molto presto e ogni giorno facciamo i conti con quello che abbiamo e come possiamo distribuirlo. Noi non ci occupiamo soltanto dei poveri, ma di tutti i cittadini che hanno bisogno. Ho tanti collaboratori che lavorano con il mio stesso spirito.
Lei ha dichiarato che non è un peccato rubare se non si ha nulla da mangiare.
La vita e la salute sono un valore assoluto. Se ho fame devo pensare alla mia salute. Così come esiste una legge che vieta l’aborto così ogni individuo deve avere il necessario per preservare la propria vita. Se ho bisogno di mangiare e nessuno mi dà niente allora ho diritto a prendermi ciò che mi spetta. Anche se non devo approfittarne. Noi, con il nostro Istituto, tentiamo di fare il possibile, ma non riusciamo a raggiungere tutti gli angoli del Paese. Ora stiamo cercando di decentralizzare la nostra struttura, di essere presenti anche nei quartieri di modo che la gente possa avere più facilmente accesso alle mense. In merito a questo vorrei approfittare per rispondere a quanti mi hanno criticato per quanto ho dichiarato dicendo loro che ci sono tanti modi per rubare e che il furto è anche quello che si fa con i guanti bianchi. Io, al contrario, ho parlato di persone che rubano per mangiare, perché hanno vera necessità. Mi ricordo che un giorno, quando ero bambino, comprai alcuni biscotti dal panettiere che si trovava vicino alla mia scuola, a Nueva Palmira, e gli chiesi se mi poteva donare un pezzetino di pane. Lui mi rispose: “vattene negro di merda”. E’ un’esperienza che ho vissuto e non mi vergogno a raccontarla. La vita mi ha dato tanto però se in quel momento ho dovuto rubare è perché avevo fame.
A volte però i poveri approfittano dei servizi sociali e ne abusano. Come pensa di affrontare questo aspetto del problema?
Io li capisco perché quando non si ha nulla si desidera sempre di avere qualcosa. Bisogna viverle certe situazioni per capirle. Non avere un cappotto e sentire freddo, non avere scarpe e sentire i piedi congelati. Avere è una cultura. Disporre di denaro è una cultura: se io non educo la gente all’utilizzo del denaro, il denaro viene utilizzato sempre in modo egoistico e non per il bene comune. Questa è una realtà umana e la realtà umana bisogna saperla affrontare affinché non diventi disumanità.
In tutto questo gioca un ruolo non indifferente la pubblicità consumista, totalmente controproducente.
La propaganda è in mano ai grandi psicologi. E’ pensata in modo da farti credere che non puoi essere felice se non possiedi determinate cose e questo genera soprusi e violenza.
E’ una forma di educazione subliminale che passa attraverso la televisione, la radio e i giornali.
Una società che da una parte rifiuta l’emarginazione e dall’altra la promuove.
Questa situazione viene creata ad arte affinché possiamo ostentare ciò che abbiamo e alimentare una coscienza dell’avere e non dell’essere. Più possiedo e più sono importante. Questa è l’esatta negazione di un processo educativo, essere per avere, perché il non avere non annulli l’essere… sembra un gioco di parole.
Cosa non le piace del nostro sistema sociale?
In questo momento è importante essere coerenti e avere il buonsenso di capire – al di là delle religioni – che siamo esseri umani. Dobbiamo dimostrare di saperci comportare con sensibilità, con semplicità, con quello che chiamerei senso comune. O meglio: solidarietà. Faccio un esempio: nei Vangeli si parla del miracolo di Gesù della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Ma il vero miracolo in quel passo non fu che dal nulla apparve improvvisamente un sacco di pane, ma che la gente se lo divise. Oggi, ci sono 923 milioni di persone che patiscono la fame, e allora perché Dio non moltiplica il pane? Perché Dio ha dato all’uomo la capacità di essere solidale e questi 800 miliardi di dollari che sono stati utilizzati per salvare le banche nordamericane dovevano essere impiegati per sfamare chi soffre la fame.
E’ per queste sue idee che è stato perseguitato durante il periodo della dittatura militare uruguaiana?
Non credo per queste idee. Io sono stato consulente del Celam. Lì c’era un sacerdote che dicevano essere il cappellano dell’Esercito e che un bel giorno mi ha denunciato dicendo che ero una persona pericolosa, un sovversivo. Ma io ho perdonato tutti. Anche se perdonare non significa: continuate a fare ciò che state facendo. Il perdono è possibile quando c’è un cambiamento, di mentalità.
Lei è stato catturato e anche torturato?
Si sono stato torturato. C’è una tortura molto dura, che è quella psicologica. Con la tortura fisica avverti il dolore punto e basta, ma quella psicologica è più invadente, tanto che arrivi a domandarti se magari non abbiano ragione loro per quello che stanno facendo. Quello è stato il momento più duro della mia vita. Mi avevano distrutto. Mi sono dovuto aggrappare alle mie convinzioni più profonde. Mi dicevo: non stai sbagliando. E solo le mie convinzioni mi hanno aiutato a risalire dal baratro in cui mi aveva lanciato quella tortura psicologica.
E’ in questo contesto che lei ha conosciuto i tupamanos Mujica e Huidobro, che oggi siedono al parlamento e al governo. Che rapporti ha oggi con loro?
Quando il partito del Frente Amplio ha avuto accesso al Parlamento, Mujica ha chiesto di poter parlare con me. Ci siamo appartati in una sala del Palazzo del Governo e lui mi ha detto una cosa molto importante: “Tu sai cosa ci ha insegnato il carcere. A dare valore alle piccole cose”. E io ricordai che un giorno, in carcere, penetrò nella mia cella un triangolino di sole e ogni giorno speravo di poterlo rivedere. Un altro giorno ho invece visto un grillo, un grillo vivo, era con me e ho provato tanto dolore quando è morto. E prima che morisse mi sono preso cura di lui. Avevo scoperto il valore delle piccole cose. Così come scoprii altri valori. Ci pensavo oggi mentre pregavo per “loro”. Ricordo che un giorno mi hanno lasciato in una piscina piena di sterco, all’interno della quale avevano prima tentato di affogarmi. In quel momento avevo desiderato morire e così non mi hanno ucciso, ma mi hanno lasciato lì dentro con le mani legate. A quel punto uno dei torturatori mi aiutò ad alzarsi, un inaspettato gesto di solidarietà che mi ha fatto capire come anche nel pantano possano nascere dei fiori.
Sono stato sequestrato il 27 febbraio del 1971 alle 11:20 della mattina e rilasciato il 5 aprile. Ero in una caserma. Ma tutto ora è superato.
Ora che diversi militari e il dittatore Gregorio Alvarez si trovano in prigione lei pensa che si possa dire che è stata fatta giustizia?
No, per fare giustizia abbiamo bisogno di verità e amore per la giustizia stessa. Non dobbiamo chiedere vendetta, ma l’uomo, la società deve capire che nessuno ha il diritto di distruggere una persona perché la pensa in modo diverso, come ha fatto anche la Chiesa nel periodo dell’inquisizione.
Oggi c’è una sorta di inquisizione in corso?
C’è ma attraverso il ricatto della scomunica. Se ti sbagli e non la pensi come me sei scomunicato. Molti teologi sono stati messi da parte così.
Per concludere, lei sente di avere ancora la forza di continuare?
Continuerò a lavorare fino a che il mio scheletro mi sorreggerà, ma so che la vera forza non è quella del singolo, ma le idee del gruppo.


BOX1

Aurora Parma: grazie a Padre Monzòn l’Inda ha una nuova trasparenza morale


Il braccio destro di padre Monzòn sono i suoi consiglieri, la sua equipe. Perché di fianco a quest’uomo, sensibile e determinato a lottare per giuste cause a favore della vita, ci sono i suoi collaboratori e uno in particolare: la ragioniera Aurora Parma, una persona che crede fermamente nelle idee del sacerdote e segue in modo scrupoloso ogni sua direttiva.
E’ lei che ci ha spiegato che “l’Istituto ha un’amministrazione diversa rispetto a qualsiasi altra istituzione pubblica”
Quali sono le linee guida del vostro lavoro ?
Noi non lavoriamo per raccogliere generi alimentari, ma per chi dovrà beneficiare di questi. Lavoriamo per effettuare un cambiamento a livello nazionale, poiché nostro desiderio è vedere la gente vivere in modo diverso.
Stiamo provando ad organizzare spazi ricreativi nei “merenderos”, strutture nelle quali offriamo ai bambini tazze di latte o pasti completi. Crediamo sia fondamentale, oltre che dare loro da mangiare, farli giocare per strapparli definitivamente dalla povertà. Pensiamo che questa esperienza dovrebbe essere estesa a tutti i merenderos, mense incluse. La nostra politica di lavoro punta a migliorare la qualità degli alimenti. L’Istituto non vuole essere il magazzino dei poveri, noi vogliamo studiare e analizzare tutti i fattori relazionati alla sicurezza alimentare e nutrizionale ed educare tutta la popolazione uruguaiana sul tema. Vogliamo inoltre affermare il valore supremo dell’alimentazione, diritto che dovrebbero avere tutti gli esseri umani in forma adeguata. Per questo motivo ci impegniamo ad educare le persone appartenenti a settori sociali emarginati a capire il valore degli alimenti per evitare anche problemi di salute.
Noi dipendiamo dal Ministero del Lavoro e Sicurezza Sociale, ma abbiamo personale indipendente. Che si ispira esclusivamente agli insegnamenti di padre Uberfil Monzón. Ormai è accertato che la decisione di far dirigere l’Istituto a Monzón, assunta dalla Presidenza della Repubblica, è stata più che azzeccata, perché il padre ha dato all’Istituto una trasparenza che in molti anni non aveva mai avuto, una trasparenza morale e sotto tutti i punti di vista.
www.inda.gub.uy/indaweb


BOX2

ANTIMAFIADuemila in Sud America!

ANTIMAFIADuemila apre due redazioni in Sudamerica.
La redazione dell’Uruguay sarà diretta dal giornalista Georges Almendras insieme ad Erika Pais e avrà come sito Internet la pagina web www.antimafiadosmil.com. La redazione dell’Argentina sarà diretta dal giudice Juan Alberto Rambaldo insieme a Ines Lepori e Carmen de Huertos e avrà come sito Internet la pagina web www.antimafiadosmilarg.com.ar
Entrambe saranno strettamente collegate con la redazione centrale di ANTIMAFIADuemila e si occuperanno specificatamente della criminalità organizzata presente in Sudamerica e di tutte le sue connessioni a livello politico nazionale e internazionale.
A Georges Almendras, a Juan Alberto Rambaldo e a tutti i nostri collaboratori dell’America Latina l’augurio di un buon lavoro dalla redazione di ANTIMAFIADuemila.

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