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Categoria: Inchieste
Editore: Edizioni SEB 27
Pagine: 180
Prezzo: € 13,50
ISBN: 9788886618786
Anno: 2010

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Recensione

Premessa: La sentenza d’appello contro Marcello Dell’Utri

Il procuratore generale Nino Gatto, al termine della requisitoria finale, aveva quasi supplicato la Corte «Abbiate il coraggio di scrivere una pagina di storia».
Il presidente della Corte d’appello di Palermo, Dall’Acqua e i giudici Barresi e La Commare, questo coraggio non l’hanno avuto fino in fondo.
Il senatore Pdl e co-fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri è stato condannato a 7 anni di carcere per concorso esterno in associazione di stampo mafioso, reato accertato sino al 1992. A partire da quella data non ne è stata pienamente riscontrata la mafiosità.
Nonostante le curiose e opinabili interpretazioni della parte politica vicina a Dell’Utri, la sentenza è indiscutibile: Marcello Dell’Utri è un mafioso. Neppure la cassazione potrà smentire questa inoppugnabile verità giudiziaria. La Suprema Corte sarà chiamata a esprimersi su tecniche squisitamente di diritto, ma non entrerà nel merito delle vicende processuali.
Dell’Utri naturalmente è soddisfatto, costume proprio della cultura politica italiana; rallegrarsi per una pesante e ignominiosa condanna, ribadisce che «Mangano è il suo eroe», e che i sette anni di galera sono «un contentino per la Procura di Palermo». Il braccio destro di Silvio Berlusconi conclude il suo inopportuno florilegio porgendo «le condoglianze al procuratore generale». Ovviamente conferma con coerenza che non si dimetterà, del resto aveva dichiarato che stava in Parlamento per non finire in galera.
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Una sentenza strana, particolare, forse davvero “pilatesca” come l’ha definita il condannato Dell’Utri. Un giudizio che va al di là della normale dialettica giudiziaria. Una Camera di Consiglio innaturalmente lunga, certamente travagliata, accompagnata da pettegolezzi e indiscrezioni.
Sui figli del presidente Dall’Acqua, uno nello staff del sindaco di Palermo, Diego Cammarata, Pdl; l’altro dipendente di un imprenditore mafioso, arrestato di recente. Poi le partite a poker tra il giudice Barresi e don Vito Ciancimino, il sindaco della mafia, e un vecchio procedimento
disciplinare a carico del terzo componente del collegio giudicante, La Commare. Insomma, ce n’è per tutti.
Le dichiarazioni di Gasparino Spatuzza, nella drammatica udienza di Torino, non sono state ritenute determinanti. Il boss Giuseppe Graviano, altro “eroe”, non ha confermato la circostanza che «persone serie avrebbero consentito alla mafia di mettersi il paese nelle mani».
Poi Massimo Ciancimino: per ben due volte il procuratore generale Nino Gatto ne richiese l’audizione. Doppia bocciatura, per la Corte il figlio di don Vito risulterebbe «vago, generico, non determinante». Di diverso avviso, così come per Spatuzza, le procure di Palermo, Caltanissetta,
Firenze, Roma e Milano.
Significativa la considerazione del pg Nino Gatto che, manifestando la propria delusione, spiega: «Una decisione salomonica, che taglia il bambino in due. Mentre scrivevo la requisitoria il mio braccio andava da solo, io stavo da un’altra parte, a guardare. Tutto teneva».
Delusione forse eccessiva, da parte dell’antimafia, francamente non ci si poteva attendere che i giudici di Palermo scrivessero che le stragi di via D’Amelio e gli eccidi del 1993, furono posti in essere per far proseguire la trattativa e favorire la nascita di Forza Italia. Non era affare loro, altre procure ci stanno lavorando.
La sentenza della Corte d’appello di Palermo è stata frutto, probabilmente, di una spaccatura interna tra i giudici, il che implicherebbe anche la conseguente spaccatura tra Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
Destini d’ora in poi diversi con il sacrificio del più debole.
Comunque sette anni per Marcello Dell’Utri, due in meno del primo grado. Uno sconto, in appello, quasi fisiologico. Però – e qui si torna a parlare di storia non riscritta – anche la decisione di assolvere il cofondatore di Forza Italia per i fatti avvenuti dopo il 1992. Una decisione che sdogana di fatto Forza Italia, movimento fondato nel 1993.
Questo spartiacque voluto dal dispositivo del giudizio collocato proprio nell’anno delle stragi – e che quindi parrebbe escludere la tesi più apparentemente plausibile – è ciò che può incuriosire e spingere a ripercorrere i fatti e gli eventi principiando l’interesse dell’analisi dei materiali a disposizione da quell’anno che divide la storia e la gravità dei giudizi: da un lato una certa mafia, di cui forse si è potuta ascrivere alla storia le sue vicende, dall’altra la mafia che ha trovato il modo di inabissarsi, avendo trovato i suoi referenti che, se non sono Dell’Utri, chi possono essere?
Ecco, questo libro cerca di ricostruire i fatti alla ricerca di una risposta a questa domanda.

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