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Categoria: Cultura
Editore: Aliberti editore
Pagine: 105
Prezzo: € 10,00
ISBN: 9788874247370
Anno: 2011

Visite: 2327

Recensione

«Quando do una notizia, non voglio par condicio tra i piedi. O si è mai visto un articolo di giornale affiancato da un altro che dice il contrario? O una vignetta di Forattini accanto a una di Vauro che dice il contrario?»

«Senti Tremonti e ti dice che c’è un certo Pil. Senti Bersani e ti dice che il Pil è un altro. Ma insomma, ci sarà pur qualcuno che mi dice qual è il Pil vero? O dobbiamo credere che l’Italia, caso unico al mondo, abbia un Pil di destra e un Pil di sinistra?»

«Per gli italiani l’illegalità è un po’ come la droga: una modica quantità per uso personale è generalmente ammessa»


Di quale virtù sia provvisto Marco Travaglio lo sappiamo tutti: la memoria, difesa da un archivio che probabilmente disegna l’autoritratto della storia contemporanea italiana meglio di quanto facciano i ritratti canonici, degli storiografi e dei giornalisti di cronaca. Quello che fa la differenza in Travaglio è che tale archivio è diventato metodo. Uno stile giornalistico che contrappone alla fuggevolezza della notizia, dell’opinione e della dichiarazione, la sedimentazione dei fatti. Travaglio riconsegna il giornalismo alla sua funzione di contropotere, fa parlare l’Italia come l’Italia non ama parlare e, se ancora servisse sottolinearlo, non fa sconti né a destra, né a sinistra. Con Travaglio torniamo a credere che non solo la storia non è finita ma la si può ancora fare, e quindi chiarire e depurare – riconsegnare, intonsa, alla sua attualità – attraverso quel grande lavacro che sono i libri.

LA STORIA NON E’ FINITA
“Di quale virtù sia provvisto Marco Travaglio lo sappiamo tutti: la memoria. Difesa da un archivio che probabilmente disegna l’autoritratto della storia contemporanea italiana meglio di quanto facciano i ritratti canonici degli storici, degli storiografi e dei giornalisti di cronaca.
Quello che fa la differenza in Travaglio è che tale archivio è diventato metodo: uno stile giornalistico che contrappone alla fuggevolezza della notizia, dell’opinione e della dichiarazione, la sedimentazione dei fatti. E come spesso accade, svela la contraddittorietà di opinioni e dichiarazioni nell’attimo stesso del loro fittizio trionfalismo.
L’archivio non è un vezzo catalogatorio o una mania di raccogliere cronaca nei fascicoli di cui è composta. È l’unico strumento – se usato con sapienza – per contrapporre al tempo adultero dell’informazione quello fedele della storicizzazione. In fondo è un modo di dare la parola alla storia e non ai suoi sedicenti corifei.
Se Berlusconi afferma al mattino ciò che nega alla sera, l’archivio espone, senza tema di smentita, la contraddizione. Non serve allora essere bolscevichi per scorgere le pudenda del re messosi a nudo, suo malgrado, attraverso l’impietosa trama dell’archivio. Lo squadernamento dei fatti non consente repliche. Quando è la realtà stessa a sbugiardarsi non c’è rettifica che tenga.
Questo, eminentemente, Travaglio ha restituito alla storia italiana: la sua evidenza. Poi la si mistifichi come si vuole, il sofismo dovrà comunque misurarsi con gli eventi, Gorgia con Erodoto.
Travaglio riconsegna dunque il giornalismo alla sua funzione di contropotere. Fa parlare l’Italia per come l’Italia non ama parlare e, se ancora servisse sottolinearlo – ma in Italia proprio l’evidenza serve sottolineare – non fa sconti né a destra né a sinistra. Il “bufalismo”, da una parte come dall’altra, ha ancora un unico nome universale: “bufalismo”.
Si può dire che il giornalismo deve operare in questo senso da sempre? Certo. Ma l’eredità di un approccio controcorrente, che Travaglio ha raccolto tra gli altri da Montanelli, viene spinta in lui alle estreme conseguenze poiché estreme sono diventate le risorse della disinformazione. L’archivio deve pertanto riappropriarsi esattamente di quell’eticità che – meno urgente in passato – è oggi divenuta una risorsa fondamentale per un Paese civile.
Travaglio ha inoltre indovinato che, oltre all’archivio, è indispensabile contrapporre alla mistificazione – così agilmente veicolata dalla televisione – il più desueto strumento di persuasione: il libro. Da lui riconsegnato agli onori della censura, dell’aggressione, dell’ostracismo – come non accadeva dai bei tempi in cui la parola faceva ancora paura e qualcuno impugnava i volumi della rivoluzione – e all’attenzione della massa.
È una conquista dell’informazione, ma anche un favore alla letteratura. Con Travaglio torniamo a credere che non solo la storia non è finita ma la si può ancora fare e quindi chiarire e depurare – riconsegnare, intonsa, alla sua attualità – attraverso quel grande lavacro che sono i libri.
Uno di questi (piccolo e schietto) è il presente. Raccoglierà la benedizione dell’ingiuria, dell’ira, dell’insulto? Forse. Certamente ci piace credere che sia una breve summa del grande j’accuse che Travaglio ha riversato sull’Italia a cui egli non piace e che, fortunatamente, non piace a noi”.

(dalla prefazione di Marco Alloni)

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