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di Marta Serafini
Mitragliatrici contro lance: gli avventurieri del metallo prezioso hanno invaso i territori dei Waiãpi
"Resistiamo. Per la nostra terra, che consideriamo un essere vivente. E resisteremo sempre".

Seicentomila ettari di foresta vergine, nel nord del Brasile, 1.200 indigeni. Suolo ricchissimo di cassiterite, manganese e tantalio. E di oro. Era il 1973 quando i Waiãpi vennero "contattati" per la prima volta. L’obiettivo, costruire un’autostrada. Ci provò la dittatura a sradicarli. Tentò nel 2017 di consentire alle industrie l’accesso alla loro riserva l’allora presidente Michel Temer. E ora ci stanno riuscendo i "garimpeiros", i cercatori d’oro illegali che già devastano le foreste e inquinano i fiumi con il mercurio.
Sabato scorso, per la prima volta in oltre 30 anni, i Waiãpi sono stati assaliti. Una cinquantina di uomini armati fino ai denti sono entrati nel villaggio di Yvytotõ. Da un lato, le mitragliatrici, dall’altro le lance e le danze propiziatorie, perché i pesci depongano le uova e il mais cresca. "Potrebbe essere un bagno di sangue", ha avvertito il senatore dello Stato di Amapà Randolfe Rodrigues, rilanciando il disperato appello del consigliere locale Jawaruwa Waiãpi. A diffondere un messaggio video anche il cantautore brasiliano Caetano Veloso che ha chiesto aiuto "alle autorità in nome della dignità del Brasile nel mondo".
I Waiãpi sono stati costretti a sfollare nel villaggio più grande di Aramirã, dove i colpi di arma da fuoco sono risuonati facendo volare via uccelli e mettendo in fuga gli animali, oltre che gli esseri umani. Un’operazione annunciata dall’omicidio, mercoledì scorso, del leader della comunità locale, Emyra Waiãpi, 68 anni, trovato morto, con segni d’arma da taglio, nei pressi del piccolo villaggio di Mariry.
Secondo gli attivisti, è il presidente Jair Bolsonaro ad essere responsabile dell’attacco, dal momento che indebolisce gli indigeni, privandoli dei servizi sanitari ed educativi per costringerli a lasciare le terre con l’obiettivo di vendere concessioni ad aziende e multinazionali. "L’invasione dei 'garimpeiros' nei territori indigeni, soprattutto in Amazzonia, avviene senza alcun controllo statale e a discapito delle comunità indigene colpite", ha denunciato una nota del Coiab, la maggiore rete di organizzazioni indigene del Brasile. "I recenti commenti del presidente Bolsonaro sull’apertura dei territori indigeni alle miniere stanno incoraggiando i cercatori d’oro illegali e altri invasori. Ha praticamente dichiarato guerra alle popolazioni indigene brasiliane. Ma loro e i loro alleati in tutto il mondo non smetteranno di reagire", gli ha fatto eco Stephen Corry, direttore di Survival International.
Il momento dunque è particolarmente difficile. "Non vedevamo così tanta ferocia dai tempi della dittatura", ha spiegato Jaime Siqueira dell’Ong Centro de Trabalho Indigena, mentre il popolo guaranì del Brasile centro-occidentale ha offerto il suo sostegno invitando tutti a combattere "a fianco delle popolazioni indigene contro l’attacco genocida che è attualmente in corso e che è stato riattivato dall’attuale governo".
Dal canto suo, Bolsonaro, già al centro delle polemiche per aver contestato i dati sulla deforestazione in Amazzonia, ha negato che ci siano prove sull’omicidio del leader Emyra. Il tutto dopo aver spiegato di voler smantellare le riserve, cercando di dissuadere la comunità internazionale a intervenire, definendo gli indigeni "uomini preistorici" senza accesso alle "meraviglie della modernità".
Ma i Waiãpi - le cui opere artistiche realizzate con inchiostri naturali sono state dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco e i cui figli sono sopravvissuti alle epidemie di morbillo portate dai cacciatori - a queste meraviglie della modernità non sembrano proprio volersi arrendere.

Tratto da: Il Corriere della Sera

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