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espinosa-manif-nightL’omicidio del giornalista messicano Rubén Espinosa
di Jean Georges Almendras - 7 agosto 2015
Nel mondo delle tenebre, nel quale siamo precipitati inesorabilmente, sembrerebbe che il giornalismo, per alcuni, costituisca sempre di più un arma letale che, di conseguenza, attrae l'azione di un nemico crudele e spietato: la criminalità organizzata radicata ormai in qualunque ambito. E non ci sono preferenze territoriali. Lo scorso sabato 1 agosto di questo 2015, la notizia della tragedia ha fatto subito il giro del mondo. Ancora un giornalista ucciso, la stessa sorte è toccata a quattro donne che si trovavano con lui, in un appartamento di Città del Messico.

E chi è il giornalista? Si tratta di un fotoreporter di nome Rubén Spinosa, di 31 anni, specializzato in reportage di proteste sociali e che nello svolgimento del suo lavoro ha avuto a che fare con individui che ritenevano la sua professione estremamente dannosa per i loro interessi criminali o per l'impunità che garantisce le loro attività illecite.

"Ogni corpo presentava una ferita da arma da fuoco alla testa, ed escoriazioni in diverse parti del corpo" ha dichiarato il giudice Rodolfo Ríos ai mezzi stampa messicani. Era chiaro che tanto Espinosa come le altre persone avevano ricevuto un colpo di grazia in testa, riscontravano altre due ferite di pallottola nel petto e lesioni che indicavano chiaramente che prima di essere giustiziati per mano di codardi assassini, sono stati brutalmente colpiti.

"Una donna giaceva su un letto – ha detto un vicino alle autorità della polizia che si era recata sul posto -. Aveva i piedi legati con nastro colore grigio ed un cavo attorno al collo. Quando i periti hanno girato il corpo, ho notato che aveva il volto distrutto. Anche il volto di un'altra donna, ugualmente a testa in giù, si presentava nelle stesse condizioni".

Non è il primo caso di violenza ai danni di giornalisti. Ed in Messico, oggi, questo tipo di violenza, è pane quotidiano, siano le vittime giornalisti o no. I notiziari delle televisione locali ed i giornali riferiscono fatti come questi giorno dopo giorno. Veracruz è considerato lo stato più pericoloso per esercitare il giornalismo, perché dal 2011 sono già 15 i morti. Il governatore non è altro che Javier Duarte, noto per i suoi atteggiamenti e comportamenti alquanto controversi.

Un mezzo informativo locale riferisce: “L’omicidio di Espinosa, il settimo giornalista ucciso quest’anno, riporta i riflettori sulla violenza contro la stampa. Un portavoce di Reporteros sin Fronteras ha dichiarato nel 2014 che il Messico è il paese americano con più morti nel mondo del giornalismo. Secondo stime ufficiali, dall'anno 2000 ad oggi sono stati uccisi, almeno, un centinaio di giornalisti.

Perché è stato ucciso Rubén Espinosa? La Commissione Nazionale per i Diritti umani del Messico vuole che sia analizzato fino in fondo la possibile relazione del caso con il "lavoro giornalistico come fotoreporter". Ma inoltre, l'ONG Internazionale in difesa dei giornalisti "Articolo 19" sostiene che si tratta di un crimine contro la libertà di espressione" accusando di negligenza il Governo. E se ciò non bastassi, i suoi portavoci hanno affermato che gli attacchi di cui era oggetto Espinosa "erano noti pubblicamente, quindi l’omicidio è avvenuto senza che le autorità preposte a proteggere i giornalisti in Messico muovessero un dito a suo favore".

La sorella di Rubén Espinosa ha detto che lui è sempre stato dal lato della verità. Non bisogna dimenticare che Espinosa lavorava come freelance per la rivista Proceso e per l'agenzia giornalistica Cuartoscuro.

Nella “roulette della morte” messa in atto con frequenza dai criminali messicani di oggi, sono finiti - sabato 31 Luglio - Espinosa ed una sua amica di nome Nadia Vera, di 32 anni. Quest'ultima, laureata in Antropologia Sociale ed attivista del Movimento Studentesco "Yo soy 132", ha preso parte aelle mobilitazioni studentesche realizzate a proposito delle elezioni del 2012, per esigere trasparenza istituzionale ed una maggiore democratizzazione del sistema. L'altra vittima è una giovane colombiana di 18 anni, identificata con il nome di Yesenia Quiroz. Le altre due donne, i cui nomi non sono stati resi noti, sarebbero una messicana di 29 anni, ed un'altra donna di 40 anni, quest’ultima impiegata domestica dell'appartamento dell'edificio sito in Via Luz Saviñón.

Appena si è appressa la notizia dell’omicidio, i media locali hanno riferito che Espinosa si era trasferito dallo stato di Veracruz, dove svolgeva il suo lavoro di fotoreporter, alla capitale messicana, perché si sentiva minacciato e perseguitato.

Un dettaglio non trascurabile. Secondo quanto ha riferito Pedro Valtierra, direttore dell'agenzia Cuartoscuro, Espinosa era molto spaventato, diceva che le minacce venivano da Javier Duarte, governatore dello Stato di Veracruz. I colleghi della rivista Proceso hanno precisato che lo stesso Espinosa parlava di un "autoesilio", forse cosciente che stava rischiando la sua vita.

I martiri dell'informazione fanno parte della storia dei popoli ed il carnefice è sempre lo stesso, ovunque: i burattini ed i lacchè dell'impero statunitense, coinvolto nel terrorismo di Stato in tempi di dittature, o in tempi di democrazia (generalmente fuori dalle frontiere del proprio paese), i narcotrafficanti, i gruppi mafiosi, i sicari al servizio del potere economico o politico di turno, in qualunque nazione dove lo Stato è indebolito e minato dal crimine e la corruzione. Da sempre il giornalista è stato carne da macello. Le sue denunce scritte nei giornali, nelle pagine web; le sue parole in radio o davanti alle telecamere sono state e sono ancora missili contro l'impunità ed il despotismo criminale, l'antidemocrazia criminale.

Senza andare molto lontano, in Paraguay, dove molti sono stati i giornalisti uccisi dalla narco politica negli anni post dittatura, è uno dei territori dove il dolore e la libertà di espressione hanno camminato insieme lungo le strade delle sue terre colorate. L’omicidio di Pablo Medina, il nostro collega ed amico, ucciso lo scorso 16 ottobre 2014, insieme alla sua giovane assistente Antonia Almada, ci tocca da vicino e ci invita ad un’inevitabile riflessione: che la morte di un giornalista non ha antistanti; che alla libertà non piace il filo spinato, ne portoni divisori; che il giornalismo indipendente è il suo stendardo e la denuncia la sua sciabola.

E non è facile lottare, perché non tutti i giornalisti della regione e del mondo sono della stessa stoffa. Perché a molti colleghi compiace il servilismo. Perché molti colleghi con il denaro si trasforma.no Perché molti colleghi si compiacciono di essere nelle simpatie del criminale e del potente, e perché non sanno cosa sia l’etica ed eccedono in ambizione ed egocentrismo.

I colleghi che remano contro questa sporca e repulsiva corrente, semplice e spontaneamente vengono ammazzati.

Mi vengono alla memoria le parole di Cristina Guerriero, una giornalista messicana che ha partecipato ad una mobilitazione in ripudio all’'assassinio di Rubén Espinosa. Mi vengono alla memoria perché sono parole di una sensibilità che condividiamo.

"Sì, è la verità. Ti ammazzano. Ai giornalisti che non siamo dei venduti ci ammazzano, ci fanno sparire. Cosa possiamo fare"?

Possiamo rispondere insieme: c’è molto da fare

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