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varoufakis-c-reutersIntervista a Yanis Varoufakis
di Claudi Pérez - 2 agosto 2015
La denuncia dell’ex ministro: “Temo che la Grexit sia inevitabile, servirà a incutere la paura necessaria per forzare il consenso di Italia, Spagna e Francia”
Atene. «Il sadico dispotismo dell’ideologia dominante». «La lettura morale di questa crisi». «L’abbraccio mortale del debito». Yanis Varoufakis accoglie El País nella sua casa al centro di Atene; la sua ormai celebre moto è parcheggiata all’angolo della strada, pronta a ripartire rombando alla fine dell’intervista. Visto da vicino, Varoufakis è amabile, attento e disinvolto. Offre al giornalista una tazzina di caffè preparato di fresco, e subito si capisce perché la sua lingua è considerata una delle più affilate d’Europa. Parlando a mitraglia, usa toni tra il solenne e il drammatico, con l’economia e la politica come generi letterari al servizio di un alibi: la Grecia epitome della crisi europea, e quest’ultima vista non come una fase transitoria, ma come uno stato tendente a perpetuarsi.

Alcuni giorni fa ha lasciato il ministero. Come è cambiata la sua vita quotidiana?
«I giornali pensano che io sia deluso per aver lasciato il governo. Di fatto però io non sono entrato in politica per far carriera, ma per cambiare le cose. E chi cerca di cambiarle paga un prezzo».

Quale?
«L’avversione, l’odio profondo dell’establishment. Chi entra in politica senza voler far carriera finisce per crearsi questo tipo di problemi».

Intanto la Grecia continuerà a subire la tutela della Troika...
«Noi avevamo offerto all’Fmi, alla Bce e alla Commissione l’opportunità di tornare ad essere le istituzioni che erano in origine; ma hanno insistito per ripresentarsi come Troika. Ma l’ultimo accordo si basa sulla prosecuzione di una farsa, ma si tratta solo di procrastinare la crisi con nuovi prestiti insostenibili, facendo finta di risolvere il problema. Ma si può ingannare la gente, si possono ingannare i mercati per qualche tempo, non all’infinito».

Cosa si aspetta nei prossimi mesi?
«L’accordo è programmato per fallire. E fallirà. Siamo sinceri: il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble non è mai stato interessato a un’intesain grado di funzionare. Ha affermato categoricamente che il suo piano è ridisegnare l’eurozona: un piano che prevede l’esclusione della Grecia. Io lo considero come un gravissimo errore, ma Schaeuble pesa molto in Europa. Una delle maggiori mistificazioni di queste settimane è stata quella di presentare il patto tra il nostro governo e i creditori come un’alternativa al piano di Schaeuble. Non è così. L’accordo è parte del piano Schaeuble».

La Grexit è ormai scontata?
«Speriamo di no. Ma mi aspetto molto rumore, e poi rinvii, mancato raggiungimento di obiettivi che di fatto sono irraggiungibili, e l’aggravamento della recessione, che finirà per tradursi in problemi politici. Allora si vedrà se l’Europa vuole davvero continuare a portare avanti il piano di Schaeuble oppure no».

Schaeuble ha suggerito di togliere poteri alla Commissione, e di applicare le regole con maggior durezza. Se sarà lui a vincere la Grecia è condannata?
«C’è un piano sul tavolo, ed è già avviato. Schaeuble vuole mettere da parte la Commissione e creare una sorta di super-commissario fiscale dotato dell’autorità di abbattere le prerogative nazionali, anche nei Paesi che non rientrano nel programma. Sarebbe un modo per assoggettarli tutti al programma. Il piano di Schaeuble è di imporre dovunque la Troika: a Madrid, a Roma, ma soprattutto a Parigi».

A Parigi?
«Parigi è il piatto forte. È la destinazione finale della troika. La Grexit servirà a incutere la paura necessaria a forzare il consenso di Madrid, di Roma e di Parigi».

Sacrificare la Grecia per cambiare la fisionomia dell’Europa?
«Sarà un atto dimostrativo: ecco cosa succede se non vi assoggettate ai diktat della Troika. Ciò che è accaduto in Grecia è senza alcun dubbio un colpo di Stato: l’asfissia di un Paese attraverso le restrizioni di liquidità, per negargli l’imprescindibile ristrutturazione del debito. A Bruxelles non c’è mai stato l’interesse di offrirci un patto reciprocamente vantaggioso. Le restrizioni di liquidità hanno gradualmente strangolato l’economia, gli aiuti promessi non arrivavano; c’era da far fronte a continui pagamenti a Fmi e Bce. La pressione è andata avanti finché siamo rimasti senza liquidità. Allora ci hanno imposto un ultimatum. Alla fine il risultato è uguale a quando si rovescia un governo, o lo si costringe a gettare la spugna».

Quali gli effetti per l’Europa?
«Nessuno è libero quando anche una sola persona è ridotta in schiavitù: è il paradosso di Hegel. L’Europa dovrebbe stare molto attenta. Nessun Paese può prosperare, essere libero, difendere la sovranità e i suoi valori democratici quando un altro Stato membro è privato della prosperità, della sovranità e della democrazia».

Anche se è vero che la Grecia ha cambiato i termini del dibattito, in politica si devono ottenere dei risultati. I risultati la soddisfano?
«L’euro è nato 15 anni fa. È stato concepito male, come abbiamo scoperto nel 2008, dopo il tracollo della Lehman Brothers. Fin dal 2010 l’Europa ha un atteggiamento negazionista: l’Europa ufficiale ha fatto esattamente il contrario di quanto avrebbe dovuto fare. Un Paese piccolo come la Grecia, che rappresenta appena il 2% del Pil europeo, ha eletto un governo che ha messo in campo alcuni temi essenziali, cruciali. Dopo sei mesi di lotte siamo davanti a una grande sconfitta, abbiamo perso la battaglia. Ma vinciamo la guerra, perché abbiamo cambiato i termini del dibattito».

Lei aveva un piano B: una moneta parallela, in caso di chiusura delle banche. Perché Tsipras non ha voluto premere quel pulsante?
«Il suo lavoro era quello di un premier. Il mio, nella mia qualità di ministro, era di mettere a punto i migliori strumenti per quando avremmo preso quella decisione. C’erano buoni argomenti per farlo, come c’erano per non premere quel pulsante».

Lei lo avrebbe fatto?
«Chiaramente, e l’ho detto pubblicamente, ma ero in minoranza. E rispetto la decisione della maggioranza».

Tsipras ha ribadito che non esistevano alternative al terzo riscatto; mentre lei, col suo piano B, sosteneva che un’alternativa c’era.
«Fin da quando ero giovanissimo, ho sempre respinto nella mia concezione politica il discorso thatcheriano dell’“assenza di alternative”. C’è sempre un’alternativa».

Quale sarà l’eredità di Angela Merkel per l’Europa?
«L’idea europea non era quella di punire una nazione orgogliosa per intimorire le altre. Non è questa l’Europa di Gonzales, Giscard o Schmidt. Abbiamo bisogno di ricuperare il significato di ciò che significa essere europei, trovare le vie per ricreare il sogno di prosperità condivisa nella democrazia. L’idea che la paura e l’odio debbano essere le pietre a fondamento della nuova Europa ci riporta al 1930. l’Europa corre il rischio di trasformarsi in una gabbia di ferro. Spero che la cancelliera non voglia lasciarci un’eredità come questa».

Tratto da: La Repubblica del 2 agosto 2015

Foto © Reuters

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